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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

E ntro breve tempo il governo dovrà prendere decisioni sulla governance della Rai: un tema politicamente sensibile come pochi altri

E ntro breve tempo il governo dovrà prendere decisioni sulla governance della Rai: un tema politicamente sensibile come pochi altri. Per ora, l’esecutivo ha avanzato solo, con cautela, l’idea di un amministratore unico con forti poteri e autonomia. Una proposta di razionalizzazione che però non risolverebbe i problemi di fondo. Se non ci sarà un colpo d’ala sarà una occasione sprecata. Quando si tratta di Rai i partiti sono, tutti, in flagrante conflitto di interessi: ciascuno vuole per se stesso il massimo possibile di controllo sull’informazione. Non può dunque venire da loro un serio progetto di riorganizzazione. Il governo Monti, invece, potrebbe perseguirlo, data la sua particolare natura, data l’assenza di un suo interesse diretto al controllo della informazione per fini elettorali. Se non ora, quando? Poiché in Italia, su questi temi, il tempo passa sempre invano, dodici anni fa, il 15 novembre del 2000 («Rai, la rinascita delle larghe intese»), segnalai sul Corriere una iniziativa legislativa che non ebbe seguito ma che potrebbe tranquillamente essere ripresa oggi, con grande beneficio per l’informazione. Quella proposta si doveva a Andrea Papini, all’epoca senatore e militante nel raggruppamento del centrosinistra denominato i «Democratici» e facente capo ad Arturo Parisi. Per inciso, è stato Papini, qualche giorno fa, a ricordarmi sia quella proposta che quel mio vecchio articolo. Nella sua semplicità, il progetto era deflagrante. Si proponeva di separare nettamente i programmi Rai finanziati con il canone e quelli finanziati con la pubblicità, affidandone la gestione a società diverse, e ponendo così fine alla commistione fra soldi pubblici e privati. Come scrissi allora, separando la Rai/servizio pubblico e la Rai commerciale si sarebbero conseguiti due risultati. In primo luogo, gli utenti avrebbero potuto finalmente chiedere conto alla Rai di come (per finanziare quali programmi) venisse utilizzato il canone, la tassa che siamo tutti costretti a pagare. La Rai è servizio pubblico? Bene, e allora i contribuenti hanno il diritto di sapere per quali trasmissioni vengano spesi i loro soldi. In secondo luogo, la società o le società incaricate di finanziare i programmi Rai tramite pubblicità sarebbero diventate appetibili per il capitale privato, facilmente scorporabili e anche, eventualmente, privatizzabili. La proposta dei Democratici di Parisi venne serenamente ignorata sia dal centrosinistra che dal centrodestra, i quali, quando si tratta di Rai, sono come i ladri di Pisa: nemici di giorno e compari di notte. Il centrosinistra era ed è allergico a qualsiasi ipotesi, anche lontana, anche solo parziale, anche solo eventuale, di privatizzazione, essendo per esso la Rai un fondamentale distributore di rendite, politiche e di informazione. Ma era altrettanto allergico il centrodestra. Sia perché anch’esso interessato alle rendite Rai sia per un altro motivo: la difesa a oltranza del duopolio. Il centrodestra non poteva permettere che si creassero condizioni nuove, tali da far saltare, in prospettiva, quel tetto alla raccolta pubblicitaria della Rai che era giustificato dalla presenza del canone. Mediaset avrebbe corso il rischio di trovarsi di fronte a nuovi competitori in campo commerciale. Perché il governo Monti non ripesca, magari adattandola alle circostanze, quella proposta? Sarebbe bello, un giorno, risvegliarsi in un mondo nel quale la Rai non risulti più l’opprimente problema politico che è sempre stato.