Stefano Caselli, il Fatto Quotidiano 16/3/2012, 16 marzo 2012
PARTITI IN CRISI COME DOPO TANGENTOPOLI
Si aggirano alla ricerca delle telecamere che non sono più quelle di una volta. Di tanto in tanto ricompaiono in video e fanno uno strano effetto, come la visita di un vecchio e malsopportato parente. Qualche volta rilasciano interviste ai grandi quotidiani e giurano di tornare, un po’ come gli ubriachi allontanati dai bar a tarda notte. Sono i politici italiani, così maldestri (per esser carini) da logorarsi fino al punto di cadere al fondo del fondo della fiducia degli elettori. Lo sa bene chi per mestiere sonda gli umori del Paese, come il sondaggista Renato Mannheimer: “La fiducia nei partiti? Sta al 4 per cento”.
UNA PERCENTUALE irrisoria, eppure una quota non indifferente della vita di ciascuno di noi è ancora nelle loro mani che votano in Parlamento . Il problema, semmai, è che pochi sembrano preoccuparsene, come se della democrazia dei partiti – tale è stata la performance dei suoi rappresentanti negli ultimi lustri – si potesse tranquillamente fare a meno. Basta un poco di Monti e la pillola va giù: “Monti gode di un’elevatissima fiducia – sostiene Mannheimer – anche perché la maggioranza che lo sostiene va da destra a sinistra. È vero, infatti, che la fiducia nei partiti nel complesso è bassissima, ma la fiducia nel partito di riferimento è solitamente più elevata. Capita poi che il gradimento del governo Monti vanga messo in discussione in relazione ai singoli provvedimenti, ma pochissimi si sentono davvero in imbarazzo per il fatto di essere governati da un esecutivo che, in fondo, nessuno ha eletto. Da questo punto di vista non c’è timore per la democrazia. La voglia di elezioni è ai minimi storici, anche perché un italiano su due dichiara di non sapere per chi votare. Certo, il quadro politico attuale e la legge elettorale potrebbero cambiare molto da qui alla primavera del 2013 e questo influisce non poco sulla scelta degli elettori, ma rimane il fatto che quello degli indecisi e degli astensionisti è oggi di gran lunga il primo partito”.
SI PUÒ QUINDI parlare di politica “rinnegata”? “Non esagererei. Partiti rinnegati sì, senza dubbio, ma la politica, nonostante tutto, a volte è ancora percepita come qualcosa di diverso da chi la fa”. E il fatto che il governo Monti così popolare, pazienza se non eletto democraticamente, dipenda comunque da un Parlamento a cui quasi nessuno affiderebbe più nemmeno un pacchetto di sigarette, non preoccupa gli italiani? “Il dibattito ricorrente – ancora Mannheimer – è sui sacrifici, su chi debba pagare di più o di meno la crisi. Il consenso sulla legittimazione di questo governo a proseguire il proprio lavoro è fuori discussione. Ma forse c’è speranza anche per la classe politica attuale. Il disagio maggiore, infatti, salta fuori quando i partiti non decidono. I leader che chiacchierano, soprattutto dei rapporti tra di loro, irritano profondamente l’elettorato. Se, per fare esempio, si trovasse un accordo serio per una vera una riforma elettorale, anche loro potrebbero riguadagnare fiducia”.
Quindi, tutto sommato, l’italiano è sì indignato, ma in fondo in fondo indulgente. Un film simile su questi schermi si è già visto; e forse qui sta la minaccia vera, peggio dei vecchi leader che promettono di tornare: “Dalle nostre rilevazioni – prosegue il presidente di Ispo – emergono molti punti di contatto tra la crisi attuale e quella che seguì a Tangentopoli nel 1992-94. Allora Berlusconi seppe trovare un mercato potenziale presente nel-l’elettorato con una proposta di novità e iniziative che diedero l’idea della concretezza. Come poi sia andata a finire quella storia, è un altro discorso, ma il quadro è molto simile. Certo è difficile replicare il 1994, la credibilità di quelle proposte, allora considerate innovative, è nettamente diminuita. L’attuale crisi di fiducia nella politica, poi, è indubbiamente figlia anche della delusione per il tramonto del berlusconismo, a cui molti avevano sinceramente creduto. Il mercato elettorale che si apre di fronte a chi saprà dare di sé un’idea di novità e concretezza è tuttavia grandissimo”.
ALLA DOMANDA su chi saprà occupare questo spazio, il sondaggista si ritrae e preferisce non rispondere: “Non è il mio mestiere – conclude il professor Mannheimer – Dico solo che la via d’uscita a questa preoccupante crisi di legittimazione della politica ci può essere. Da una parte è necessario un ricambio della classe politica, ma soprattutto la gente manifesta il bisogno di un ricambio del linguaggio e delle idee. La gente si aspetta e pretende un linguaggio più chiaro, proposte concrete e non tanti discorsi in politiche-se senza contenuto”. “Linguaggio chiaro”, “ricambio”, “politichese”, mancano solo il consociativismo e il teatrino della politica e sembra di essere nel 1994. Nel 2013 si vota; un anno e poco più: poi si discuterà su cosa questi ultimi vent’anni abbiano insegnato agli italiani.