Federico Varese, La Stampa 18/3/2012, 18 marzo 2012
Chi governa la Russia oggi? Molti osservatori descrivono il Paese come un regime autoritario di stampo sovietico che si proietta sulla scena mondiale sicuro di sé
Chi governa la Russia oggi? Molti osservatori descrivono il Paese come un regime autoritario di stampo sovietico che si proietta sulla scena mondiale sicuro di sé. La Russia che Putin si trova a governare è in realtà un sistema politico fragile, fatto di centri di potere autonomi che non rispondono in maniera meccanica agli ordini del centro. La tesi del ritorno all’Urss è diffusa. L’ultimo capitolo dello straordinario «Putin. L’uomo senza volto» di Masha Gessen si intitola «Back to the Ussr», come la canzone dei Beatles. Il coraggioso corrispondente del Guardian Luke Harding, espulso da Mosca nel 2011, ricorda nel suo «Mafia State» che è la prima volta dalla fine della guerra fredda che un rappresentante della stampa viene costretto a lasciare il Paese. E aggiunge: «Otto decadi dopo, nulla è cambiato», la Russia «è diventata il principale Stato-spia al mondo». Anche gli oppositori del regime tendono a ingigantire il ruolo dell’attuale primo ministro e futuro Presidente. Valter Litvinienko, il padre della spia russa uccisa a Londra nel 2006, pensa che la Russia sia un «sistema verticale», con in cima Putin, il quale ha ordinato la morte del figlio. La vittoria di Putin alle elezioni di marzo dimostrerebbe che l’ex funzionario del Kgb è, nonostante tutto, in grado di controllare la macchina statale. Convinte da questa tesi, le cancellerie occidentali sono rassegnate a convivere con l’uomo forte del Cremlino per i prossimi sei anni. Questa interpretazione è errata. Una conferma indiretta me la suggerisce una mia vecchia conoscenza, un imprenditore che ho conosciuto negli Anni 90 mentre raccoglievo il materiale per un libro sulla mafia russa nella città di Perm’. Oggi ha messo su famiglia, lavora in banca e non paga più il pizzo alla banda di criminali di un tempo. Ha due figli che frequentano la scuola statale. «Ho visto molta corruzione nella mia vita, ma mai come nel settore scolastico», dice Mikhail. «Tutti gli anni, la direzione chiede ai genitori un contributo di diecimila rubli (circa 260 euro), e non ci è dato sapere dove finiscono questi soldi. Inoltre esiste un fondo statale che invece di essere usato per spese correnti finisce nelle tasche degli insegnati». Ma non è tutto: «Oltre l’obolo annuale, ogni insegnante pretende durante l’anno contributi aggiuntivi. Neppure il preside riesce a controllare le richieste dei suoi dipendenti». Non sorprende che il denaro regni sovrano tra i banchi delle scuole. Uno dei personaggi più popolari del programma satirico «Nasha Russia» è Snezhana Denisovna, maestra di una scuola di provincia. Il suo sketch consiste nell’inventarsi modi sempre più improbabili per estorcere denaro a genitori e ragazzi. In un episodio, fa vestire gli studenti con degli stracci e li porta a chiedere l’elemosina per strada; in un altro li costringe a giocarsi i soldi della merenda. Il pubblico ride amaro. Sorprende però che la corruzione sia così capillare anche in un settore che tocca la vita quotidiana di milioni di genitori. L’aumento dei centri di riscossione delle tangenti fa aumentare la corruzione totale. Non a caso ogni anno la Russia perde posizioni nella graduatoria dei Paesi onesti stilata da Transparency International: nel 2011 era al 143esimo posto su 182, a pari merito con la Nigeria, un altro Stato dove la corruzione è endemica e decentralizzata. Anche il sistema giudiziario è in vendita: secondo una stima citata da Masha Gessen, circa il 15% della popolazione carceraria è composta da uomini d’affari che sono stati incastrati da partner invidiosi o avversari. La protezione mafiosa è fornita oggi da frammenti degli apparati statali: il padrone di un casinò illegale, Ivan Nazarov, ha confessato nel 2011 di aver pagato quasi l’80% dei suoi profitti a magistrati e poliziotti per ottenere la «krysha» («tetto»). Grazie a questa protezione, nessun gangster ha osato interferire nei suoi affari. Venuto meno il collante del partito comunista, si sono formati poteri autonomi in competizione tra di loro, frammenti di uno Stato defunto. Gli imbalsamatori di Lenin lavorano per i nuovi oligarchi e i mafiosi, i manicomi dell’ex Urss sono pieni di anziani sloggiati senza troppe cerimonie dai loro appartamenti in centro, Gazprom, l’ex ministero delle risorse energetiche, detta la politica energetica al governo. «Il sistema si regge sull’impunità di un esercito di burocrati che hanno la licenza di rubare e chiedere tangenti», ha dichiarato il direttore del Moscow Times a Luke Harding. Putin non è in grado di interrompere il fiume delle tangenti più di quanto non sia in grado di intimare all’insegnante di Perm’ di anteporre il benessere degli studenti alla propria cupidigia. Non ha dunque senso ascrivere a Putin tutte le decisioni, come l’espulsione del giornalista inglese o l’omicidio di Litvinenko. Allo stesso tempo, non è merito di Putin se fino ad ora le proteste dell’opposizione democratica non sono finite nel sangue. Chi conosce le segrete stanze del Cremlino racconta un’atmosfera di panico, di rabbia estrema e pericolosa. La distruzione sistematica delle istituzioni rappresentative e la loro sostituzione con macchine mangia-soldi non hanno reso il sistema più stabile, e non assicurano ai principali esponenti del regime una pensione dorata in Svizzera. Anche per questo Putin doveva ricandidarsi: per proteggere se stesso. Ma l’autonomia dei centri di potere rende possibile anche atti di resistenza concreta. Ad esempio, molti giudici, dandosi malati, non compaiono a confermare il fermo dei manifestanti. Il Primo Canale della TV di Stato ha cominciato a dar voce all’opposizione. Quando la maestra Snezhana Denisovna si ritroverà in piazza a manifestare contro se stessa, la parabola della spia di Leningrado sarà davvero finita.