PAOLO MASTROLILLI, La Stampa 18/3/2012, 18 marzo 2012
DA PESCATORI A SPAZZINI
La fitta nebbia del primo mattino nasconde ancora i pescherecci, quando il capitano Bill Seymour arriva sulla banchina del porto di Biloxi.
La cura che mette nel lavoro è sempre la stessa: ha controllato le previsioni del tempo, caricato l’attrezzatura, indossato il salvagente giallo Lsopra i jeans e gli stivali. «Solo che non vado più a pesca - dice con un sorriso amaro -. Ho venduto la mia barca, perché non ci sono più soldi da fare. Ora lavoro per le compagnie che ripuliscono il Golfo dalla marea nera della Bp».
Era il 20 aprile del 2010, quando la piattaforma Deepwater Horizon esplose davanti a queste acque, uccidendo 11 operai e ferendone 17. Il petrolio cominciò a rovesciarsi in mare, e prima che i soccorritori riuscissero a tappare il pozzo, 4,9 milioni di barili avevano inquinato un’area di oltre 200.000 chilometri quadrati. Dalla Florida al Texas, circa 790 chilometri di costa furono inzuppati dalla marea nera, e Biloxi stava al centro del disastro. Un tempo questa era stata la capitale americana del pesce, costruendo la sua ricchezza sui gamberi, le ostriche e i granchi venduti in tutto il Paese. Ma nel momento peggiore del disastro, giugno 2010, le autorità avevano vietato di calare le reti su un’area del Golfo del Messico pari a 225.290 chilometri quadrati. Il danno complessivo alla pesca venne stimato in due miliardi e mezzo di dollari.
Quello fu il momento in cui il capitano Seymour decise che non c’era più futuro. «Il mio peschereccio si chiamava Lucky Lady, e per vent’anni aveva fatto la mia fortuna. Se ti organizzavi bene, sfruttando tutta la stagione per prendere gamberi, ostriche, pesce e granchi, potevi guadagnare anche centocinquantamila dollari l’anno. Partivi la sera, e la mattina tornavi con la stiva piena. Dopo la marea nera è tutto finito. I colleghi che vanno a pescare ci sono ancora, ma tra il costo del carburante e le nuove regole che limitano la nostra navigazione, non conviene più. Non so proprio che fine farà questa industria». Così Bill ha preso la decisione più triste della sua vita: «Ho venduto il Lucky Lady per quarantamila dollari, e sono venuto a lavorare qui. Avevano bisogno di gente esperta, e a me non dispiace aiutarli».
Qui è la banchina del porto di Biloxi, davanti ai pescherecci, dove ogni giorno partono le barche che vanno a ripulire le spiagge. Perché è vero che la marea nera non si vede più dai satelliti, i turisti sono tornati, e il ristorante Half Shell ha ripreso a servire le ostriche crude al bancone, però il petrolio c’è ancora. «Usciamo ogni mattina - spiega Hayley Strug del National Park Service - per andare nelle 34 isole che punteggiano e proteggono la nostra costa. Scendiamo con questi lunghi bastoni a cucchiaio, per scavare sotto la sabbia e recuperare i grumi di petrolio. Poi li portiamo indietro e li esaminiamo, per capire da dove vengono».
Hayley è una ragazza con i capelli lunghi e biondi, che fanno a pugni con la barba grigia di Bill, ma sono una squadra affiatata, insieme agli altri venti o trenta colleghi che lavorano con loro. La British Petroleum finora ha pagato oltre 500 milioni di dollari per queste operazioni di pulizia, e stamattina si parte per Cat Island. «Il problema - spiega Hayley - è che la situazione cambia sempre. Oggi il petrolio sembra sparito: domani arriva una mareggiata, sposta la sabbia e scopri che sta ancora là». Ci indica il profilo di un isolotto fatto di arena bianca, dove il capitano Seymour sta pilotando la barca. «Un po’ di pesce c’è - dice Bill, mostrando l’acqua marrone per i sedimenti scaricati dal Mississippi nel Golfo -, ma non è più come una volta». La National Oceanic and Atmospheric Administration, in effetti, conferma che la mortalità di delfini e balene è ancora doppia rispetto al 2010. «Vedi laggiù?», domanda Seymour. «Quelle sono carcasse. Adesso andiamo a controllare». La barca raggiunge un tratto di spiaggia dove stanno immobili delle sagome che ricordano quelle dei delfini: «Purtroppo - conferma Hayley - succede molto spesso. Delfini, tartarughe, uccelli. Quando li troviamo li portiamo indietro, per farli esaminare e capire se sono morti per colpa del petrolio».
Hayley si volta, e Bill ci prende da una parte: «Le cose stanno molto peggio di quanto dicono. La verità è che al massimo abbiamo tolto il 10% del petrolio. La Bp vuole far credere che l’emergenza è finita e sta pagando tutti per tappare le bocche». All’inizio di marzo, in effetti, ha messo sul tavolo quasi otto miliardi di dollari per chiudere le cause: «Vuole scappare, prima che la verità venga a galla. Ma è venuto il momento di raccontare come sono andate davvero le cose. La prima cosa che ci fecero fare, dopo il disastro, fu spruzzare in mare questi dispersant chimici, che ottengono solo il risultato di ammazzare un sacco di pesci e far affondare il greggio. Così non lo vedi più, ma sta ancora là. Sulla costa, poi, ci chiedevano di coprirlo con la sabbia. Una volta trovammo un blocco enorme di petrolio solidificato: invece di portarlo via, fecero venire una macchina per tagliarlo, in modo che poi fosse più facile disperderlo. Ma appena ci sarà la prossima tempesta tropicale, o il prossimo uragano che colpirà queste coste, tutto tornerà in superficie e il mondo vedrà come stanno davvero le cose». La ragione per cui la gente tace è semplice, secon- del Messico
do Bill: «I soldi parlano. Io prendo 125 dollari al giorno, ma chi affitta le barche ne intasca 1800. E poi ci sono i quattrini delle cause, che sono un’enormità. Chi si accorda adesso però sbaglia, perché quando verranno fuori le vere dimensioni del disastro i risarcimenti arriveranno alle stelle».
E pensare che secondo i politici locali la gente è contro la moratoria delle trivellazioni. Due candidati repubblicani alla Casa Bianca, Santorum e Gingrich, sono venuti qui al Gulf Coast Energy Summit per accusare il presidente Obama di soffocare l’economia col suo «radicalismo ambientalista». Aiutati dall’aumento del prezzo della benzina, chiedono di riprendere ovunque le perforazioni: «Lo chiamano il male minore. Forse per loro, che fanno i soldi». Bill invece deve portarsi i panini sulla barca, e mangia pure il pesce preso dai colleghi: «L’ho sempre fatto, e continuo. A voi però non lo consiglio: dentro c’è sicuramente roba brutta. Non so che fine fareste, coi vostri stomaci delicati». Quanto alla fine di questa storia, il capitano Seymour non la vede proprio: «Io morirò, e il petroli