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 2012  marzo 19 Lunedì calendario

Valentina Nappi, 21 anni, napoletana, studia design all’università. Ma nel suo futuro non vede case da arredare o mobili da disegnare: Valentina sogna di diventare una pornostar

Valentina Nappi, 21 anni, napoletana, studia design all’università. Ma nel suo futuro non vede case da arredare o mobili da disegnare: Valentina sogna di diventare una pornostar. Il suo sogno “ridicolo”, come lo ha definito nel testo che segue, si sta realizzando: ha già lavorato con il re italiano del settore, Rocco Siffredi, e il 9 maggio uscirà il suo primo film. La pornografia per Valentina non è solo un’attività ma una battaglia culturale: “Sogno un porno che occupi un posto di primissimo piano nel mondo della cultura”, scrive nell’introduzione al suo blog inpuntadicapezzolo.it. Si definisce performer perché quello che produce sono azioni. Ma la pratica da sola non basta. Attraverso il suo lavoro, Valentina vuole promuovee idee e valori: riportare il porno in una dimensione culturale, più vicina all’arte e al design. In un’intervista ad AgoraVox ha detto: “Mi piacerebbe sfatare il mito della napoletana tradizionalista, pudica e monogama. Mi piace pensare che il sangue partenopeo sia quello degli antichi..e Pompei all’epoca voleva dire raffinatezza, edonismo, lussuria”. Abbiamo chiesto a Valentina Nappi di raccontare ai suoi coetanei di Solferino 28 anni che significa essere una pornoperformer a vent’anni. Ecco la sua risposta: Io e la pornografia: genealogia di un sogno “ridicolo” Dicembre 2009. Girona. Pomeriggio. Taxi per Roses, Cala Montjoi, Ristorante El Bulli. Inizio della cena. Urto frontale con le emozioni più potenti che una pratica umana contemporanea possa procurare. È l’inizio, per me, di un filone d’evoluzione cruciale, che mi porterà ad essere la giovane donna che sono, fieramente votata a un’attività la cui rilevanza è ingiustamente misconosciuta o fraintesa: la pornografia. Si parte da qui: da El Bulli, da Ferran Adrià. Mai avevo pensato che della “roba da mangiare” potesse dare tanto. Eppure non avevo una concezione “idealistica” delle gerarchie estetiche: già detestavo il razzismo culturale da liceo classico deteriore, amavo l’artigianato, non mancavo mai di sottolineare i contenuti cognitivi della tecnica sartoriale o gli aspetti tutt’altro che “modaioli” di certa moda (McQueen, ad esempio), che tra l’altro era il mio interesse principale. Ma la moda è pur sempre legata al linguaggio visivo-plastico-topologico-funzionale proprio dell’architettura e del design, e in fondo non è difficile riconoscerne il valore. Invece per la cucina il discorso è diverso, perché i sensi del gusto e dell’olfatto sembrano avere a che fare con la sfera pulsionale – e quindi più primitiva, meno “nobile”, o comunque meno “astratta” e complessa – dell’umano. Ebbene, il pregiudizio appena enunciato è stato magistralmente decostruito – non con i mezzi della filosofia ma con quelli della poiesi, del fare, dell’effettivo realizzare – dal genio di Ferran Adrià. Non amo il decostruzionismo di maniera. Amo invece le decostruzioni quando sono “potenti”, cioè supportate da necessità forti e dotate di conseguenze feconde, come ad esempio la decostruzione dei concetti kantiani di spazio e di tempo ad opera di Einstein, la decostruzione della semantica referenziale della pittura ad opera di Kandinskij o la decostruzione dei pregiudizi (tardo)romantici circa la non artisticità della fotografia ad opera della Photo Secession. Al pari di queste ultime – al di là delle ovvie differenze – anche quella operata da Adrià è stata una decostruzione “potente”, che è derivata da necessità “logiche” e poietiche inderogabili. Il mio sogno sulla pornografia nasce dall’esperienza per me folgorante della cucina di Adrià. Mi sono chiesta: perché non anche nella pornografia un fermento analogo? Certo, c’è una differenza non da poco. Infatti uno sdoganamento vero – cosa ben diversa dalla semplice legittimazione – della pornografia – legata essa com’è alla sfera sessuale, la quale ha un’enorme problematicità nelle sue implicazioni emozionali e sociali – pone necessità decostruttive ancor più ardue da far accettare come plausibili. C’è il problema del diffuso riconoscimento del disvalore (umano, emozionale) di una sessualità a carattere non privato e non dilettantesco. È un po’ come se si dicesse che la vera cucina è quella che si fa per le persone che si amano, mentre la cucina professionale destinata a un pubblico di estranei è un’aberrazione umana e professionale – e non semplicemente una cosa diversa. Ma è davvero così vincolante tale percezione dei rapporti tra sfera sessuale e socialità, da delegittimare qualsiasi forma di artigianato del piacere sessuale (procurato “live” – o in maniera mediata come nel caso della pornografia) a carattere non privato e non dilettantesco? È possibile un artigianato fine del piacere sessuale, o basta saziare degli affamati? È possibile una tekne del piacere sessuale (“live” – o mediata) che stia alla sessualità di coppia come la cucina del grande chef sta alla cucina della mamma? È un delirio, il mio? O forse è solo un sogno “ridicolo”? Sono forse una donna non “autentica”? E qual è la “vera” donna? Non c’è qualcosa di nazista in certi appelli al “vero” e all’”autentico”? Il mio sogno di giovane donna che fa pornografia è di riuscire ad avere la meglio sui vari nazismi che da sempre hanno provato – ridicolizzando, diffamando, sminuendo – a tarpare le ali a ciò che è “degenerato”. Valentina Nappi