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 2012  marzo 19 Lunedì calendario

Paolo Bosusco La guida turistica che ama la solitudine - Paolo Bosusco, 54 anni, originario di Condove (Torino) era rimasto stregato dall’India più di vent’anni fa

Paolo Bosusco La guida turistica che ama la solitudine - Paolo Bosusco, 54 anni, originario di Condove (Torino) era rimasto stregato dall’India più di vent’anni fa. In Piemonte aveva fatto per un po’ un lavoro pericoloso e buono per pochi: montare reti d’acciaio anti-frane sui crinali e lungo le pendici delle montagne. L’India è un sogno da adolescente che si trasforma all’improvviso in realtà, con le prime escursioni, niente soldi in tasca: un amore eterno nato da un colpo di fulmine. Dopo, un cammino lungo e umile, fatto di studi profondi, persino sui dialetti e sulle innumerevoli culture degli Stati del Nord-Ovest, sino ad aprire a Puri, nell’Orissa, nel 2011, una piccola agenzia di viaggi. Con un’offerta precisa e senza compromessi: trekking (solo) a piedi, nelle zone tribali e nelle foreste, con lui a fare da guida; alle sue spalle una rete di accoglienza costituita dalle amicizie locali, faticosamente consolidate nel corso degli anni, che gli mettevano a disposizione case e rifugi, spesso assai modesti. «Ma è l’unico modo per sfiorare la cultura e l’anima di questo mondo incontaminato», spiegava. L’inverno in India e il ritorno in Italia alla vigilia del monsone per poi ripartire tra ottobre e novembre. Sempre con l’ansia di ottenere ogni annoil rinnovo del visto, con il pericolo di vederselo negare. Due anni fa aveva conosciuto una ragazza di Puri, voleva sposarla ma poi il matrimonio è sfumato. Un uomo libero. E solitario. La sua casa nella frazione Pralesio di Condove è una baita arrampicata su un poggio da cui si domina l’intera vallata, con la sagoma della Sacra di San Michele che sembra proteggere i boschi e le montagne. Un posto ideale per continuare la meditazione, per suonare il sitar. Seduto per ore e ore nel portico, su una ruvida panca di legno, la mente persa nelle pagine di un libro o nello studio di carte e di testi sulle tribù primitive di cui, grazie a quella speciale monomania dei neofiti, conosce ogni segreto, tanto da avventurarsi nelle aree più isolate. Ama dire che i viaggiatori decisi ad ingaggiarlo non devono «avere paura», perché lui li mette a contatto con la natura selvaggia, animali pericolosi e popolazioni autoctone dalle reazioni spesso imprevedibili. Conosce cinque lingue e non bisogna lasciarsi ingannare dal suo aspetto alternativo. Il lavoro di guida lo esercita nel modo più professionale possibile, seleziona con attenzione anche i clienti, rinunciando a guadagni facili. Un uomo che rifiuta ogni compromesso con il sistema che governa il turismo di massa; ma senza alcun odio, senza rabbia, senza mai politicizzare le sue scelte. La coerenza si percepisce anche dai dettagli. Prima di partire, qualche anno fa, aveva il problema di sistemare la sua auto, una decrepita e rugginosa Regata Station Wagon, una volta bianca. Ebbene, Paolo ha scavato con la pala un buco nella montagna, appena di misura, e l’auto è ancora lì. Ogni tanto cambia la batteria e fa un po’ di manutenzione. È fatto così, non la cambierà mai. L’incontro decisivo è quello con Bijay Kumar Dash. Con lui fonda la Orissa Adventurous Trekking, C.T. Road. Sono amici e con le stesse idee. Jeep e mini-bus solo per i trasferimenti essenziali, il resto a piedi, zaino in spalla e fotocamere solo per documentare la vita degli indigeni e la natura. Mai per trasformarli in uno spettacolo esotico. Il padre Azelio, 90 anni, si commuove, scendono lacrime; ai cronisti che assediano la villetta dei familiari, fa una sola domanda: «Voi come la vedete? Quanto durerà?». Paolo, sino a pochi tempo fa, lo portava con sé a Puri e i ricordi, adesso, hanno un’eco amara e struggente. Di gente solo (forse) in apparenza povera, che trae dalla natura cibo e regole. Gli Ak47 dei terroristi hanno spezzato l’incantesimo. Nessun dubbio. Paolo - se liberato - ritornerà nell’Orissa. Come se non fosse accaduto nulla.