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 2012  marzo 18 Domenica calendario

Imprenditori a rischio suicidio In linea c’è un telefono-amico - No, c’è qualcosa che non qua­dra

Imprenditori a rischio suicidio In linea c’è un telefono-amico - No, c’è qualcosa che non qua­dra. E che, soprattutto, è profonda­mente ingiusta. L’imprenditore (parliamo di piccoli e medi artigia­ni) esegue il lavoro che gli è stato ordinato, ma il committente - al momento di saldare il conto ­prende tempo, «traccheggia»: in­somma, non mette mano al porta­foglio. Lo Stato chiede però all’im­prenditore il versamento imme­diato dell’Iva (21%) sulle fatture emesse, ma in realtà mai incassa­te dall’artigiano. Attenzione: spes­so il «mal pagatore» è proprio lo Stato, che poi pretende il versa­mento dell’Iva dallo stesso im­prenditore al quale si è «dimenti­cato » versare il dovuto. La doman­da sorge spontanea: può uno Sta­to inadempiente usare il pugno di ferro con le vitti­me della sua stessa inadem­pienza? I 4 im­prenditori che dall’inizio del­l’anno si sono suicidati arro­vellandosi sul­l’interrogati­vo, la risposta l’hanno trova­ta stringendosi un cappio al collo. Un epilogo drammatico, assurdo, che deve farci riflettere. E a riflettere - oltre ai politici- dovrebbe essere anche un sistema bancario che, a volte, giganteggia solo per la sua ottusi­tà. Nelle tragedie dei 4 artigiani che si sono tolti la vita, c’è infatti un tratto comune: una banca che ha negato un prestito micragno­so, che si è rifiutata di rinnovare un piccolo mutuo, che si è oppo­sta alla proroga una rata di poche centinaia di euro. Nei 4 casi, finiti tra le brevi di cronaca, tutto ruota­va attorno a somme ridicole che però, agli occhi di questi sfortu­nati imprendi­tori, si sono tra­s­formate in ma­cigni enormi che, alla fine, li hanno schiac­ciati. Com’è ac­caduto, dall’ini­zio del 2012, a Ivano Polita, 60 anni, di Noventa di Piave; Gio­vanni Schiavo, 52 anni, di Padova; Roberto Manganaro, 47 anni, di Catania; Paolo Trivellin, 45 anni, di Vicenza: tutte persone per be­ne, esattamente come gli altri loro colleghi che, negli anni scorsi, li hanno preceduti sulla strada del­la disperazione. Per aiutare a evi­tare che simili vergogne possano ripetersi (negli ultimi due anni so­no stati 30 i titolari di aziende a conduzione familiare che si sono ammazzati) è nato il progetto Ter­raferma: una rete di assistenza psi­cologica che - partendo da una semplice telefonata di «conforto» - aiuta l’imprenditore in difficoltà a non perdere la propria autosti­ma. Dall’altra parte del filo l’im­prenditore che vacilla sotto i colpi della crisi troverà una quindicina di professionisti, pronti a farlo uscire dal tunnel della «vergo­gna » (la vergogna di non poter pa­gare di dipendenti, la vergogna di non saper più guardare negli oc­chi moglie e figli), pronti a fargli esorcizzare quella parola ango­sciante: «fallimento». L’iniziativa parte da Varese grazie a Massimo Mazzucchelli, un imprenditore che queste bruciature dell’anima le ha patite personalmente. La sua idea si è poi sviluppata nelle re­gioni del Nord Est (area che ha re­gistrato la maggioranza dei suici­di), ma l’obiettivo è quello di copri­re anche le zone del centro e del sud. «Riceviamo tantissime telefo­nate - racconta uno degli psicolo­gi che ha offerto la propria adesio­ne al progetto Terraferma - . C’è chi piange, chi protesta, chi si di­spera. Ma tutti hanno la necessità di sfogarsi. Per calmarli basta a vol­t­e semplicemente starli ad ascolta­re. Ma ci sono anche casi più gravi, dove una telefonata non basta. Bi­sogna vedersi di persona. E noi sia­mo sempre disposti a farlo ». Dallo screenig delle chiamate, emerge un identikit di imprenditore a «ri­schio- suicidio» che soffre per una serie di luoghi comuni: si comin­cia con l’assioma «imprenditore uguale ricco» e si finisce col paral­lelismo «imprenditore uguale eva­sore fiscale ». Certo, nella fascia al­ta degl­i imprenditori esistono per­sone che fanno un sacco di soldi e non pagano le tasse; ma, nel caso del piccolo e medio artigiano che si ammazza per i debiti (ma - co­me abbiamo visto- anche per i cre­diti che non ha potuto incassare) ci troviamo dinanzi a una tipolo­gia diversa: questa - per lo più - è gente che ha un rapporto con i pro­pri dipendenti (mediamente me­no di 10) quasi da pater familias ; una sorta di capo dal volto umano che non licenzierebbe mai uno dei «suoi» dipendenti. Perché, quei «ragazzi», sono anche la sua forza, il suo futuro. Altro che welfa­re e ammortizzatori sociali: nelle aziende a conduzione familiare tutto si «ammortizza socialmen­te » e «welfarizza» in un gioco di squadra. Ma, quando lo Stato e le banche ti mettono con le spalle al muro, ecco che cominciano i guai. Ti guardi allo specchio e non ti rico­nosci più. Allora decidi farla fini­ta. Per sempre.