Giampaolo Visetti, D - la Repubblica 17/03/2012, 17 marzo 2012
SE I MILIONARI SCAPPANO DALLA CINA
Shi Kang ha 43 anni ed è quello che si dice un uomo di successo. Ha scritto quindici romanzi e ha guadagnato due milioni di euro. Descrive la vita dissoluta dei giovani cinesi e il suo libro Strive è il serial tv più popolare. Possiede una casa di lusso e una Mercedes metallizzata. Fino a un anno fa era così felice che l’idea di lasciare Pechino non l’aveva nemmeno sfiorato. Non era mai uscito dalla Cina. È infine volato a New York e l’atterraggio è stato pessimo. In aeroporto gli hanno perso il bagaglio e arrivando a Manhattan si è imbattuto in montagne di spazzatura. Nessuno si ferma a fare due parole, come usa in Cina, e mangiare è una necessità da sbrigare in fretta. Appena uscito dalla metropoli però è rimasto folgorato dagli spazi infiniti, dalle campagne e dai giardini del New Jersey. Non è rimasto lì a pensare. Ha acquistato un macchinone e s’è messo in viaggio: quarantamila chilometri seguendo le strade e ascoltando Beethoven a tutto volume. I suoi pensieri americani sull’asfalto sono diventati un blog, seguito da un milione di appassionati. Una sorpresa, ma non la più grossa.
Shi Kang, l’interprete della crescita della Cina protetto dal potere, oggi studia inglese perché è deciso a trasferirsi negli Stati Uniti. Addio alla patria. "La vita reale è lì", ha detto, "qui non si sa mai se una cosa è vera o falsa. Se avrò figli, non voglio che crescano in Cina". Per il suo pubblico è uno shock. Lo hanno accusato di aver sfruttato la sofferenza dei poveri per fare soldi e di essere diventato poi un capitalista anti-cinese. Shi Kang però non è solo. Anche Su Bin sta preparando le valigie. Figlio di un generale dell’armata di liberazione del popolo ha iniziato a lavorare nei laboratori di Stato che progettano aerei da guerra. Nel 1989 era un ragazzo ed era sceso a manifestare in piazza Tiananmen a fianco del premio Nobel Liu Xiaobo. Non era un dissidente, ma per un po’ ha sognato di poter vivere libero. Ha scelto invece di fare soldi, come i suoi amici. Oggi ha 46 anni e possiede una società aerospaziale hi-tech valutata quindici milioni di euro, più case per altri venti. È un bel pezzo dell’élite però ha deciso di spedire moglie e figlio a Vancouver e di raggiungerli presto per vivere in Canada. "Qui il partito può tutto", ha detto, "e per fare affari è necessario compiere reati. A un certo punto c’è bisogno di sicurezza e di un po’ di pace". Su Bin, come Shi Kang, è stato coperto di insulti e minacce. La loro voglia di andare via dalla Cina è però condivisa da sempre più cinesi. Deng Jie, 48 anni, è tra questa maggioranza sommersa. Quando aveva vent’anni era operaio in una fabbrica di ceramiche a Pechino. Dormiva per terra accanto ai forni e guadagnava dieci euro al mese. Oggi possiede un’industria chimica, dodici ville e in dieci anni il suo patrimonio è cresciuto dell’800 per cento. Entro l’estate si trasferirà in Inghilterra con la moglie: la loro figlia di diciotto anni è iscritta all’università di Cambridge e la famiglia è decisa a restare in Europa. La fuga dei ricchi cinesi dalla Cina è stata rivelata da un rapporto della Bank of China, colosso di Stato, e dalla società Hurun, che analizza le tendenze dell’alta società.
Tra un milione di cinesi con un patrimonio superiore a due milioni di euro, il 68% pensa oggi di emigrare. Destinazioni preferite: Stati Uniti, Canada, Singapore, Nuova Zelanda ed Europa. Il flusso è tale che le ambasciate occidentali si stanno organizzando per rilasciare visti agevolati agli stranieri che investono oltre un milione di euro, o che si impegnano a creare almeno dieci posti di lavoro. Per la parte di mondo in crisi è una buona notizia. La Cina invece è silenziosamente in allarme. Chi può scappa perché all’estero trova beni che in patria non può acquistare: aria respirabile, alimenti commestibili, istruzione aperta, certezza della proprietà di soldi e investimenti. I nuovi emigranti della Cina non fuggono dalla povertà, o dalla dittatura, ma dalla paura di morire prima di poter godere i privilegi acquisiti. Chi abbandona il Paese lo fa per sempre e possiede un patrimonio personale di almeno sette milioni di euro. La media ha 42 anni: abbastanza vecchi per conoscere il massacro di piazza Tiananmen, abbastanza giovani per fare affari in economie di mercato. Abbastanza stanchi per ricordarsi di chi cade anche per loro.