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 2012  marzo 19 Lunedì calendario

Eccentrici, dissoluti, mondani Gli artisti sono vere rockstar - Luca Beatrice, Pop­L’invenzione dell’artista come star: Dalì, Warhol, Basquiat, Ko­ons, Hirst, Cattelan , in uscita per Rizzoli (pagg

Eccentrici, dissoluti, mondani Gli artisti sono vere rockstar - Luca Beatrice, Pop­L’invenzione dell’artista come star: Dalì, Warhol, Basquiat, Ko­ons, Hirst, Cattelan , in uscita per Rizzoli (pagg. 196, euro 18). *** «Frequentandoti ne­gli ultimi mesi, ho avuto modo di constatare fino a che punto l’arte sia per te un impe­gno abituale, un gioco gentile e in­flessibile volto a contaminare ogni aspetto del tuo vivere. Cosa cerchi di dimostrare con questo comportamento?». È la prima do­manda che Andrea Bellini, diretto­re del Museo di Arte Contempora­nea di Rivoli pone all’artista Luigi Ontani,in un’intervista pubblica­ta sul numero di marzo dell’edi­zione italiana di Flash Art . Mi piace l’idea che a questo in­terrogativo si possa rispondere con le parole di Maurizio Cattelan che Luca Beatrice pone a conclu­sione del suo nuovo libro, Pop­L’invenzione dell’artista come star: Dalì, Warhol, Basquiat, Ko­ons, Hirst, Cattelan , in uscita per Rizzoli (pagg. 196, euro 18). «Sono un uomo ossessionato dall’imma­gine. Lo so, non è granché come definizione, ma è quella che ren­de meglio l’idea », dice di sé Catte­lan, oggi il più quotato tra gli artisti italiani viventi. Quella stessa ossessione è al centro delle sei biografie che Bea­­trice ricostruisce, lasciando appa­rentemente l’opera sullo sfondo, e concentrandosi sull’autocostru­zione del personaggio concepita come un lavoro che si sviluppa in parallelo alla produzione artisti­ca, e in definitiva altrettanto e for­se più rappresentativo di questa. Al punto che è lecito chiedersi do­ve stia davvero l’opera, nei quadri e nelle sculture, o piuttosto nella trasformazione di se stessi in un’icona pop. Quando e come gli artisti han­no capito che potevano diventare rockstar? Le figure emblematiche inanellate dal volume tracciano un percorso all’inizio del quale c’è ancora un pittore tradizionale che vive nel mito di Velazquez, si­no a comportarsi come l’ultima possibile incarnazione del pittore di corte nella contemporaneità, e però nello stesso tempo elabora un’idea di sé radicata nell’imma­ginario hollywoodiano. Dalí ricor­da il mito di Giano Bifronte. Da una parte appartiene ancora al mondo degli hidalgos di Cervan­tes, e dall’altra aderisce a un’esi­stenza da jet set, accompagnando­si con donne- feticcio, e avvicinan­dosi ai media che manipola abil­mente, procedendo alla precoce monumentalizzazione di se stes­so. In Warhol il background artisti­co e il co­ncetto di autorialità conta­no sempre meno. Al secondo si so­st­ituisce l’idea di serialità dell’ope­ra, e dunque dell’organizzazione industriale della produzione. Il primo invece viene demistificato, in nome di una democratizzazio­ne dell’idea di artisticità che di­scende dalla celebre affermazio­ne: «Ognuno ha diritto al suo quar­to d’ora di celebrità », e dunque an­ch­e a essere riconosciuto come ar­tista. Il perché non è così impor­tante, sembra dir­ci Warhol. E tra le righe di Luca Bea­trice emerge il ri­tratto di un uo­mo che amava contemplare la vita ancor più che agirla, affasci­nato dal rumore di fondo più che dai riflettori. Qua­si che l’incapaci­tà di controllare sino in fondo l’impatto del pro­prio lavoro sul­l’idea di icona, lo affascinasse an­cor più della ca­pacità di strappare dai sotterranei gli esemplari umani più bizzarri per farne delle star provvisorie. Ma c’è un altro filo rosso che at­traversa tutto il libro, ed è la passio­ne per il denaro. Che in Basquiat assume la forma dell’autodistru­zione, nell’incapacità di distin­guere tra se stessi e gli oggetti di consumo che con la ricchezza ci si può assicurare, e bruciare così la vita come si farebbe con un guada­gno troppo facile. Il senso dello spreco di sé da parte degli artisti non appartiene solo al nostro tempo, e, come ri­corda Beatrice nell’introduzio­ne, ha segnato an­che grandi artisti del passato, da Caravaggio a Gui­do Reni, estenua­to classicista che forgiava a ripeti­zione immagini mariane sempre più sensuali per pagare i propri debiti di gioco. Ma nel rapporto tra arte e vita di Basquiat si realiz­za forse per la prima volta con compiutezza l’idea che il plusvalo­re assegnato all’opera finisce per rifarsi, come una condanna, sulla vita, come un gioco di addizione/ sottrazione. E soprattutto di calcolo parlano invece le storie di Jeff Koons e Da­mien Hirst, che potrebbero essere lette quasi come una metafora del­l’a­scesa e della decadenza della fi­nanza. Se da un lato Koons mutua ancor più che il look il comporta­mento asettico e scriteriato del­l’agente di borsa, Hirst, mentre da un lato continua a speculare sulla volatilità intrinseca del proprio «ti­tolo », dall’altro concepisce oggi l’opera stessa come il proprio be­ne rifugio (si pensi al teschio tem­pestato di diamanti, ossia a una re­alizzazione che ha un valore in­trinseco che va al di là di quello ar­tistico). Di Cattelan intriga infine il desiderio, annunciato dall’arti­sta di Padova, di scivolare fuori dalla propria carriera, e dunque dall’immagine di provocatore/ guastatore che lui stesso è riuscito a creare. Per riavere una vita nor­male, fuori dall’arte,visto che l’ar­tista è condannato a essere una star.