Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 18/03/2012, 18 marzo 2012
IL PRESIDE, I PROF E LA CIRCOLARE CHE VIETA L’AMICIZIA SU FACEBOOK - C’è
un motivo ragionevole perché un preside debba vietare gli scambi su Facebook tra insegnante e allievo? Forse ci sono diverse ragioni per sconsigliarlo, ma la censura… Le argomentazioni di Aldo Durì, che dirige l’Isis Malignani di Cervignano in Friuli e che ha preso questo drastico provvedimento, sono prevedibili: 1. «Tra i contatti convivono adulti, parenti, adolescenti e studenti che frequentano le classi di quegli stessi insegnanti. Dal punto di vista deontologico è una cosa oscena. Ci sono distanze che vanno rispettate». 2. «Il professore non è l’amico e non deve essere un confidente ma è soprattutto un docente. Fare confusione in merito alla diversità dei ruoli è un elemento di assoluto disorientamento».
Fin qui si direbbe che il preside Durì affermi principi di tale serietà (e, diciamolo, ovvietà) che prescindono dai social network ma che semmai gli suggerirebbero di sconsigliarne l’uso più che di emanare un editto di proibizione. Perché è vero che il canale non è mai neutro e che un mezzo così, per definizione, informale come Facebook rischia di favorire un contatto friendly con chiunque, persino con il proprio professore che sulla carta dovrebbe rappresentare più un modello autorevole che un «amico» con cui chiacchierare e magari «cazzeggiare» la sera. Ma ciò non toglie che il rispetto dei codici linguistici e comportamentali vada oltre il canale di comunicazione. C’è da ritenere che se un ragazzo non percepisce l’autorità su FB sia difficile che la percepisca de visu: la mancanza di rispetto, quando c’è, precede qualsivoglia dialogo sui social network. E quando c’è, è improbabile che venga meno nello scambio a distanza. Si aggiunga che qualche insegnante giura di aver riportato in classe, proprio grazie a un contatto FB, studenti che avevano deciso da settimane di darsela a gambe: come vietarglielo se la scuola ha anche (sempre più) funzioni di assistenza sociale e psicologica?
Ci sono poi osservazioni meno generiche (a carico dei suoi insegnanti) su cui Durì insiste per giustificare il «provvedimento d’urgenza». Ed è l’allusione ad alcuni episodi circoscritti. «Un professore non può scendere dalla cattedra e dare giudizi inopportuni pubblicamente sul preside e sui colleghi». E qui non ci siamo proprio: sarebbe come sorprendere la propria moglie in dolce compagnia e pensare di risolvere il problema eliminando il letto che ha ospitato lei e il suo partner. Perché non affrontare direttamente il prof in questione riportandolo a una condotta degna del suo ruolo? Quel «pubblicamente» (il corsivo è mio) segnala poi una preoccupazione più di facciata che di sostanza. Domanda: e se i «giudizi inopportuni» dei docenti venissero espressi al telefono o via mail sarebbero «deontologicamente» accettabili? Quel comportamento non sarebbe altrettanto deontologicamente inaccettabile? «Rapporti di amicizia con studenti — continua il preside — sono ammissibili solo nell’ambito di gruppi espressamente dedicati all’effettuazione di progetti o ricerche o attività scolastiche». Ma di che amicizia sta parlando? Della sedicente amicizia tra internauti o di amicizia tradizionalmente intesa (anche senza aver letto Cicerone), cioè pre-superficialità e-social (a-sociale)? Spetterebbe a un educatore per primo, appunto, evitare la confusione, se (giustamente) di confusione vogliamo parlare.
Paolo Di Stefano