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 2012  marzo 19 Lunedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

MANAVALAKURICHI (Tamil Nadu, India) — Pescatori poveri nel Sudovest, dove i due marò restano in prigione. Tribù in rivolta nel Nordest, dove due italiani sono stati rapiti. L’Italia sta imparando in queste ore che in India tutto è difficile e può prendere strade pericolose all’improvviso. E che l’India non è una sola. Lo Stato del Kerala è uno dei pochi luoghi al mondo in cui ancora si dibatte e si vota sotto gli sguardi gemelli di Marx e Lenin, trionfanti, per quanto rigidi, sui manifesti nelle strade. Sabato, nel distretto di Piravom, si è tenuta un’elezione suppletiva che le autorità italiane sperano possa essere un punto di svolta per far calare la tensione politica che si è accumulata sulle teste della coppia di marò accusata di avere ucciso due pescatori, lo scorso 15 febbraio. Potrebbe succedere: finite le elezioni, approfittare del caso ha meno senso, sia per l’opposizione comunista che per il governo del partito del Congresso. Secondo la logica indiana e keraliana non è però detto che accada.
«Se le autorità indiane troveranno un compromesso con quelle italiane, sarà un disastro per loro, non possono permetterselo: i marò vanno processati secondo le nostre leggi», dice padre Thomas Kocherry, il missionario dei cattolici Redemptoristi che da anni difende i pescatori della costa ovest dell’India e che sostiene, anche con iniziative legali, una delle famiglie dei pescatori uccisi. È che, dal punto di vista indiano, lo scontro in corso tra Roma e Delhi è anche, forse soprattutto, un conflitto interno, tra le classi dominanti che credono nella globalizzazione, nella necessità dell’India di trovare anche compromessi per presentarsi come grande potenza mondiale e i rappresentanti dei milioni di poveri che dai benefici del boom economico e dal nuovo status indiano di potenza non sentono di trarre benefici. È lo scontro tra due idee di India. E in pochi luoghi come tra i pescatori della costa ovest dell’India — la stessa colpita dallo tsunami del dicembre 2004 — e come nel Kerala, governato per anni, fino al 2011, da un partito comunista marxista, questo conflitto è forte. E influenza la vicenda di Latorre e Girone, i due marò oggi nel carcere di Trivandrum.
Padre Thomas — attivista e avvocato che ricevette nel 1999 in Norvegia il premio Sophie per l’impegno sociale — è una delle anime dell’India che si sente esclusa: ha preparato un dossier con il quale le sorelle di uno dei pescatori uccisi, il 19enne Ajeesh Binki, hanno chiesto al tribunale di non rilasciare la nave dei marò, la Enrica Lexie, e di mettere sotto inchiesta il suo capitano, Umberto Vitelli. Stessa petizione è stata avanzata da un forte partito dell’India del Sud, Aidmk. Come risultato, il giudice ha dato ordine alla polizia di accertare le responsabilità di Vitelli. Padre Thomas Kocherry dice che la ricerca di una soluzione diplomatica sarebbe un tradimento della legge, «un piegarsi all’arroganza colonialista che l’Italia sta esercitando, adesso anche con l’aiuto dell’Unione Europea: vi siete chiesti come avreste reagito se lo stesso fosse accaduto a pescatori italiani?». Nemmeno l’obiezione che parlare di colonialismo per un Paese come l’Italia nei confronti di una potenza emergente è un po’ forte lo frena. «Con i poveri che ci sono in India, è assurdo parlare di superpotenza, l’India non lo è — risponde —. Gli indiani che lo sostengono sono le classi dominanti che sacrificano i poveri sull’altare di una loro illusione e dei loro interessi».
Nessun pregiudizio contro gli italiani, sostiene. Ma questo caso riguarda l’idea che l’India ha di sé. E si decide sotto gli occhi di Marx e Lenin. Nell’Orissa, la rivolta contro la globalizzazione ha intanto preso in ostaggio Paolo Bosusco e Claudio Colangelo, mentre fotografavano: qui si decide sotto gli occhi di Mao. India difficile.
Danilo Taino