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 2012  marzo 18 Domenica calendario

Generazione “No future” - Lo slogan «No future» l’ha inventato, o almeno messo in circolazione, un ragazzo di strada londinese, figlio di un gruista irlandese, appassionato di musica

Generazione “No future” - Lo slogan «No future» l’ha inventato, o almeno messo in circolazione, un ragazzo di strada londinese, figlio di un gruista irlandese, appassionato di musica. Nel 1976 scrisse il testo di una canzone per il gruppo di cui era il cantante: i Sex Pistols. John Lydon «Rotten» lo ripeteva più volte mentre la musica percussiva della band correva via. Da quel momento l’espressione è diventata, nei due decenni seguenti, la parola d’ordine, prima dei punk, poi del ribellismo giovanile d’ogni tipo e forma, fino a che è rispuntata, forse non a caso, sui muri della Val di Susa, dichiarazione provocatoria sul nostro presente collettivo. Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra, psicoterapeuta, che da anni si dedica all’ascolto degli adolescenti e delle loro famiglie, riprende questo tema e lo mette al centro di un saggio dal piacevole tono colloquiale, Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli (Laterza, pp. 146, 15), il cui primo capitolo s’intitola programmaticamente: «Sottrarsi alla tirannia del passato». In tanti anni di psicoterapia, propria e altrui, Pietropolli Charmet ha maturato la convinzione che siamo prigionieri del nostro passato, rivolti a ricostruire traumi, paure, angosce, ansie che traggono la loro origine da ciò che sta alle nostre spalle, incapaci di metterci in relazione col futuro, di affrontarlo, colonizzarlo, deciderlo. Di più, esiste come una cospirazione attiva e palese - un «intrigo», per dirla con Marc Augé autore di Futuro (Bollati Boringhieri, pp. 134, 10) da parte degli adulti e degli anziani (la gerontocrazia al potere) per sottrarre il futuro ai giovani, per convincerli, con un efficace marketing, che il futuro sarà catastrofico, terribile, inabitabile, per cui è meglio vivere nel presente, coltivando il sogno del consumo di se stessi e del mondo, secondo le indicazioni della «sottocultura televisiva» che ha nella pubblicità il suo aedo più efficace. Lo psicoterapeuta è invece tutto dalla parte dei ragazzi e li invita - tramite i loro genitori che leggeranno questo volume a resistere e a rilanciare la loro lotta per conquistare il futuro. Insomma, rovesciare l’inno nichilista e sadomasochista dei Sex Pistols, che rivolgevano contro se stessi la rabbia per le delusioni subite da parte del mondo adulto con le sue promesse di sviluppo e progresso - anno 1976 - mentre migliaia di loro provavano sulla propria pelle gli effetti della prima crisi della società postindustriale. Oggi, a quasi quarant’anni di distanza, in mezzo a una nuova grande crisi, dipinta come la peggiore dal 1929, il futuro diventa sempre più incerto, o addirittura assente. «Il mondo degli adulti, scrive Pietropolli Charmet, «ha abdicato in modo consapevole a reclutare gli ideali dei giovani, la loro capacità di sperare, il loro intrinseco bisogno di cambiamento, per organizzare la svolta culturale, etica, politica, relazionale e simbolica». I giovani hanno il futuro dalla loro parte, mentre gli anziani hanno solo un lungo passato alle spalle. È in corso un vero e proprio scippo del tempo, l’effetto di un’attiva invidia degli anziani, che culmina nella requisizione del tempo di vita dei ragazzi, per farlo diventare tempo della scuola, come accade nei licei, o del dopo scuola, come nelle attività sportive e nei corsi di addestramento, dalla musica alla dizione, fino alle vacanze-studio in Inghilterra: «tutte creazioni adulte finalizzate a ridurre il tempo libero dei ragazzi». Come si è arrivati a questo? Augé nel suo volume spiega che la fine del «Sol dell’avvenire», delle Grandi Narrazioni, ovvero delle ideologie del Novecento, ha prodotto in Occidente una riduzione dell’orizzonte della vita umana al solo presente, riprendendo una lettura di Lyotard nella Condizione postmoderna . Ma mentre l’antropologo francese descrive per grandi linee il fallimento dell’idea di futuro, dei progetti utopici del Secolo breve, lo psicoterapeuta racconta le sue esperienze con i ragazzi e ci spiega come il superamento dei modelli tradizionali - il «padre etico» del passato - ha significato l’emergere di una «cultura generazionale» che prescinde dalla famiglia come dalla scuola, e che non è affatto negativa; o meglio: contiene, tra tante cose anche molti elementi positivi. Il Noi è più forte dell’Io, per quanto, come ha scritto in un precedente libro - Fragile e spavaldo (Laterza), nato anch’esso da un intervento al Festival della Mente di Sarzana - il santo patrono dell’adolescente contemporaneo non sarebbe più Edipo, uccisore del padre, minacciato dall’incombente senso di colpa, bensì Narciso, dedito all’autocontemplazione e insieme tormentato da un’insostenibile vergogna. Il fatto è che le istituzioni adulte, la scuola per prima, non insegnano più il «tempo futuro», con grande depauperamento dell’intera società. Il nuovo padre, genitore «accuditivo», nutre grandi aspettative di tipo narcisistico nei confronti della riuscita sociale del figlio, mentre il «padre etico» imponeva la propria visione e costringeva i figli al conflitto, il cui esito era pur tuttavia incerto, vista l’idea assai diffusa tra gli ex ragazzi divenuti adulti, ribelli o no, d’avere comunque fallito. Oggi il problema è diventato, scrive Pietropolli Charmet, quello di un conflitto d’altra natura prodotto da un’adolescenza che rischia di essere bloccata nella sua ripetizione, come accade nell’ossessiva esplosione musicale della band punk inglese. Un anonimo ragazzo delle banlieue francesi, durante una delle rivolte, ha scritto su uno striscione: «Papà, voglio un posto di lavoro: il tuo». Come andrà a finire, per il momento, nessuno lo sa.