Massimo Fini, il Fatto Quotidiano 17/3/2012, 17 marzo 2012
LO SPREAD DEI SUICIDI
Fabio Canessa, una delle non rare intelligenze che arricchiscono la provincia italiana e preferiscono starsene acquattate, uomo che a una vastissima e trasversale cultura unisce uno straordinario brio espositivo (in un seminario organizzato qualche anno fa da Filippo Martinez a Oristano, cui partecipavano, fra gli altri, Giulio Giorello, Barbara Alberti, Vittorio Sgarbi, la sua ’lectio magistralis’ sulla lingua latina, che non è materia che si presti, fu ritenuta la più brillante), professore di liceo a Piombino, ha fatto leggere ai suoi studenti del penultimo anno il mio pezzo “Psicofarmaco della Modernità” pubblicato sul Fatto del 6 marzo e con loro lo ha discusso. I ragazzi sono stati particolarmente colpiti dall’escalation dei suicidi dall’Europa preindustriale a oggi: 2,5 per centomila abitanti a metà del Seicento, 6,8 nel 1850, 20 per centomila oggi (questa è la sequenza corretta, io, citando a memoria, ne davo una leggermente diversa e comunque più sfavorevole alla mia tesi: 2,5-6,8-20). Qualche lettore del Fatto, dubbioso, ha obiettato: “Ma come si fa a fare statistiche attendibili per il ’600?”. Ora , nel ’600 nasce in Europa la scienza moderna, con Tycho Brahe, Galileo, Keplero, Cartesio, Huygens. Sono per lo più astronomi e matematici, ma ci sono anche i primi cultori di statistica. Il più importante fu, forse, Gregory King che si occupò di alimentazione, di composizione della famiglia e di redditi (da cui si ricava che le distanze fra i redditi da allora a oggi, epoca dell’uguaglianza, non sono affatto diminuite, ma di gran lunga aumentate). John Graunt studiò invece la mortalità e quindi anche i suicidi e ne diede conto nel suo volume Natural and political observations upon the Bills of Mortality, del 1662. Graunt prese per campione 400 mila abitanti di Londra nel ventennio 1640-1660. Le fonti sono gli archivi parrocchiali. Il risultato dà, appunto, 2,5 suicidi per 100 mila abitanti. Indubbiamente è un po’ azzardato prendere la sola Londra come rappresentativa dell’intera Europa. Ma è molto probabile che il dato pecchi per eccesso. La popolazione preindustriale era per i 4/5 rurale. Londra era già una metropoli ed è noto dal classico studio di Durkheim che l’urbanizzazione è uno dei più importanti fattori che determinano il livello dei suicidi. Se si va a spulciare gli archivi di qualche villaggio di campagna, per esempio Ashton-under-Lyne, sempre nel ’600, si vede che “parecchi decenni trascorrono con un solo suicidio o addirittura nessuno” (P. Laslett, “Il mondo che abbiamo perduto”). In ogni caso le statistiche che vanno dal 1850 ad oggi, che sono fatte con metodi di indagine moderni e coprono tutta l’Europa, confermano in qualche modo il dato precedente e dicono che in 150 anni i suicidi sono triplicati e vanno di pari passo col Progresso. Negli organizzatissimi Paesi scandinavi i suicidi sono molto più numerosi che nel meridione d’Europa, così come quelli nel Nord Italia sono quasi il triplo del più povero Sud (qualche anno fa i picchi maggiori si registravano nell’opulenta Emilia, per l’oggi non sono documentato). Nella Cina del boom economico il suicidio è diventato la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. Insomma il Progresso fa male. Questa è la dura sentenza che non si vuole ascoltare. E per quanti dati tu porti (altri se ne potrebbero fornire per le malattie mentali) i ciechi epigoni dell’Illuminismo trovano sempre il modo di non tenerne conto. E quando sono proprio a corto di argomenti allora, come scrive Ceronetti, saltano in piedi e con gli occhi pieni di sangue illuminista gridano: “Comunque indietro non si torna!”. Bravi, è proprio questo il nostro dramma.