Michel Onfray, la Lettura (Corriere della Sera) 18/03/2012, 18 marzo 2012
IL MUSICISTA NIETZSCHE, STRONCATO - D
opo un concerto dedicato alle opere di Nietzsche, il mio amico pianista Vahan Mardirossian mi spiegò un giorno, con lo spartito in mano, che Nietzsche aveva idee musicali magnifiche, ma che non ne portava a buon fine nessuna. Per quale ragione? Probabilmente perché, oltre che dalla madre, dovette subire la sua castrazione da Wagner, da Hans von Bülow e da Brahms, il che, bisogna riconoscere, non è cosa da poco per una virilità da artista…
Figlio e nipote di pastori protestanti, Nietzsche voleva essere compositore. La madre gli intimò di diventare ministro del culto protestante, ritenendo che la formazione musicale legata a questo genere di professione, pur in mancanza di vocazione, sarebbe bastata a placare la sua sete di musica… Nietzsche rinunciò alla carriera musicale, si impegnò negli studi di teologia, prima di rinunciarvi in favore della filologia, e poi della filosofia, materia in cui fu geniale autodidatta.
La sua iniziazione filosofica avviene con Schopenhauer. L’autore del Mondo come volontà e rappresentazione è, con Pitagora e Platone, il filosofo che ha pensato meglio la musica alla quale lascia un posto architettonico nella propria opera: essa non è riflesso del mondo, ma mondo; non ha bisogno del mondo per essere; non è riproduzione di una Idea, ma forma stessa del Volere; è quindi un mondo senza il mondo, fuori del mondo. La musica dà senso a questo mondo poiché, essendo il mondo solo un’immensa valle di lacrime (oscilliamo continuamente fra la noia, che ha la sua rappresentazione sociale la domenica, e la sofferenza, che satura il resto della settimana…), essa arresta il movimento di bilanciere fra noia e sofferenza. Fra la morale della pietà e la negazione del voler-vivere, la musica è una consolazione, perché consente la contemplazione estetica che ci protegge dalla tirannia del Volere.
Quando la Germania vince la guerra del 1870, Nietzsche ritiene che l’abbia persa poiché, per conseguire una vittoria, bisogna rinunciare all’umanità… Propone di riconquistare lo spirito e fa della musica il cavallo di Troia di questa guerra della cultura: la Germania deve creare un mito come la Grecia creò un mito con la tragedia, al fine di cristallizzare l’anima di un popolo e creare un’Europa dell’intelligenza e della pace. Tale mito sarà l’opera, il dramma musicale wagneriano.
A 24 anni, Nietzsche incontra Wagner e si pone intellettualmente al suo servizio: nella Nascita della tragedia, del 1872, teorizza la salvezza della Germania attraverso la musica wagneriana. Questa teoria sfocia in una pratica: il teatro di Bayreuth pensato come tempio post cristiano della rinascita tedesca, quindi europea. Ahimè! L’edificio costruito con capitali di ricchi borghesi, banchieri, industriali, federa questa mafia danarosa, ma terribilmente stupida. Lì regna l’antisemitismo: Wagner è antisemita, Nietzsche vomita l’antisemitismo.
Nel braciere in cui fa precipitare Wagner, Nietzsche getta anche Schopenhauer. Si dedica a Epicuro e all’epicureismo, poi si libererà dalle nebbie intellettuali e musicali del Nord con il Mediterraneo e… con Georges Bizet, trasformato in anti-Wagner emblematico: Carmen come antidoto a Parsifal!
Bizet è il rimedio al veleno. Così come aveva fatto abbondante uso del filtro tossico wagneriano, ora Nietzsche consuma un Bizet intellettualmente supervitaminizzato grazie alle proprie cure: lo ascolta più di venti volte al concerto, dice che l’audizione di questa opera trasforma chi l’ascolta in opera d’arte. Carmen è una musica perfetta, leggera, duttile, rifinita, cattiva, raffinata, popolare, fatalista, gaia e per dirla tutta… africana!
Fra wagnerismo e bizetismo, Nietzsche è stato castrato dal trio Wagner/von Bülow/Brahms — che Wagner detestava… Nel 1869, invia a Wagner, per la sua festa, la prima versione dello spartito del suo Inno all’amicizia. Lavoro che non piace al Maestro, che lo fa sapere a chi sa intendere… Così, dopo il Natale del 1874, il Maestro scrive a Nietzsche rimasto a Basilea: «Sposatevi o componete un’opera: due soluzioni che sono ugualmente pessime. Tuttavia, ritengo che la prima sia migliore della seconda». C’era modo migliore di dire al filosofo che non era fatto per la composizione musicale?
Nel 1872, il 20 luglio, Nietzsche manda la sua Manfred-Meditazione a Hans von Bülow. In un progetto di lettera a lui destinato, Nietzsche scrive: «Della mia musica so soltanto che mi permette di dominare una disposizione affettiva che, se insoddisfatta, produrrebbe forse maggiori danni» (29 ottobre 1872). Il direttore d’orchestra risponde con rara brutalità; Nietzsche reagisce a questa violenza con uno sbalorditivo «Venerato signore». Bülow reputa che la sua sia una «non-musica» e che debba smettere urgentemente di comporre. Nietzsche acconsente, ringrazia, si scusa. E dopo aver composto Manfred, per sei anni, non scrive una sola nota…
Nel 1887, in rotta con Wagner, Nietzsche invia lo stesso spartito a Brahms, nemico del compositore di Bayreuth… Risposta dell’interessato su una cartolina: «Johannes Brahms si permette di esprimerle i ringraziamenti più fervidi per l’invio che considera come un onore di cui le è debitore. In omaggio di grande stima…». Nietzsche aveva mandato lo stesso spartito a varie persone. Brahms fu l’unico ad accusare ricevuta in questo modo gelido e formale.
L’occhio nero della madre, la perfidia di Wagner, la brutalità di Bülow, il sussiego di Brahms privano Nietzsche dell’audacia, che a questo punto viene diretta verso la prosa. L’incompiutezza, la mancanza di risultati della sua opera musicale sono il segno di queste castrazioni. Ma nel tempo stesso in cui sentiamo cantare la prosa filosofica, scopriamo, sotto lo spartito nicciano, un leggero soffio che sarà percepito dai rivoluzionari della musica nel XX secolo. L’ultimo Skrjabin, il primo Arnold Schönberg sembrano partire dal canto delicato emanato dalla musica di Nietzsche. Se il cosmo ha deciso che uno dei suoi ospiti effimeri sarà rivoluzionario, qui o altrove, questi lo diventa. Amor fati…
Post scriptum: l’Università popolare della musica creata a Como dal mio amico direttore d’orchestra Bruno Dal Bon funziona come un anti-Bayreuth, almeno nel senso che la bella idea del festival tedesco è diventata una brutta realtà: cioè la riunione mondana della élite aristocratica, finanziaria, borghese, industriale col pretesto di musica, belle arti e opera. In compenso Como è una riattivazione dello spirito di Nietzsche che inaugurò il progetto di Bayreuth negli anni Settanta del XIX secolo: un’occasione di rivoluzionare la politica attraverso l’estetica, con la musica che diventa un’attività capace di creare le condizioni di un’autentica repubblica, nel senso etimologico, una cosa pubblica. In maniera immanente, questa Università popolare della musica italiana formula una micropolitica concreta in grado di opporre una microresistenza ai microfascismi che proliferano nel corpo sociale europeo. Una goccia d’acqua, certo. Ma che ognuno porti la propria. Gli oceani impetuosi non sono che un insieme di gocce.
Michel Onfray
(Traduzione di Daniela Maggioni)