Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 18/3/2012, 18 marzo 2012
JP MORGAN CHIUDE IL CONTO DELLO IOR - JP
Morgan Chase Bank Na, filiale di Milano, chiude i rapporti con lo Ior, la Banca vaticana da tempo nel mirino della Procura di Roma per presunta violazione della normativa antiriciclaggio. La rottura è stata comunicata con una lettera del 15 febbraio scorso, in cui si legge che il conto dello Ior «verrà chiuso il giorno 30 marzo 2012» ma che già dal 16 marzo non saranno più eseguiti bonifici «di importo non rilevante, ricevuti via swiftnet file act». La ragione della rottura è spiegata nella stessa missiva, in cui JP Morgan prende atto che lo Ior è «impossibilitato a rispondere» alle richieste di ulteriori informazioni riguardanti alcuni pagamenti trasmessi dal conto presso la filiale di Milano, ma al tempo stesso ricorda che le attività bancarie della filiale sono regolate «sia dalle leggi dello Stato italiano che dalle Policy interne» per cui, confrontando le motivazioni dello Ior con le direttive di entrambi gli istituti, JP Morgan ritiene di «non avere sufficienti informazioni per poter continuare a fornire il servizio di pagamenti e incassi dal conto n. 1365».
Il conto 1365 era stato acceso nel 2009, quando la filiale di Milano JP Morgan - emanazione del gruppo bancario americano - acquisisce come cliente lo Ior, titolare di conti presso la stessa banca sia a New York che a Francoforte. Il conto viene monitorato dalla struttura di controllo antiriciclaggio di JP Morgan (operante nel Regno unito, con raggio d’azione su Europa, Medio Oriente e Africa) perché risultano accrediti non attribuiti agli effettivi beneficiari ma allo stesso Ior. Nel 2010, dopo le note iniziative della Procura di Roma nei confronti della Banca vaticana, JP Morgan qualifica lo Ior come cliente ad alto rischio e stipula un accordo con la Banca vaticana sugli obblighi di informazione, ai fini della verifica rafforzata prevista dall’articolo 28, comma 4, del decreto 231 del 2007.
Il conto 1365 presso la filiale di Milano ha una particolare caratteristica: in forza di una clausola contrattuale (sweeping facility), il saldo di fine giornata viene portato a zero e il suo contenuto refluisce sul conto Ior a Francoforte. I movimenti sono elevati, certamente superiori al miliardo di euro nell’arco di tempo di un anno e mezzo. Nell’ottobre 2011, il Procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi e il sostituto pm Stefano Fava, titolari dei procedimenti in corso nei confronti dello Ior, chiedono lumi all’Uif - l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia - sul modo di operare del conto. Le ispezioni di Bankitalia portano a formulare specifiche richieste a JP Morgan Chase Bank NA, filiale di Milano, su specifici movimenti di danaro e, a sua volta, JP Morgan si rivolge allo Ior per ottenere tali informazioni, ricevendo però un rifiuto. Di qui la lettera del 15 febbraio per comunicare la chiusura definitiva del conto a far data dal 30 marzo 2012.
I dettagli della verifica chiesta dalla Procura della capitale all’Uif sono coperti dal più stretto riserbo, ma sta emergendo il nucleo centrale: nella catena di richieste di informazioni su singole posizioni e movimenti di danaro - dall’Uif a JP Morgan e da questa allo Ior - ci sono stati momenti di non collaborazione e di veri e propri rifiuti della Banca vaticana a fornire le specifiche informazioni richieste.
I rapporti tra JP Morgan e lo Ior, pur risalenti nel tempo, si erano intensificatisi in Italia dopo l’avvio dell’indagine della Procura di Roma. In particolare dopo il sequestro di 23 milioni (disposto a settembre 2010) che l’istituto d’Oltretevere aveva trasferito, tramite il Credito artigiano, alla JP Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni), senza indicare le generalità dei soggetti per conto dei quali erano state disposte le operazioni e senza dare alcuna informazione sullo scopo e la natura di esse.
I 23 milioni furono poi dissequestrati, perché intervennero due fatti nuovi di straordinaria rilevanza: l’istituzione (il 30 dicembre 2010) di un’Autorità antiriciclaggio del Vaticano (Aif, omologo dell’italiano Uif e degli altri organismi di controllo degli Stati europei) nonché il varo (su impulso di Benedetto XVI) di una legge sul riciclaggio contenente disposizioni importanti, come l’introduzione del reato di autoriciclaggio (tuttora inesistente in Italia, tant’è che è uno dei temi all’attenzione del governo in vista dell’emendamento al ddl anticorruzione). Per inciso: i due fatti nuovi arrivano con la difesa "illuminata" dell’attuale ministro della Giustizia Paola Severino, (all’epoca avvocato), subentrata al precedente difensore dello Ior, che contribuisce a creare le condizioni favorevoli al dissequestro. Successivamente, però, su entrambi i fronti emergono difficoltà e attriti, sia interni sia con la magistratura. L’Aif, dopo l’esordio all’insegna della collaborazione, è apparso ai magistrati via via sempre più reticente, anche perché non ha fornito alcune informazioni anteriori al 1° aprile 2011, data di entrata in vigore della legge antiriciclaggio, lasciando così nella più assoluta oscurità tutte le vicende precedenti a quella data. Sul versante della nuova legge, poi, si è registrata una marcia indietro con la modifica varata a gennaio, che sposta il baricentro del controllo finanziario dall’organo indipendente alla Segreteria di Stato.
Fatto sta che nel 2010 lo Ior decide di togliere i depositi dalle banche italiane per dirottarli soprattutto verso istituti tedeschi, tra cui JP Morgan.
Ora che il rapporto con la filiale di Milano si è chiuso, c’è da chiedersi che cosa farà la banca vaticana, a chi si rivolgerà. Intanto, nelle indagini in corso restano aperti alcuni interrogativi, per esempio sulla funzione di quella sorta di "conto a soffietto". È stato uno strumento per mettersi al riparo da un nuovo sequestro, come quello che scattò nel 2010? Che cosa c’è all’origine della reticenza dello Ior? Si tratta di capire se è soltanto il retaggio di un modo di operare radicato da tempo e non ancora del tutto superato o se è invece un modo per alzare un muro di fronte a richieste di informazioni "imbarazzanti", come quelle che ha dovuto porre JP Morgan.
Forse, in questo senso, può essere già indicativo il contenuto della lettera inviata a febbraio dai magistrati romani ai ministeri dell’Economia e della Giustizia, in vista delle decisioni che entro luglio dovrà prendere il Gafi (Gruppo di azione finanziaria) sull’efficacia della normativa antiriciclaggio della Santa sede e sulla sua affidabilità ai fini dell’inserimento nella white list dei paesi virtuosi in materia di transazioni finanziarie (la valutazione del Moneyval Committee è ancora in corso). La Procura «evidenzia» una serie di «criticità» nei rapporti di «collaborazione finalizzati all’attività di contrasto del riciclaggio» e fa notare che «i dati forniti dall’Aif sono temporalmente delimitati al periodo successivo al 1° aprile 2011», quindi «assolutamente insufficienti e inidonei a ricostruire le modalità di effettuazione di eventuali operazioni di riciclaggio imperniate sull’utilizzazione di conti accesi presso lo Ior». Le informazioni fornite vengono definite «del tutto generiche in ordine all’identificazione e movimentazione dei conti nonché alle rimesse effettuate sui conti stessi; con l’effetto di lasciare del tutto inesplicati - si legge - i dati economici menzionati nella risposta, tutti cristallizzati al 1° aprile 2011».