VARI 19/03/2012, 19 marzo 2012
APPUNTI PER VANITY, PUNTATA DEL 21/3/2012
SUL SEQUESTRO DEI DUE ITALIANI IN INDIA
DANILO TAINO SUL CORRIERE DELLA SERA
DAL NOSTRO INVIATO
TRIVANDRUM (India) — Volevano immagini «suggestive», le testimonianze fotografiche di mondi lontani, i due italiani rapiti tra venerdì e sabato nello Stato indiano dell’Orissa da guerriglieri maoisti. Paolo Bosusco e Claudio Colangelo sarebbero ora in una località sconosciuta del distretto di Kandhamal. Il leader dei militanti della regione che ha rivendicato l’azione, Shabhasachi Panda, in un messaggio audio aveva fissato per la scorsa notte l’ultimatum al quale le autorità dovevano rispondere per ottenere la liberazione dei rapiti: si tratta di 13 punti tra i quali una richiesta di denaro e alcune condizioni che da tempo i maoisti pretendono dal governo, come la liberazione di tutti quelli che loro considerano prigionieri politici e la cessazione dell’offensiva «Green Hunt» che New Delhi ha lanciato contro di loro. Il governatore dell’Orissa, Naveen Patnaik, ieri ha manifestato la propria disponibilità «a intavolare un dialogo con i maoisti nell’ambito della legge». Inoltre è stato segnalato lo stop alle operazione paramilitari contro i ribelli. Ragione per cui, ha riferito un portavoce del governo dell’Orissa, «riteniamo davvero che, dopo aver aperto a un possibile dialogo sulle rivendicazioni da loro poste, i maoisti dovrebbero darci un segnale di flessibilità per poter procedere». Il ministero degli Esteri indiano ha detto di essere in contatto continuo con le autorità italiane. Il premier Monti è informato costantemente sulla vicenda: «Sono in contatto con il ministro degli Esteri Giulio Terzi che sta seguendo la situazione, attraverso le strutture del ministero, in contatto con l’India in tempo reale, minuto per minuto, e mi tiene informato». «Il console italiano a Calcutta, Joel Melchiori, arrivato a Bhubaneswar, ha mostrato ottimismo: «Speriamo che i rapitori accettino l’appello del governatore per rilasciare gli ostaggi».
Paolo Bosusco, 54 anni, piemontese, gestisce un’agenzia turistica nell’Orissa, attiva dal 1999, ed è conosciuto come una guida attenta al rispetto delle popolazioni tribali che nello Stato sono una presenza centrale. Claudio Colangelo è invece un cooperante romano di 61, in vacanza in India. Pare che, assieme, stessero fotografando alcune donne di un villaggio in riva a un fiume. Difficile però stabilire se la ragione del rapimento sia legata a questo. Negli ultimi tempi, in India ma anche in Occidente ci sono state polemiche su quello che qualcuno ha definito con una certa esagerazione «safari umano», cioè l’attività di fotografare riti e abitudini tribali, in qualche caso anche con eccessi. I maoisti lo segnalano come uno dei motivi del rapimento: «Abbiamo arrestato due turisti italiani che, come centinaia di turisti stranieri, trattano le popolazioni locali come scimmie». Pare però che i due italiani fossero in genere estremamente rispettosi delle popolazioni indigene. Inoltre, il fatto che i maoisti abbiano rivendicato e avanzato richieste politiche, tutte interne a uno scontro con il governo di New Delhi che va avanti da anni, fa pensare che il rapimento sia stato organizzato in precedenza. Si tratta della prima volta che due stranieri vengono rapiti dai militanti Naxaliti (l’altro nome con il quale viene definito il loro poderoso movimento): la polizia, dunque, al momento fatica a collocare correttamente gli elementi della vicenda.
Secondo alcuni commentatori indiani, però, l’azione armata sarebbe scaturita da un conflitto interno al movimento maoista. Panda, il leader dell’Orissa che ha rivendicato il rapimento, sarebbe infatti da qualche tempo criticato per essere troppo morbido dall’ala più radicale, quella guidata dai militanti dell’Andra Pradesh. Panda — al centro di polemiche perché sarebbe l’autore di uno stupro e dell’uccisione del marito della donna violata — avrebbe dunque, secondo questa lettura, alzato l’asticella e rapito due stranieri per dimostrare la sua determinazione e per guadagnare favori all’interno del movimento.
Danilo Taino
BOX DI REPUBBLICA SULLA TRATTATIVA PER IL LAVORO
Uscire dall´angolo e mettere il governo davanti a un bivio: o l´accordo con le parti sociali sul mercato del lavoro, oppure lo scontro. Di fronte a quella che si prospetta come una vera e propria débacle sindacale, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di provare l´ultima mossa, la "mossa del cavallo", secondo una consumata strategia negoziale: presentarsi all´appuntamento di domani a Palazzo Chigi con un documento unitario sull´articolo 18.
SULLA FORNERO DA FAZIO E LA TRATTATIVA SUL LAVORO.
STEFANIA TAMBURELLO SUL CORRIERE DELLA SERA
ROMA — Il premier Mario Monti è fiducioso sull’esito della trattativa sulla riforma del lavoro, che entrerà nel vivo martedì: «Penso che avrà successo» ha affermato pur precisando che le posizioni attorno al tavolo «sembrano ancora abbastanza distanti». È positiva anche il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che intervenendo alla trasmissione Che tempo che fa, ha osservato come soffrano un po’ tutti i protagonisti del negoziato: «Si lamentano le piccole imprese, la Confindustria e pure i sindacati. È la dimostrazione che stiamo lavorando non per una parte ma per il Paese e per il futuro», ha detto annunciando che comunque, accordo o non accordo, il governo presenterà la sua proposta di riforma in Parlamento. «Non possiamo andare avanti a discutere all’infinito» ha spiegato rilevando come tuttavia il governo voglia «continuare a cercare l’accordo con le parti sociali».
Questa, ha aggiunto, «non è una stagione qualunque per il Paese. Il governo tecnico ha una maggioranza politica molto ampia con i due partiti maggiori, che in questi anni sono stati contrapposti, impegnati a dialogare». Credo, ha aggiunto poi Fornero, che «siamo abbastanza maturi sui contenuti» della riforma al di là del focus sull’articolo 18 che comunque «non vuol dire libertà di licenziare». «Non sono il ministro soltanto dell’articolo 18, non ho nessun interesse a fare una riforma che verta solo su questo», ha affermato. Ciò che «traduce bene la necessità del mercato del lavoro è il dinamismo. Significa avere un facile accesso e un’uscita non bloccata», ha spiegato. L’urgenza è allora «rendere l’occupazione dei giovani un pò più facile e un pò migliore in termini di qualità: su di loro si è scaricata tutta la flessibilità cattiva». Il governo ha così iniziato a discutere con le parti sociali «nuove forme contrattuali». Oggi ci sono ragazzi «che non trovano altre forme di lavoro che non siano stage». Ma lo stage può essere «solo formativo, non può essere consentito quando gli studi sono finiti, chi lavora deve essere pagato. La mia intenzione è eliminare gli stage post formazione».
Per il ministro inoltre, «la flessibilità che costa poco finisce con l’essere molto utilizzata: prendi un lavoratore, lo usi e poi lo mandi via. Dovrebbe costare un po’ di più così l’impresa deve essere spinta a usare un contratto che io vorrei chiamare dominante, di lavoro subordinato a tempo indeterminato non blindatissimo».
Fornero si è soffermata sul caso Fiat. «O resta in Italia ed è produttiva o deve trovare delle risorse. Una impresa deve essere produttiva e fare lavoro. La Fiat non è libera di fare quello che vuole, deve assumere comportamenti responsabili. Ma se il presidente e l’amministratore delegato mi dicono che hanno intenzione di mantenere gli impegni previsti io devo credergli». Anche Monti, a Torino di fronte ai vertici dell’azienda, è intervenuto sulla vicenda ricordando che «la Fiat ha fatto grande il Paese e il Paese l’ha fatta grande» e sottolineando che resterà patrimonio italiano se «la Fiat si ricorderà di quanto talento, impegno e sudore hanno messo gli italiani a renderla tale».
Al ministro ha subito risposto la Confcommercio col direttore generale Francesco Rivolta, critico in particolare sulle modifiche della flessibilità: «La riforma così come è stata presentata rischia di essere contro le imprese, una controriforma».
Stefania Tamburello
LA POSIZIONE DEI SINDACATI SULLA TRATTATIVA PER LA RIFORMA DEL LAVORO
ROMA — Oggi Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti dovrebbero incontrarsi per tentare di trovare una posizione comune nella trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Ieri è stata la giornata dei tatticismi. Da parte di tutti. Del presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha sparso ottimismo sull’accordo. Del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che tuttavia ha confermato: «Andremo in Parlamento anche senza intesa». Della Cgil di Camusso, la più distante dalla firma, che è rimasta in silenzio, quasi a dire che non ha altro da aggiungere mentre spetta al governo decidere se vuole andare allo scontro o no. Della Uil, con Angeletti che, a sorpresa, si è staccato dalle posizioni dialoganti della Cisl e si è arroccato anche lui sul no alle proposte del governo sull’articolo 18 (licenziamenti). Angeletti è diventato intransigente perché è convinto che l’accordo non ci sarà e allora gli conviene non lasciare la piazza a Camusso oppure sta semplicemente aumentando il pressing su Monti affinché giunga a più miti consigli e l’intesa sia possibile? Stessa domanda si può porre a proposito del no annunciato a nome di Rete Imprese Italia (artigiani e commercianti) da Marco Venturi se il governo non correggerà i capitoli della riforma che riguardano il riordino dei contratti e gli ammortizzatori sociali.
Confartigianato, intanto, ha convocato per mercoledì una giunta straordinaria, spiega il segretario generale Cesare Fumagalli, non solo per confermare il no, se Monti nel frattempo non cambierà le sue proposte, ma anche per «disdire tutti gli accordi e i contratti di settore». Una mossa, aggiunge, «che ci dispiacerebbe. Ma se il governo ci carica di nuovi contributi sui contratti temporanei e irrigidisce gli stessi non abbiamo alternative. Disdicendo i contratti potremmo recuperare risorse, azzerando i contributi per la sanità e la previdenza complementare. Cose che abbiamo costruito insieme col sindacato e di cui siamo fieri, ma che saremmo costretti a rivedere davanti all’indisponibilità del governo». Anche qui, le ragioni reali di scontento si mischiano alla tattica. Funzionerà? Artigiani e commercianti dovrebbero vedere Fornero oggi e potrebbero già cominciare a portare a casa qualche risultato.
Ma la trattativa vera comincerà domani a Palazzo Chigi, sotto la regia dello stesso Monti. Che vuole chiudere entro la settimana, prima della partenza per la visita in Oriente. Il premier mira al risultato massimo: fare l’accordo con tutti, ma su una riforma vera che modifichi nettamente anche l’articolo 18. Sa che è difficile. Allora usa il bastone e la carota. Ai sindacati, che sono restii ad accettare di infrangere il tabù, ha detto che senza intesa lui si sente libero di procedere alla modifica più radicale dell’articolo 18, lasciando il diritto al reintegro solo sui licenziamenti discriminatori e sostituendolo in tutti gli altri casi con un indennizzo. Ma Monti in realtà ha le mani libere fino a un certo punto. L’ok ottenuto qualche giorno fa nel vertice con i segretari Abc (Alfano, Bersani e Casini) è su una proposta più morbida che affida al giudice la decisione tra equo indennizzo e reintegro nel caso dei licenziamenti disciplinari, limitando il solo indennizzo ai licenziamenti per motivi economici.
Uscire da questa mediazione è complicato. Se la indurisce scatena la protesta dei sindacati, Cisl compresa, e a quel punto il Pd non ce la fa più a sostenere i provvedimenti in Parlamento. Se la ammorbidisce, magari per recuperare la Cgil all’accordo, si mette la Confindustria e il Pdl contro, rischiando di essere penalizzato sui mercati finanziari. I margini di manovra, insomma, sono minimi. Per questo Camusso si prepara allo scontro e Angeletti è a un passo dal farlo. Spiegano i suoi collaboratori: «Come si fa a fare le assemblee in fabbrica per spiegare ai lavoratori che possono essere licenziati per motivi disciplinari? Che sono questi motivi? E poi gli diciamo pure che sarà il giudice a decidere se reintegrare o indennizzare? Così aumentiamo solo le incertezze e le paure. Noi questa cosa non la reggiamo». Il leader dell’Ugl, Giovanni Centrella, pensa che per il sindacato sarebbe meglio presentare una proposta unitaria al governo, «ma abbiamo poco tempo». Oggi il sindacato ci proverà.
Enrico Marro
SCONTI SULLA BENZINA IN TRENTINO-ALTO ADIGE
CLAUDIO DEL FRATE SUL CORRIERE DELLA SERA
MILANO — Gli automobilisti dell’Alto Adige brindano con un pieno di benzina: per combattere l’impennata dei prezzi la Provincia autonoma di Bolzano ha introdotto per i residenti uno sconto sulla «verde» fino a 27 centesimi al litro: vuole scoraggiare in tale maniera il pendolarismo di chi va a fare il pieno in Austria, dove i carburanti sono meno cari. Anche in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia esiste lo stesso fenomeno ma in questi casi le agevolazioni sono meno generose: a Como e Varese si riducono alla metà di Bolzano e rischiano essere vanificate se il governo non rinnoverà alcuni finanziamenti ad hoc; la giunta regionale di Trieste è invece nel mirino della Ue che considera quegli sconti un indebito aiuto di Stato.
Riecco l’Italia dei cento campanili e dei mille oboli; figurarsi quando c’è in ballo un bene di consumo come la benzina, che ormai sfiora i 2 euro al litro, un prezzo ben più salato di quello praticato nei distributori elvetici, austriaci, sloveni. E proprio questo differenziale ha innescato la «guerra degli sconti» sulla benzina nelle fasce di confine. Cominciamo da Bolzano: qui ci si è resi conto che, se gli automobilisti italiani vanno al di là della frontiera a rifornirsi, l’erario non incassa una bella fetta di Iva e accise sui carburanti. Tra gli enti danneggiati c’è anche la Provincia autonoma di Bolzano che, godendo di una accisa ad hoc, rischia di veder sfumare 20 milioni di euro l’anno. Da qui l’idea di concedere uno sconto sulla benzina ai residenti: 27 centesimi al litro per chi abita entro 10 chilometri dal confine, 20 centesimi per le distanze fino a 20 chilometri. In questo modo, niente fughe all’estero per il pieno e le tasse continua a incassarle Bolzano.
Evviva, se abiti a Vipiteno o Bressanone. In Lombardia da anni hanno provato ad adottare lo stesso meccanismo, ma qui sono stati di manica più stretta: il taglio è di appena 18 centesimi nella prima fascia (fino a 10 chilometri dal confine) e di 10 nella seconda. Non solo: proprio in questi giorni ci si sta rendendo conto che con la fiammata dei prezzi dei carburanti l’escamotage non regge perché la differenza con i prezzi al di là del confine (in questo caso la Svizzera) è tale che quello sconto non conviene più; e infatti sono riprese le code verso i distributori del Canton Ticino. «Lo Stato aveva stanziato 20 milioni di euro per tenere in piedi il meccanismo e rimborsare i benzinai per i mancati guadagni — spiega Nicola Molteni, deputato comasco della Lega Nord — ma alla luce degli ultimi rincari di milioni ne servirebbero 60. Ci era stato promesso che la norma sarebbe stata inserita nel decreto fiscale e invece in quello partorito dal governo la norma non c’è. Ma senza quello stanziamento l’Italia si priverebbe di un gettito fiscale di circa 250 milioni di euro».
C’è poi il caso del Friuli Venezia Giulia; qui le condizioni di favore sono estese a tuti i residenti, da Latisana a Tarvisio: 15 centesimi per i più lontani, 21 per i comuni di confine (ma il cadeau è stato di recente — e temporaneamente — innalzato a 28). Ma anche in questo caso la festa rischia di essere pagata a caro prezzo: l’Unione Europea ha infatti già avvertito due volte la giunta regionale che la riduzione dei prezzi e i rimborsi ai benzinai si configurano come un indebito aiuto di Stato e come un episodio di concorrenza sleale verso la Slovenia, che è Paese membro dell’Unione Europea. Se il provvedimento non verrà ritirato la Regione rischia un procedimento di infrazione da parte di Bruxelles.
Claudio Del Frate