PIERO BIANUCCI, La Stampa 19/3/2012, 19 marzo 2012
Rondini, testimoni della nostra cattiva coscienza - Le aspettiamo, come vuole il proverbio, per San Benedetto, 21 marzo, equinozio di primavera
Rondini, testimoni della nostra cattiva coscienza - Le aspettiamo, come vuole il proverbio, per San Benedetto, 21 marzo, equinozio di primavera. Loro, le rondini, stanno radunandosi sulle colline della Nigeria, pronte a spiccare il volo. Sono quattro milioni. Qualcuna ha addosso un fardello, un geolocator, un trasmettitore, mezzo grammo di tecnologia ultrasofisticata che permette di spiarne la rotta. Gli scienziati di un progetto di ricerca internazionale vogliono capire meglio come si orientano, individuare con sicurezza i fenomeni che insidiano la loro sopravvivenza, farne un censimento accurato. Le rondini significano tante cose. Sono un simbolo di libertà e di avventura: girano il mondo, volano per migliaia di chilometri senza scalo. Ma rappresentano anche un emblema di fedeltà: tornano sempre nello stesso luogo. Per l’ecologo sono un bioindicatore: dove ci sono rondini c’è meno inquinamento, ci sono meno pesticidi. Ea livello popolare, con una concezione antropomorfa che fa inorridire gli etologi, le rondini riassumono in sé valori della famiglia: arrivano, recuperano il vecchio nido o se ne costruiscono sapientemente uno nuovo con fili d’erba e fango, si accoppiano, dopo tre o quattro settimane le femmine depongono da tre a sei uova, seguono12-18 giorni di cova, poi i gusci si incrinano, dopo quattro giorni già i rondinini si affacciano sull’orlo del nido a becco spalancato, mamma e papà li nutrono, li imbeccano, li addestrano al volo. Le covate sono due, frettolose, aprile-maggio e maggio-giugno, a settembre bisogna partire e il viaggio sarà una dura selezione darwiniana. Le rondini adombrano anche la nostra cattiva coscienza. Ogni anno, pare, il loro numero diminuisce del 4-5 per cento. Dagli Anni 70 si sono dimezzate. Colpa dell’effetto serra che devia le migrazioni; degli allevamenti intensivi che non immettono, come quelli all’aperto, miliardi di moscerini nell’aria, cibo prelibato per i loro becchi; dei pesticidi, che sterminano i già scarsi moscerini disponibili. C’è, in tutto questo, la contraddizione del nostro modello di sviluppo. In più, le rondini ci ricordano la nostra ignoranza. Dal 1758, quando lo svedese Linneo classificò la «Hirundo rustica», sono passati due secoli e mezzo, ma ancora non sappiamo con precisione quale bussola guidi queste indomite trasvolatrici. Per fortuna, diranno i romantici, la poesia conosce ragioni che sfuggono all’etologo. Le rondini volano a stormi dai gridi allegri nel cielo di Giovanni Pascoli. Peccato che, componendo due quartine tutte dedicate a loro, incappi in un incidente. Colpita da chissà quale stolto cacciatore, la rondine del Pascoli cade «tra spini», e «aveva nel becco un insetto: / la cena dei suoi rondinini. / Ora è là, come in croce che tende / quel verme a quel cielo lontano / e il suo nido è nell’ombra che attende / che pigola sempre più piano». C’è un po’ di confusione, bastano due versi perché il poeta distratto trasformi l’insetto in un verme. Ma i vermi non sono affatto il cibo prevalente delle rondini, che invece, volando a becco spalancato, catturano seimila insetti al giorno. Facciamocene una ragione.Tanto non avremo mai un poeta che canti le scoperte del geolocator.