Massimo Gaggi, Corriere della Sera 18/03/2012, 18 marzo 2012
UN PADRE DI FAMIGLIA DIETRO LA STRAGE DI BAMBINI —
Nel giorno in cui il governo americano identifica Robert Bales — un sergente stressato, reduce da troppe missioni in zona di guerra, già trasferito in un carcere militare del Kansas — come unico autore della strage di 16 civili nel villaggio di Zangabad, le autorità afghane contestano la versione Usa parlando apertamente di un’azione compiuta da più soldati Nato.
Sposato con due figli, il 38enne Bales in passato avrebbe sempre avuto rapporti amichevoli con la popolazione locale. L’esercito Usa sostiene che è improvvisamente uscito di senno e spiega il ritardo nel comunicare la sua identità con la necessità di mettere al sicuro la sua famiglia, ora trasferita in una base militare. Ma Shakila Hashimi, una deputata che fa parte della commissione del Parlamento di Kabul che indaga sull’eccidio, sostiene addirittura che l’azione è stata condotta da 15-20 soldati appoggiati da due elicotteri.
La vicenda non sta incendiando le piazze afghane com’è avvenuto per le copie del Corano sbadatamente distrutte in un rogo in una base Nato. Ma sul piano politico si è approfondito in modo drammatico il solco tra le autorità Usa e il governo di Kabul. Cresce, così, anche il malessere dell’opinione pubblica americana: fino a qualche tempo fa appariva abbastanza convincente la scelta di Barack Obama di ritirarsi dall’Iraq — la guerra evitabile — per concentrare le forze Usa sull’Afghanistan, il fronte della «guerra giusta», quella contro il terrorismo. Ma ora l’obiettivo di restituire a un governo solido non più infestato da bande e movimenti violenti alimentati dal fanatismo religioso, si allontana sempre più.
Ad accusare le forze Usa e a chiedere che in futuro vengano «segregate» nelle loro basi è lo stesso presidente Hamid Karzai, l’alleato di Washington che sta assumendo atteggiamenti che provocano sconcerto alla Casa Bianca. Dopo la sua prima sortita in cui aveva chiesto un’accelerazione del ritiro delle forze Usa dal Paese, da completare prima della scadenza attualmente prevista (il 2014), il presidente americano lo aveva chiamato giovedì sera. Congratulazioni per la nascita di un’altra figlia di Karzai, ma anche il tentativo di capire se le sue parole vanno prese alla lettera.
Alla fine Obama aveva trovato tranquillizzanti le spiegazioni del presidente afghano. Che, però, il giorno dopo non solo ha rincarato la dose sul ritiro delle truppe Nato, ma ha anche sposato la tesi di un attacco a Zangabad non compiuto da un unico soldato impazzito, chiedendosi: «La gente del villaggio è stata uccisa in quattro luoghi diversi. Poi i cadaveri sono stati radunati e bruciati. Come può averlo fatto un uomo solo?».
Non è la prima volta che Karzai accusa gli americani. Ma ora la situazione ha preso una piega drammatica: al vertice col crescente scollamento tra occupanti e governo alleato, mente alla base si moltiplicano gli attentati contro militari Nato compiuti da soldati di Kabul che decidono di sposare la causa dei ribelli talebani. Il futuro, insomma, è sempre più cupo: se restano e insistono a voler formare il nuovo esercito, gli occidentali si espongono a rischi crescenti. Se accelerano il ritiro lasciano il Paese nel caos: l’esercito di Kabul resta drammaticamente impreparato.
Massimo Gaggi