Antonio Foglia, CorrierEconomia 19/03/2012, 19 marzo 2012
LE CAUSE DELLA CRISI? CHIEDETE AI REGOLATORI - U
n economista, Kraus, ed un politologo, Friedman hanno pubblicato un libro (Engineering the Financial Crisis) per dimostrare che la crisi è stata la conseguenza inevitabile di errori, altrettanto inevitabili, commessi dai regolatori. Questa tesi ha conseguenze profonde per la nostra visione dell’economia e di come governarla.
Se l’economia è un sistema dinamico complesso, come molti che esistono in natura, è difficilissimo prevederne l’evoluzione, se non a breve termine. Ma è altrettanto difficile analizzarne la storia cercando nessi di causalità la cui significatività diminuisce rapidamente risalendo nel tempo.
È il noto «effetto farfalla» il cui battito d’ali potrebbe, dopo una lunga catena di eventi, scatenare un uragano, ma avrebbe poco senso far ricadere sulla farfalla la responsabilità dell’uragano perfino se fosse possibile ricostruire la catena degli eventi.
Inoltre gli agenti economici, inclusi banchieri e regolatori, non possono che avere conoscenze e comprensione limitate della realtà in cui operano e sono anche propensi a commettere errori. Una visione del sistema in fondo più allineata alle incertezze della scienza del ventesimo secolo che alla sicumera di quella del diciannovesimo a cui molta della modellistica economica ancora si ispira.
La crisi è quindi riconducibile a problemi cognitivi. Dick Fuld, il capo di Lehman, ha perso un miliardo di dollari nel fallimento della sua banca. Nessun altro manager di Wall Street aveva i propri interessi altrettanto allineati a quelli dei propri azionisti. Ma gestiva un intermediario finanziario troppo complesso per potersi rendere veramente conto dei rischi che correva.
È improbabile che gli attuali vertici delle banche abbiano una visione più chiara di quel che fanno. Certo non l’aveva Jon Corzine che, dopo aver diretto per anni Goldman Sachs, ha portato al fallimento la sua MF Global lo scorso autunno. E, come Lehman, anche MF Global aveva appena pubblicato bilanci trimestrali in cui dimostrava di avere mezzi propri in eccesso rispetto ai requisiti minimi prudenziali imposti dai regolatori.
Ecco quindi il problema: complessità nel sistema, negli intermediari e nell’apparato normativo, con l’impossibilità per tutti, compresi i regolatori, di avere una comprensione d’insieme affidabile.
Friedman e Kraus mostrano ad esempio che, nel dare importanza alle agenzie di rating, i regolatori di Basilea non si sono resi conto che queste entità dai giudizi tardivi avevano ormai perso credibilità presso gli operatori dopo essere state protette per un ventennio da un oligopolio che la Sec, l’autorità di controllo Usa, aveva concesso loro. E se i regolatori non riescono nemmeno a prevedere l’effetto dell’interazione delle norme che essi stessi emanano, figuriamoci se possono prevederne l’effetto sul mercato.
La soluzione, per Friedman e Kraus, sta nel ridare spazio ai progetti eterogenei di imprenditori in concorrenza tra loro e responsabili della loro sorte. Le idee fioriscono, i progetti si selezionano, chi sbaglia paga e quindi impara. Non molto diversamente da quanto avviene nel processo di selezione biologica.
Mercati più liberi dalle interferenze dei regolatori apparirebbero forse più volatili nel breve periodo. Ma questa volatilità educherebbe ai rischi, invece di nasconderli nelle code di distribuzioni di rendimenti manipolate dalle autorità come avviene ora. La difficoltà sta nel conciliare questa maggiore volatilità apparente col desiderio di politici e regolatori di vedersi rinnovato l’incarico.
Perché ormai, grazie agli economisti, hanno la capacità di influenzare nel breve periodo l’economia, ma, stiamo forse imparando, solo al costo di disastri ben più gravi, anche se meno frequenti. Un esempio, non citato nel libro, sono gli hedge fund. Contrariamente a quanto politici e regolatori si attendevano, questi intermediari non regolamentati, liberi di assumersi i rischi che volevano, si sono rivelati molto più prudenti delle banche, operando, a parità di rischi corsi, con circa tre volte più capitale. E hanno attraversato la crisi con danni contenuti, qualche scomparsa, e certo senza creare problemi sistemici.
Le banche invece sono ancora quasi tutte li, in piedi solo grazie al sostegno dei contribuenti mediato dalle banche centrali. La cui ultima trovata è quella di stampare soldi da dare alle banche perché, aumentando ulteriormente una leva già folle, comprino titoli di Stato e si ricapitalizzino intascandosi lo spread. Per ora funziona. Ma è esattamente lo stesso che faceva Jon Corzine: ci andrà meglio?
Antonio Foglia