Stefano Montefiori, Corriere della Sera 18/03/2012, 18 marzo 2012
«LUSSO, LA PROSSIMA GUERRA SARA’ PER ARMANI» —
Signor Thomas, lei sente di avere vinto la battaglia per difendere l’indipendenza di Hermès?
«Sì. Lvmh non può più riuscire a conquistarci. Abbiamo blindato la quota in mano alla famiglia. Siamo una fortezza, è finita».
Ci saranno altre guerre del lusso?
«Sì, e la prossima riguarderà Armani. È il più grosso affare degli anni a venire, il gioiello più prezioso». Patrick Thomas, 63 anni, dirige il gruppo Hermès per conto dei discendenti del sellaio Thierry Hermès, che nel 1837 fondò a Parigi uno dei più longevi marchi del lusso al mondo. Thomas ha risposto con durezza agli attacchi in Borsa della Lvmh di Bernard Arnault, arrivato a detenere il 22% del capitale.
Ora il capo della maison, l’aria finalmente distesa, si gode il Saut Hermès, il concorso internazionale di equitazione organizzato per il terzo anno consecutivo al Grand Palais di Parigi. Lo incontriamo sotto le vetrate ottocentesche che già un secolo fa ospitavano le esibizioni equestri organizzate da Hermès. Tra pochi giorni, la pubblicazione dei risultati 2011.
L’Europa è in crisi, ma i marchi del lusso continuano a fare profitti record, e Hermès, in particolare. Tutto merito dei Paesi emergenti?
«Non nel nostro caso. Le anticipo che nel 2011 abbiamo registrato vendite per 2,84 miliardi di euro, in due anni il nostro giro d’affari è aumentato del 50 per cento. Il maggiore progresso è in Asia, grazie alla Cina, ma siamo andati benissimo anche in mercati maturi come Usa e Europa».
Come se lo spiega, nell’anno di una spaventosa crisi finanziaria?
«La verità e che i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Da cittadino lo dico con tristezza. Fino a cinque anni fa il sistema liberale riusciva a creare ricchezza per le classi medie, poi l’ascensore sociale si è bloccato. Oggi, in Francia e nel mondo, i molto facoltosi non fanno che aumentare, come i molto indigenti. Ecco perché ci sono sempre più persone che possono permettersi una borsa Hermès. Io spero che torni il tempo in cui le famiglie riuscivano a migliorare la loro condizione sociale. Il nostro prodotto non è elitario per scelta. Puntiamo solo all’estrema qualità, l’unica nostra ragion d’essere».
Nessuna politica dei prezzi? I vostri sono più alti della media.
«Vero, ma anche la qualità è superiore. Il prezzo è sempre direttamente legato al costo di produzione, non facciamo alcun marketing del prezzo».
E le liste d’attesa? Non sono un modo per alzare l’aspettativa?
«Assolutamente no, dipendono dall’impossibilità di produrre in massa alla stessa qualità».
Non potreste assumere di più?
«Sono entrato da Hermès nel 1989, avevamo 300 artigiani. Oggi ce ne sono 3000. Eppure le liste di attesa sono più lunghe adesso di vent’anni fa. Solo noi facciamo cose come il point sellier, la celebre cucitura, e per trasmettere questo savoir faire a nuovi dipendenti ci vuole tempo».
I tre pilastri di Hermès?
«Il primo è l’artigianato. Poi la creatività: all’epoca di Émile Hermès di fabbricanti di accessori per cavalli ce n’erano a centinaia, tutti scomparsi. Solo Hermès è rimasto, perché Émile seppe adattarsi ai viaggi in automobile. Il terzo pilastro è lo stile, difficile da spiegare a parole. Ogni prodotto deve essere subito riconoscibile. Se non lo è, anche se magnifico, lo abbandoniamo. È una dote che hanno pochi marchi. Noi, Armani, Chanel».
I vostri prodotti cambiano secondo i mercati?
«Mai. Da noi marketing è una parolaccia. Siamo noi a imporre il prodotto. Quel che sappiamo fare è questo: chi lo ama lo compra, gli altri no. Ha sempre funzionato così».
Come sono i rapporti con Bernard Arnault adesso? Anche pochi giorni fa ha ripetuto che vuole solo dare una mano.
«Ma il suo braccio destro, Pierre Godé, ha detto "noi vogliamo Hermès e l’avremo, dovessimo impiegarci un secolo". Uno dei due mente. In ogni caso, non c’è compatibilità culturale tra Hermès e Lvmh, che è solo un progetto finanziario. Sotto Lvmh in cinque anni diventeremmo un marchio come tanti. Non accadrà».
Siete tentati da Armani?
«No, perché non faremmo mai un’acquisizione. Hermès è il nostro figlio unico. E poi, mai comprare un’azienda che dipende da un solo uomo. Tra 20, 30 anni, che ne sarà di Armani senza più il genio di Giorgio? I grandi stilisti dovrebbero pensare a formarsi dei successori, ma per loro è inconcepibile».
Stefano Montefiori