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 2012  marzo 18 Domenica calendario

Perché la costruzione di un romanzo assomiglia a quella di una sinfonia – Le eccelse arti della musica e della letteratura sono legate tra loro da un rapporto curioso, al tempo stesso solidamente collaudato e profondamente inquieto, simile a quello che talvolta contraddistingue i matrimoni di lungo corso

Perché la costruzione di un romanzo assomiglia a quella di una sinfonia – Le eccelse arti della musica e della letteratura sono legate tra loro da un rapporto curioso, al tempo stesso solidamente collaudato e profondamente inquieto, simile a quello che talvolta contraddistingue i matrimoni di lungo corso. All´estremità "solidamente collaudata" dello spettro troviamo quelle vette del canto rappresentate dalla tradizione tedesca dei lieder e dalle Opere più riuscite. Nelle manifestazioni più alte di queste due forme d´arte, parole e musica appaiono tra loro straordinariamente e indissolubilmente fuse. All´estremità opposta dello spettro si incontrano invece quei generi musicali che si sforzano di essere letterari – la cosiddetta "musica descrittiva" – e quelle forme di letteratura che aspirano, tanto attraverso la rappresentazione descrittiva che l´emulazione, alla condizione di musica. Non intendo denigrare qui tali opere, e tuttavia ritengo che quando una forma d´arte, anziché attenersi alle modalità che le sono proprie si sposta sul terreno che pertiene a un´altra, il risultato che ne deriva tradisce inevitabilmente un compromesso – per non dire un´involuzione. Per quanto mi riguarda, sono giunto tardivamente ad apprezzare "sul serio" la musica "seria" – se da questa escludiamo il jazz, che nelle mani di professionisti quali John Coltrane o Thelonious Monk raggiunge l´inventività musicale e la raccolta espressività dei migliori piccoli ensemble che la musica classica è capace di offrire. Nella vita di ciascuno di noi arriva prima o poi il momento di prendere le distanze da quegli strumenti adolescenziali che sono la chitarra elettrica e l´armonica, e forse è proprio perché quando iniziai ad ascoltare davvero la musica sinfonica ero già sulla quarantina che mi sono avvicinato a questa forma d´arte senza alcun pregiudizio al suo riguardo – un modo elegante per ammettere la mia completa ignoranza in materia. Intuivo inoltre che la mia esperienza di scrittore – e in particolare dei momenti di maggiore ispirazione artistica – presentava molti più punti in comune con il metodo seguito dai compositori quando concepiscono una sinfonia che con il procedimento a cui (stando alla critica letteraria) gli scrittori si attengono quando, di fatto, scrivono. La ricerca di un motivo dominante e di temi, la creazione di un mondo parallelo da rendere a parole, gli sforzi fatti per conseguire l´autenticità della voce narrante, il contrapporsi dei punti di vista dei diversi protagonisti rappresentano obiettivi cruciali che accomunano chi scrive romanzi e chi compone sinfonie. E il livello di condivisione è tale da non trovare riscontri in altri professionisti della musica e della letteratura. Voglio spingermi oltre: il sinfonista e il romanziere hanno in comune tra loro più di quanto non abbiano con altri che operano nel loro rispettivo ambito artistico di appartenenza. Credo che il motivo per cui ciò non sia mai stato ampiamente riconosciuto sia dovuto all´errata convinzione essenzialistica secondo la quale le parole-che-descrivono-la-musica sortirebbero lo stesso effetto che la musica stessa, così come la musica-che-parla-di-parole sarebbe in grado di produrre le stesse reazioni delle sole parole. Da un punto di vista letterario il Till Eulenspiegel o il Don Giovanni – due poemi in musica di Strauss – non raggiungono livelli eccelsi sul piano narrativo e della caratterizzazione. Né riescono a rappresentare i mondi che tentano di descrivere con quell´efficacia e quell´accuratezza di cui persino un romanzo mediocre può dare prova. D´altro canto, un´ibridazione come quella ottenuta da Anthony Burgess con il suo Napoleon Symphony: un romanzo in quattro movimenti appare, in tutta onestà, musicalmente insoddisfacente e, da un punto di vista letterario, praticamente illeggibile. Solitamente, anziché ricreare la struttura della forma sinfonica classica – come Burgess ha eroicamente tentato di fare – gli scrittori si limitano a descrivere l´impatto che la musica ha sugli individui o sulla psiche collettiva. Questo ci pone nuovamente di fronte a una strada senza uscita: per ogni lettore che ritiene che la scena del concerto alla Albert Hall in Casa Howard, di E. M. Forster, fornisca un´efficace descrizione di menti rapite dalla musica, ce n´è un altro secondo il quale lo scrittore ha mancato, e di gran lunga, l´obiettivo. E mentre l´invenzione della Sonata di Vinteuil (la cui "piccola frase" tanto coinvolge Swann in La ricerca del tempo perduto) offre forse un efficace tropo letterario, il suo persistente ricorrere non ha fatto che suscitare in chi scrive l´insistente smania di poter sentire di cosa diamine si trattasse. Io credo che sia nell´ambito della vera e propria prassi che le due forme entrano realmente in comunicazione tra loro – e per rendersene conto basta seguire da vicino la loro parallela evoluzione. La sinfonia affonda le proprie origini nell´ouverture operistica, sulla quale è stata successivamente innestata la forma già matura della sonata – a cui la sinfonia deve la propria suddivisione in tre (e poi quattro) movimenti collegati tra loro. Tale processo ebbe luogo – non a caso, a mio avviso – quando il romanzo era ancora nella sua fase primordiale. Tuttavia, mentre non scorgo alcuna inevitabile correlazione tra, ad esempio, le sinfonie di Stamitz o Gossec e i romanzi di Aphra Behn o Samuel Richardson, questi sono accomunati da un´affinità di ordine pratico: durante la fine del XVIII secolo infatti, quando l´orchestra sinfonica non aveva ancora raggiunto una sua forma prestabilita, il romanzo epistolare era in procinto di definire quella che potremmo considerare l´unità della voce narrante e un´efficace organizzazione strutturale basata sulla suddivisione in capitoli. Che entrambe le forme abbiano poi raggiunto il proprio apogeo nel XIX secolo – e in base a modalità tra loro molto simili – mi sembra sia attribuibile al fatto che condividono il medesimo obiettivo artistico: ovvero la rappresentazione quanto più possibile completa del mondo-attraverso-le-parole (o del mondo-attraverso-le-note-musicali) e, simultaneamente, la realizzazione della personalità creativa dell´autore. Per il sinfonista del XIX secolo gli universi sonori creati dovevano possedere una coerenza interna ed esprimere l´originalità del proprio spirito – funzioni che venivano assolte, rispettivamente, dall´armonia e dalla melodia. Nei grandi romanzi realisti del XIX secolo, simili propositi sfociano invece nella presunta sovrapposizione tra scrittore e voce narrante. Un espediente che induce il lettore a convincersi dell´autenticità degli eventi descritti e della sincerità di colui o colei che li descrive – anche in questo caso: armonia e melodia. Le massime vette raggiunte dal romanzo e dalla sinfonia nel XIX secolo denotano una diffusa fiducia nelle possibilità di queste due forme e un senso della loro totalizzante capacità. Le sinfonie di Beethoven e di Brahms o i romanzi di Tolstoj e George Eliot testimoniano pochi dubbi circa la potenzialità della forma di cui sono espressione – nessun nevroticismo, nessuna insinuante ironia. Dio rimane relativamente saldo nel proprio mondo, mentre lo scrittore e il compositore si dimostrano sicuri delle proprie capacità di interagire con questo al fine di produrre effetti esteticamente soddisfacenti. Certo, all´orizzonte già si delineano dei problemi (come potrebbe essere altrimenti?), ma per il momento la concezione illuministica del progresso informa con la stessa intensità l´evolversi delle due forme artistiche. Lo sconcertante tritono – l´intervallo di tre toni interi che Alex Ross, nella sua magistrale Il resto è rumore, in cui è descritta la storia della musica classica del XX secolo, considera lo squillo di tromba della modernità dissonante – trova il suo equivalente letterario nel senso di disagio che comincia a insinuarsi nelle caratterizzazioni di Henry James o Marcel Proust (per citare due esempi), e negli espedienti di Joseph Conrad o Gustave Flaubert. Il realismo psicologico, associato alla profonda carica sessuale del freudismo, è sul punto di uccidere il fidato narratore di un tempo, mentre le sequenze burrose di cui un altro Gustav – Mahler – arricchisce le sue imponenti sinfonie ci suggeriscono, attraverso la loro stessa dolcezza, che non dovremmo considerarle realmente di burro. Mahler, la cui produzione musicale comprende generosi accenni a citazioni e allusioni – e il cui stile si potrebbe forse definire "postmoderno" – prefigura inoltre la formale dissoluzione della forma sinfonica. La sua tanto strombazzata ossessione personale con la "rassegnazione" e la morte rappresenta sia la ricerca di una trama narrativa ormai definitivamente perduta che l´acuta consapevolezza che après lui scoppierà un dissonante diluvio. E mentre forse c´è chi non apprezza quel vandalo di Schönberg né la sua broda basata su dodici note, io invece scorgo, nella risposta data dalla musica classica al movimento modernista, una schietta sincerità. Schönberg stesso si cimentò in un´unica sinfonia, che compose per un´orchestra da camera la cui composizione sarebbe risultata familiare a Gossec. Altrove, ai margini del fermento musicale, i sinfonisti reagirono diventando deliberatamente recherché (come dimostra il romanticismo folcloristico di Sibelius o Dvorak) o attuando una paradossale autenticità postmoderna in cui l´artista è considerato al tempo stesso molto più e molto meno della somma delle influenze che lo ispirano (come nel caso di Shostakovich, il più prolifico sinfonista del XX secolo). Verso la metà del XX secolo tuttavia, i compositori più autorevoli avevano nella maggior parte dei casi abbandonato la sinfonia, prediligendole delle forme che non richiedessero la ricerca di un´unità organica laddove non ritenevano che ne esistesse alcuna. Se solo fosse possibile affermare altrettanto del romanzo! Certo: la letteratura occidentale ha conosciuto a sua volta un movimento modernista ben sostenuto, ma la risposta data da Virginia Woolf, James Joyce e altri alla morte delle vecchie divinità (quella narrativa in prosa capace di affrontare il fenomeno della coscienza individuale vista nell´ambito di un mondo caotico) non è riuscita ad affermarsi. A prescindere da come si svolsero i fatti, ritengo che Ulisse sia da collocare nel punto di massima vicinanza tra la forma del romanzo e quella della sinfonia. Joyce, che era a sua volta pervaso di musica, mise in atto nella sua opera principale tutti gli accorgimenti di un grande sinfonista: la sua prosa, al pari della musica, si svolge in un continuo presente; il suo impiego di colore come effetto modale presenta una coerenza che non ha rivali; il ritmo della sua punteggiatura, anziché risultare un irritante artificio, è integrale al significato delle frasi. Infine, e quel che è forse l´aspetto più significativo, Joyce concepisce l´intero libro come un maestoso esercizio di contrappunto, in cui le menti di Leopold Bloom e Stephen Dedalus si chiamano e si rispondono vicendevolmente. Ponendo uno accanto all´altro il flusso torrenziale della rassegnata affermazione di Molly Bloom che conclude l´Ulisse e l´altrettanto deliberato fatalismo espresso dall´adagio finale che rappresenta il momento culminante della Nona sinfonia di Mahler (sullo spartito si legge "molto lento e ancora ritenuto") si ha l´impressione di trovarsi al cospetto di due gemelli nati a pochi anni di distanza l´uno dall´altro. Tuttavia, mentre uno dei due continua a richiamare nelle sale da concerto folle di entusiasti ammiratori, quasi nessuno legge più l´Ulisse. Gli scrittori preferiscono soddisfare l´amore dei propri lettori per le rassicuranti certezze di un tempo voltando le spalle alla verità sperimentale per cercare rifugio nell´apparente armonia del passato. Uno dei romanzi letterari di maggior successo dello scorso anno – Libertà, di Jonathan Franzen – è consapevolmente ispirato a Anna Karenina di Tolstoj, a cui si attiene realisticamente, come se il Modernismo non fosse mai esistito. È come se un compositore contemporaneo riscrivesse l´Eroica iniettando cospicue dosi di saccarina nelle melodie e rendendo le armonie oltremodo sdolcinate – per poi presentare l´opera così ottenuta alla serata di chiusura del festival dei Proms, tra gli applausi scroscianti degli intenditori di musica classica. Per tornare al tropo citato in precedenza: sinfonia e romanzo hanno soavemente amoreggiato per un secolo o giù di lì. Ma adesso che il suo partner artistico è morto, il romanzo – anziché proseguire per la sua strada – se ne resta al buio ripensando alle gioie del passato e trastullandosi in un´orgia masturbatoria di populismo.