Alberto Costa, Corriere della Sera 19/03/2012, 19 marzo 2012
«LO SCEICCO MI RISPETTA E MI PAGA IL GIUSTO. PATO? NON C’E’ SOLO LUI» —
Carlò a Parigi guida contromano, nel senso che non ha rinunciato al suo macchinone inglese con il volante a destra («Basta fare il contrario di quello che facevo a Londra»), e con il francese se la cava già mica male («Il dialetto di Parma gli assomiglia, sono avvantaggiato»).
Carlò ogni mattina tiene una riunione con il suo staff parlando una specie di esperanto perché inglese, francese e italiano si mischiano nella discussione: Giovanni Mauri, il preparatore atletico nei secoli fedele, e Angelo Castellazzi, il tattico, costituiscono l’eredità delle sue stagioni milaniste; Paul Clement, il giovane assistente, e Nick Broad, il nutrizionista, lavoravano con lui al Chelsea; Roland Eric, il medico, Gilles Bourges, il preparatore dei portieri, e Makelele, l’altro assistente, incarnano l’anima francese del club.
Solo che Makelele se la prende comoda e al campo si presenta sempre un’ora dopo gli altri («Lui alla riunione non viene, è un tipo tranquillo»). Carlò ogni mattina riceve Mamadou Sakho, il suo capitano. Lui gli stringe la mano e gli chiede come va: «Quando me l’hanno presentato gli ho detto ridendo che il capitano della squadra deve venire a salutare l’allenatore prima di ogni allenamento e lui mi ha preso alla lettera. Ora non ho il coraggio di dirgli che scherzavo».Carlò con Mauri ha fondato una scuderia: c’è il nome (I Duepi), c’è la casacca («Il rosso del Milan, il blu del Psg e la croce del Parma»), mancano i cavalli. Carlò si è tuffato nella nuova avventura francese: dopo Tanzi, gli Agnelli, Berlusconi e Abramovich ora è la volta degli sceicchi del Qatar («Ragazzi giovani, ambiziosi e con molto entusiasmo. Non sono dei dilettanti allo sbaraglio, a me e a Leonardo lasciano un ampio spazio di manovra»). L’obiettivo è di prestigio: «Costruire una squadra importante nel futuro». Carlò in Francia è ancora imbattuto e dalla prossima stagione avremo un amico in più in Champions League.
Carlo Ancelotti, allenatore del Paris Saint Germain di Sirigu, Pastore, Ménez e Thiago Motta, com’è stato l’impatto con il suo nuovo mondo?
«In Francia sono stato accolto con tanto rispetto. Forse per il mio passato. Oppure perché ho accettato di trasferirmi in un calcio che non è ancora di primo livello».
E com’è il rapporto con la proprietà araba del club?
«Il presidente Nasser ama la cucina italiana e quando nella mia biografia ha letto che una volta ho portato Beckham da Cocchi, a Parma, adesso ci vuole venire anche lui. Così prima delle vacanze organizzo una trasferta culinaria in Italia».
Il suo ingaggio ha scatenato le polemiche.
«In Francia se n’è fatto un gran parlare. Si è scandalizzato pure il vescovo di Padova, Monsignor Mattiazzo, ma io qui non guadagno un euro più di quanto guadagnassi al Chelsea».
Si sente a disagio?
«Per niente».
A gennaio avete fallito l’assalto a Pato. Ci riproverete?
«Pato era un’opportunità ma il mercato a giugno si allarga e ci sono più possibilità».
Con gli infortuni aggiuntivi, ora la sua quotazione sarà pure calata.
«Io invece dico che Galliani chiederà anche di più. Nelle trattative Galliani è il numero uno».
Via lei, non è che il Chelsea abbia fatto faville con Villas Boas...
«Il Chelsea vive un momento di transizione. Vogliono rinnovare una squadra un po’ logora però per fare questo servono tempo e soldi. E poi sostituire Terry, Lampard e Drogba è difficile».
Quindi per Abramovich si annunciano tempi duri.
«Non è semplice rinnovare un gruppo di giocatori che ha dato tanto. Devi costruire qualcosa alle sue spalle, come ha fatto il Barcellona. Ma il Barça ci ha messo un bel po’ di anni prima di diventare quello che è ora».
È un discorso che può valere anche per l’Inter?
«Certo. Ed è lo stesso discorso che si faceva al Milan nelle stagioni passate. Per cambiare un gruppo che ha vinto tanto devi essere molto deciso. E invece magari preferisci aspettare, pensi che gli stessi giocatori possano vincere ancora. Alla fine, quando capisci che devi intervenire, è già troppo tardi».
Anche il Milan deve cambiare mezza squadra...
«Il Milan ha tanti giocatori in scadenza di contratto, è vero. Però l’anno scorso ha vinto lo scudetto e lo può rivincere. Il Milan ha usato una strategia diversa dagli altri. Prendiamo Nocerino: il suo rendimento in rapporto al prezzo pagato è stato pazzesco. Il Milan ha questa capacità di guardare lontano e quasi senza rendersene conto sta cambiando pelle. Forse è davvero l’unica società che riesce a mantenersi ad alto livello pur cambiando pelle. E poi tutti i giocatori che arrivano al Milan sentono un forte senso di appartenenza».
Anche i nuovi?
«È una maglia che pesa, quella rossonera. Quando la indossi senti qualcosa di speciale. Dipende dalla storia, dal passato. Questo fa la differenza».
La Juve è diventata aggressiva e il Milan non sta a guardare. Che gliene pare di tutte le polemiche tra le due big del nostro calcio?
«Mi sembrano esagerate. Il calcio italiano non ha bisogno di queste cose, sono benzina sul fuoco. La Juve sta facendo una bellissima stagione, è in lotta per lo scudetto e per la Coppa Italia. Le polemiche rischiano di trasformarsi in un boomerang, possono diventare un alibi per i giocatori in caso di prestazioni non convincenti».
Com’è Parigi rispetto alla sua Londra?
«Bellissima. Però se vuoi vivere tranquillo, Londra è l’ideale: non è caotica, è pulita e ordinata. I francesi assomigliano molto agli italiani. L’inglese è meno creativo, è più rispettoso delle regole. Qui a Parigi le regole le interpretano, come da noi in Italia».
Carlo, è sorpreso dal declino politico di Silvio Berlusconi, il suo ex presidente?
«Vedremo alle prossime elezioni se ci sarà stato il declino. Berlusconi è un combattivo. In questo momento di crisi globale chi è al governo paga il dazio. È difficile per Sarkozy, lo è stato per Zapatero. Io sono un berlusconiano di ferro e di una cosa sono certo: Berlusconi non fa politica per interessi personali. Ha cercato di fare qualcosa per l’Italia, per restare nella storia di questo Paese. E magari ci è riuscito. Soltanto il tempo potrà dirlo».
Alberto Costa