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 2012  marzo 18 Domenica calendario

INCHIESTA SULL’UOMO AMMALATO DOPO 7 ORE AL GIRONO DI CELLULARE

Sette ore al giorno per 20 anni. Telefonate di minimo dieci minuti l’una. E la notte, cellulare acceso, in carica, a 50 centimetri dalla testa. Chiamate anche notturne. Mai usato vivavoce o auricolare. Apparecchio sempre attaccato all’orecchio. Poi all’improvviso, non riconosceva le persone, saliva in macchina cercava di accenderla e non ci riusciva e così via. Diagnosi: un tumore al cervello, un glioblastoma. Proprio uno di quelli che l’Agenzia internazionale per la ricerca contro i tumori (Iarc) nel 2011 ipotizzò come collegabile con i campi elettromagnetici di radiofrequenza, cioè quelli emessi dai cellulari. Così il caso arriva all’Osservatorio sui tumori professionali della Procura di Torino. È la segnalazione 26.075 in quindici anni di attività di questo osservatorio unico in Italia, voluto dal procuratore Raffaele Guariniello. Ma è la prima volta che un tumore viene collegato all’uso del telefonino. Un paziente zero arrivato sul tavolo di un magistrato. La correlazione tumore al cervello e un uso intensissimo del cellulare non è mai stata provata. Occasione ghiotta per un procuratore sempre in prima linea come Guariniello che ha aperto subito un’inchiesta e fatto partire le perizie.
Il malato è un 45enne torinese, autotrasportatore, il cellulare usato per lavoro. Come accade continuamente ai corrieri. L’uomo, in via di guarigione, è stato già ascoltato in Procura. Ha raccontato la sua storia da cellulare-dipendente. Senza auricolare o vivavoce è vero, ma al riguardo da circa vent’anni si dibatte scientificamente. Anche se per precauzione le raccomandazioni delle autorità scientifiche nazionali e internazionali parlano chiaro: evitare l’uso prolungato dell’apparecchio attaccato all’orecchio, usare vivavoce e auricolare.
Esistono diversi «suggerimenti» a un uso oculato e limitato del cellulare, ma tutto è rimasto finora nel campo della prudenza. Nulla di certo. Dopo lo studio di un gruppo di 31 scienziati della Iarc che ha indicato i cellulari come possibili fattori cancerogeni (sono stati inclusi nella categoria 2B, quella cioè che comprende le sostanze «potenzialmente cancerogene per gli individui», la stessa in cui figurano i gas di scarico), in Italia il Consiglio superiore di sanità, aderendo anche ai richiami dell’Organizzazione mondiale della sanità, è stato cauto e ha sottolineato la necessità di ulteriori studi sulla questione. Ma ha invitato ad assumere alcune precauzioni: auricolari e vivavoce, un maggior ricorso ai messaggi di testo rispetto alle telefonate, uso ridotto del cellulare da parte dei bambini. Le stesse linee guida varate dalla Iarc. Il rischio cancerogeno si riferisce in particolare al glioma e al neurinoma acustico, tumore che riguarda l’ottavo nervo cranico e quindi interessa le funzioni dell’udito e dell’equilibrio. Non sono mai emerse evidenze per altri tipi di cancro.
Nonostante lo studio Iarc (troppo limitato secondo i critici), comunque, le posizioni all’interno della comunità scientifica sono rimaste finora variegate. Ora, però, c’è un caso apripista, un paziente zero, e Guariniello sta raccogliendo informazioni e documentazione, anche dai produttori di telefonini, sugli eventuali rischi per la salute segnalati per l’uso prolungato dell’apparecchio. E soprattutto, come accade per altri tumori, il magistrato vuole appurare dopo quanti anni di uso inappropriato potrebbe comparire la malattia? Una domanda a cui cerca risposta anche la scienza. Soprattutto per i tanti giovani che al telefonino passano le ore già da qualche anno.
Mario Pappagallo