Paolo Lepri, Corriere della Sera 19/03/2012, 19 marzo 2012
GAUCK PRESIDENTE DI TUTTI I TEDESCHI. LA RIVINCITA DEGLI «EX» DELLA DDR —
Se avesse potuto decidere lui, probabilmente Joachim Gauck avrebbe atteso il voto dell’Assemblea federale che lo ha eletto undicesimo capo dello Stato tedesco nella sua casa di Nymphenburger Strasse, una tranquilla e un po’ addormentata via berlinese (alla cui porta vigilavano già da giorni due sentinelle della polizia) e si sarebbe poi recato a piedi al vicino Rathaus di Schöneberg, davanti al quale John Fitzgerald Kennedy disse il 26 giugno 1963 «Ich bin ein Berliner».
In quel luogo storico, Gauck (che è un grande oratore) avrebbe potuto pronunciare un discorso di una sola frase: «Io sono il presidente di tutti». Sarebbe bastato. La Storia ha già parlato per lui. In realtà le cose sono andate diversamente e l’ex pastore evangelico e uomo di punta del dissenso nella Ddr si è rivolto, come prevede il cerimoniale, ai deputati e ai rappresentanti della società che lo hanno eletto al primo scrutinio toccando i temi più cari della responsabilità e della libertà: «Dico sì con tutto il mio cuore e con tutte le mie forze alla responsabilità che mi avete affidato». Un appassionato tributo ai valori della democrazia da un uomo che ha potuto partecipare per la prima volta ad un’elezione libera quando ormai aveva cinquanta anni.
Un presidente di tutti, un presidente di tutta la Germania. Non solo per il consenso ampio (tutti i partiti meno l’estrema sinistra della Linke) con cui è stato eletto. Ma anche e soprattutto perché in quegli anni oscuri, precedenti alla caduta del Muro, Gauck ha lottato per i diritti e per la dignità umana senza perdere mai di vista l’obiettivo della riunificazione e facendone, anzi, l’orizzonte strategico della sua battaglia. Non è esagerato dire che con Kennedy e con l’ex cancelliere Helmut Kohl, Gauck diventa oggi, anche se sono passati oltre ventuno anni, uno dei protagonisti storici dell’unità tedesca. Arriva al vertice dello Stato un uomo che ha vissuto la realtà e le cui analisi sui totalitarismi di destra e di sinistra, è bene ricordarlo, sono molto lontane dai sospetti su una «relativizzazione» dell’Olocausto, come per esempio ha chiarito Götz Ali su Die Zeit.
Ma l’elezione di Gauck ha anche un altro importante risvolto. Che la Germania sia oggi guidata da due personalità, come il neopresidente e la cancelliera Angela Merkel che vengono entrambe dall’Est, chiude un’epoca, se non altro simbolicamente. Da ieri sappiamo che i confini invisibili sono totalmente scomparsi, almeno ai vertici della nazione. Ma non si tratta di una «rivincita». Sarebbe sbagliato infatti ritenere che al divario socio-economico esistente ancora tra i Länder occidentali e quelli orientali (dove i dati sulla qualità della vita, i salari, la disoccupazione, la forza degli investimenti sono ancora largamente insoddisfacenti) sia corrisposta in questi ultimi anni una analoga mancanza di influenza nella politica, nella cultura e nella società civile di quelli che venivano chiamati gli «Ossi».
C’è ancora, naturalmente, ancora tanta strada da fare, ma, nonostante qualche «nostalgia» di alcuni settori della Linke, sarebbe sbagliato ritenere che ci sia ancora chi condivida teorie catastrofiste come quelle di cui si fece portavoce per esempio, uno scrittore come Günther Grass. Pur non essendo in linea di principio contrario alla riunificazione, l’autore del Tamburo di latta guardò sempre con un pessimismo profondo alle conseguenze negative della «velocità» con cui si era realizzata utilizzando anche il termine di «colonizzazione». Diversa è stata la critica, certamente legittima, che intellettuali più giovani, vissuti nella Germania comunista, hanno espresso successivamente nei confronti dei ritardi di un modello di integrazione giudicato forse troppo aggressivo. «Condivido in pieno il giudizio negativo dei dissidenti di un tempo, ma non capisco perché l’acutezza del loro sguardo si perda quando osservano l’Occidente. La mia condanna della Ddr è inequivocabile, ma quanto più vivo nella Germania unificata tanto più discutibile mi appare questo sistema, che sino all’inizio degli anni Novanta mi sembrava l’unica alternativa possibile», diceva per esempio Ingo Schulze nel 2000. Molti anni sono passati e la Germania ha dimostrato di essere un paese in grado di lavorare a fondo sui propri squilibri e di sapersi interrogare sul futuro, come è accaduto, per esempio, sul tema dell’energia nucleare. E nella realizzazione di tutto questo sono stati sempre più determinanti uomini e idee provenienti da Est. Come, più in generale, in tutto quello che di nuovo è arrivato recentemente. Forse non è un caso che il più grande romanzo tedesco dello scorso decennio, La Torre di Uwe Tellkamp, sia di uno scrittore che ha saputo raccontare, nella Dresda in cui il partito aveva mille occhi, il mondo assurdo in cui ha resistito la sua giovinezza.
Paolo Lepri