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 2012  marzo 18 Domenica calendario

SCAJOLA E I POSTI BARCA: SONO DI MIA SORELLA E DI MIA MOGLIE

La costruzione del porto turistico di Imperia, dicono i magistrati, si è tradotta in una «truffa di proporzioni gigantesche» a scapito della parte pubblica e l’imprenditore Francesco Caltagirone Bellavista è finito in carcere. Nume tutelare dell’operazione (al quale non è contestato in questa inchiesta alcun reato) l’ex ministro Claudio Scajola. Ma i magistrati annotano nella loro ordinanza l’acquisto da parte della moglie di Scajola, Maria Teresa Verda, e della sorella, di tre posti barca, mentre per un quarto posto il parlamentare avrebbe versato una «mera caparra».
Onorevole, il sospetto è uno scambio posti barca contro appalti.
«Sono furibondo, è una falsità, i magistrati non scrivono affatto questa cosa. Ho già cercato il mio avvocato. Ecco guardi l’ordinanza...».
Allora ci spieghi...
«I posti barca li ha comprati tutti e due mia moglie. Perché allora salta fuori il mio nome? Perché dopo la proposta di acquisto fatta da lei con assegno di 17.244 euro, io ho fatto un bonifico per 103 mila euro. Abbiamo il conto insieme, siamo sposati.... è normale che lei compri e io firmi un bonifico».
Ma i posti non sono saldati...
«Il rogito definitivo non c’è perché il porto non è finito, mancano le infrastrutture e nelle nostre condizioni si trovano moltissimi altri acquirenti».
E i posti barca di sua sorella?
«Mia sorella è un’imprenditrice vedova di settant’anni, avrà il diritto di comprarsi quello che vuole senza chiedermi il permesso...».
Ma lei che parte ha avuto nella costruzione del porto?
«Io non ho mai partecipato a nessuna riunione, consiglio, comitato. Ho sempre voluto che Imperia avesse un porto turistico, è il mio sogno e mi sono speso per questo. Dopodiché quando Beatrice Cozzi Parodi mi ha detto nel 2005 che Caltagirone Bellavista avrebbe potuto costruire io l’ho presentato a Gianfranco Carli che con altri imprenditori benemeriti si dava da fare per lo scalo. Da lì in poi se l’è vista il Comune».
Senza gara pubblica.
«Perché quello è un porto privato. C’è un parere dello studio Alpa, mica l’ultimo arrivato, che dice che è un’opera privata. Comunque lo ha deciso il Comune».
I magistrati scrivono che il Comune di Imperia è lei.
«Non scrivono proprio così. Ma se lei dice che io ho influenza politica nella mia città cosa vuole che risponda? Spero di averla a Imperia e anche fuori. Ma non so più cosa pensare. Appena esprimo un’opinione succede il finimondo. Mi hanno fatto di tutto. Guardi: che mi ammazzino fisicamente. Non ci resta che quello. Mi vengono delle idee...».
Ce l’ha con i magistrati?
«No. Io rispetto i magistrati e la mia storia ne è testimone. Ma quello che ipotizza un pm non è oro colato: ci sono tre gradi di giudizio, se siamo ancora un paese civile. Dove le indagini si fanno per cercare la verità e non un colpevole a qualunque costo».
Il porto di Imperia è una truffa?
«Non ho le carte, non posso esprimermi e c’è un’inchiesta che spero faccia luce, ma mi domando: il Comune aveva consulenti, legali, tecnici, saranno serviti a qualcosa».
Lei ha qualcosa da rimproverarsi?
«No, perché ho detto sempre la verità, come l’ho detta sulla casa del Colosseo e se non mi vogliono credere pazienza. Certo, ci sto male. Che Paese siamo diventati, sempre con il sospetto. La morale è amara: meglio non assumere responsabilità, essere invisibili».
Erika Dellacasa