Giornali vari, 5 marzo 2012
Anno IX – Quattrocentoquattordicesima settimana Dal 27 febbraio al 5 marzo 2012Putin Putin è il nuovo presidente della Repubblica russo, notizia strana – immaginiamo – dato che il lettore ha diritto di domandarsi in che senso adoperiamo l’aggettivo “nuovo”
Anno IX – Quattrocentoquattordicesima settimana Dal 27 febbraio al 5 marzo 2012
Putin Putin è il nuovo presidente della Repubblica russo, notizia strana – immaginiamo – dato che il lettore ha diritto di domandarsi in che senso adoperiamo l’aggettivo “nuovo”. Prima di tutto: Putin non era presidente della Repubblica, ma capo del governo (non il posto di Napolitano, ma quello di Monti). Il capo dello Stato era, fino a sabato scorso, Dmitri Medvedev, destinato a sua volta a diventare premier tra poco. Insomma i due hanno corso una staffetta e si accingono a darsi il cambio, restando saldamente ai vertici dello Stato. Naturalmente il lettore ha la sensazione che Putin sia già stato capo della Repubblica federale, e ha ragione: fu eletto presidente per la prima volta nel 2000 e poi di nuovo nel 2004. La Costituzione russa vieta tre mandati, e così il nostro, nel 2008, benché ancora presidente della Repubblica, si fece eleggere deputato (un caso mai sentito al mondo) e più tardi, spedito il sodale Medvedev al Cremlino, si prese la poltrona di presidente del Consiglio. Poiché il divieto costituzionale si riferisce a tre mandati ma solo se consecutivi, adesso il nostro ha potuto scalare nuovamente il vertice del Cremlino, mollando la Duma (il Parlamento). Nel frattempo la durata in carica del capo dello Stato è stata portata a sei anni, Putin è di nuovo rieleggibile nel 2018 e quindi il record di durata al potere di Stalin (25 anni), che sembrava impossibile da battere, è a portata di mano. In Russia s’è nel frattempo formata un’opposizione di qualche consistenza che lunedì sera è ancora tornata in piazza chiedendo a Putin di togliersi di mezzo. Il neo-ripresidente non sembra intenzionato a farsi impressionare, nonostante abbia problemi non semplici da risolvere: l’economia russa non può reggere a lungo se il petrolio non sale a 150 dollari il barile, il paese è spopolato (160 milioni di abitanti su 17 milioni di kmq, e con una speranza di vita inferiore ai 60 anni), comunque nelle grandi città s’è formato un ceto borghese che prova gusto a dare addosso ai potenti di turno e che non sarà facilissimo tenere a bada. Putin ha vinto queste ultime elezioni presidenziali con il 62% dei voti e un vantaggio imbarazzante sul secondo piazzato, il comunista Ziuganov (17%). Un altro punto a favore della coppia Putin-Medvedev è proprio l’improbabilità dei suoi oppositori.
No Tav I No Tav sono pochi, ma fanno molto rumore. Lunedì 27 febbraio la polizia s’è presentata inaspettatamente a Chiomonte in Val Clarea per allargare il cantiere dell’alta velocità (da cinque a sette ettari di terreno). Subito sono cominciate le proteste di una quindicina di No Tav di stanza nella baita Clarea. Poco dopo è arrivato sul posto un anarchico completamente pelato, molto noto agli addetti ai lavori, di nome Luca Abbà: costui è salito su un traliccio dell’alta tensione, giunto in cima ha telefonato a Radio Blackout per annunciare che, se i poliziotti non avessero desistito dalle loro recinzioni, si sarebbe appeso ai fili dell’alta tensione, dopo di che ha sbagliato un movimento, ha toccato effettivamente un filo dell’alta tensione ed è così caduto giù, mezzo fulminato, da un’altezza di dodici metri. Portato in ospedale con parecchie fatture e danni interni non ancora calcolabili provocati dalla scarica di 30 mila volt, è stato dichiarato fuori pericolo appena domenica scorsa. Ma intanto la Val di Susa s’è incendiata di proteste, cortei e scontri con la polizia. Manifestazioni si sono svolte in tutt’Italia con blocchi di autostrade e binari, qualche incendio, molte sassaiole, getti di idranti e lanci di lacrimogeni da parte della polizia. Tutto questo senza che però si possa parlare di «movimento di massa». Il governo, e in particolare il ministro dell’Interno Cancellieri, sono apparsi nell’occasione, se non deboli, incerti: la natura tecnica dell’esecutivo non garantiva una completa copertura politica in caso di risposta con “mano forte”. Mentre scriviamo, la situazione è in un certo senso sospesa: i contestatori sono sicuri di poter impedire la prosecuzione dei lavori dell’alta velocità, il governo proclama che non si cederà alla violenza ma per il momento subisce, si studia una nuova procedura, mutuata da quella francese, per realizzare opere che impattino sul territorio, anche se sui cantieri della Val di Susa si discute incessantemente dal 2005 senza arrivare a nessun tipo di intesa.
Acap L’acronimo “Acab” (“all cops are bastards”, “tutti i poliziotti sono bastardi”) è diventato adesso “acap”, “all cops are pecorelle”, per via di un video di gran successo in rete in cui si vede un barbuto dalla faccia d’angelo ma dall’animo da teppista che insulta un carabiniere armato di tutto punto e impassibile: il barbuto, appoggiandosi al guard rail dietro il quale sta il milite silenzioso, gli dice con cantilena che si direbbe sicula: «Che pecorella che sei che non hai un numero di riconoscimento… Dai anche i baci alla tua fidanzata con quella mascherina?... Fatti riconoscere. Io non so chi sei. Parla. Noi ci divertiamo un sacco a guardare voi stronzi...». La rete ha solidarizzato con il carabiniere, apparso a tutti come inerme, ed encomiato per la sua imperturbabilità dal comandante generale dell’arma. Il barbuto, identificato poi per un Marco Bruno di 28 anni, agricoltore, è finito a spiegare le sue ragioni da Santoro («siamo tutti e due ragazzi» eccetera). Santoro, per l’occasione, ha qualificato di “resistenza” le azioni del movimento No Tav.
Dalla Sulla morte di Dalla e sui suoi funerali riferiamo ampiamente nelle pagine XY. Qui attiriamo l’attenzione sul problema della sua eredità, decine di milioni in case, opere d’arte, terreni, società, diritti d’autore, che non si capisce a chi andranno; e sull’outing post mortem fatto in televisione da Lucia Annunziata: «I funerali di Lucio Dalla sono uno degli esempi più forti di quello che significa essere gay in Italia: vai in chiesa, ti concedono i funerali e ti seppelliscono con il rito cattolico, basta che non dici di essere gay. È il simbolo di quello che siamo, c’è il permissivismo purché ci si volti dall’altra parte». I movimenti gay hanno dato ragione alla giornalista, intanto a Marco Alemanno, il compagno di Dalla, non toccherà un euro, dato che i due non avevano formalizzato in alcun modo il loro rapporto né in Italia né all’estero. Potrebbe esserci un testamento, ma per ora non è saltato fuori.
Urru Mentre scriviamo Rossella Urru, 30 anni, da Samugheo in provincia di Oristano, rapita nel Sahara lo scorso 23 ottobre, è ancora prigioniera dei suoi sequestratori, probabilmente nel Mali, anche se al Jazeera ne ha annunciato la liberazione, ottenuta grazie alla scarcerazione di qualche terrorista di al Qaeda. Per la liberazione della Urru s’era espresso con una specie di spot che ha girato su twitter e nei tg Fiorello. Ma aveva fatto clamore soprattutto il memento di Geppy Cucciari a Sanremo, che dopo aver sfottuto a sangue i protagonisti del Festival s’era fatta a un tratto seria e nominato Rossella Urru: «So cosa vi state chiedendo: chi è Rossella Urru? […] lavora per aiutare donne e bambini nel Saharawi, è prigioniera da 117 giorni […] io spero che il suo futuro sia qui, a casa sua libera e presto […] spero che siano anche queste in Italia le donne che fanno notizia». Gli italiani ancora sequestrati sono in realtà una dozzina, tutti privi di parentele politiche o giornalistiche, e quindi perfettamente dimenticati: Maria Sandra Mariani, 53 anni, fiorentina, presa il 2 febbraio 2011 nel Sahara algerino; Franco Lamolinara, da Vercelli, 47 anni, rapito in Nigeria lo scorso 12 maggio con la sua compagna Deborah Calitz; Giovanni Lo Porto, palermitano di 38 anni, sparito nel Punjab pakistano dove era andato a costruire alloggi d’emergenza per i poveri; i sei marinai della “Enrico Ievoli”, alla fonda davanti alla costa della Somalia e guardati a vista dai pirati.