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 2012  marzo 19 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 19 MARZO 2012

La trattativa sulla riforma del mercato del lavoro dovrebbe chiudersi fra mercoledì e venerdì. Enrico Marro: «Chiudere entro mercoledì significherebbe arrivare il giorno prima della designazione del nuovo presidente della Confindustria da parte della giunta dell’associazione, con l’attuale numero uno, Emma Marcegaglia, non ancora entrata nella fase di interregno che durerà fino all’Assemblea del 24 maggio. Se non sarà possibile, bisognerà però chiudere entro venerdì, perché poi il presidente del Consiglio, Mario Monti, partirà per la missione di una settimana in Corea del Sud, Giappone e Cina». [1] In Asia, Monti vuole presentare una “Nuova Italia” capace di attrarre investimenti. [2]

Martedì il ministro del Welfare, Elsa Fornero, aveva parlato di «una paccata di miliardi» indisponibile senza riforma. [3] «Vecchi atteggiamenti di pressione per ottenere quello che si vuole» aveva risposto il segretario della Cgil, Susanna Camusso. [4] Alla fine di un vertice-fiume con i leader di Pdl, Pd e Udc, giovedì Palazzo Chigi ha annunciato di aver trovato un accordo. [5] Punto più difficile da far digerire alla Cgil il principio, oggettivamente rivoluzionario per l’Italia, che i licenziamenti individuali diventino possibili con un semplice indennizzo monetario (ad eccezione quelli discriminatori, sempre tutelati dall’articolo 18). [6]

Fornero ha mandato alle parti sociali un documento di 5 pagine con il disegno della nuova mappa dei contratti. Enrico Marro: «Quello normale resta il contratto a tempo indeterminato. Poi c’è l’apprendistato che, secondo il governo, deve diventare il canale prevalente di accesso al lavoro. Per questo lo si incoraggia confermando le forti agevolazioni contributive a favore delle aziende previste dalla riforma Sacconi. E per incentivare la stabilizzazione degli apprendisti si propone di consentire la stipula di nuovi contratti di apprendistato solo alle aziende che abbiano assunto a tempo indeterminato almeno una parte dei precedenti apprendisti». [7]

Fornero vuole gravare i contratti a termine di un contributo aggiuntivo («il lavoro flessibile deve costare di più») che le aziende potrebbero in parte recuperare se poi assumono il lavoratore a tempo indeterminato. Marro: «Per il part-time e il lavoro a chiamata si prevedono obblighi amministrativi tesi a evitare soprusi dell’azienda nei confronti del dipendenti. È prevista una stretta sulle collaborazioni a progetto, sulle partite Iva e sulle associazioni in partecipazione, per evitare abusi, cioè il mascheramento di rapporti di lavoro subordinati». [7]

Il rafforzamento dell’apprendistato come via di ingresso nel mercato non risolve il problema dell’ingresso dei neolaureati o di chi, come molte donne, si ricolloca sul mercato del lavoro in età non giovanile, o di chi perde una occupazione in età matura. Chiara Saraceno: «Non affrontare la questione di una maggiore standardizzazione dei contratti di lavoro all’ingresso è una delle debolezze del pacchetto di riforme proposte dal governo, che sembra tutto spostato sul, certo importantissimo, tema degli ammortizzatori sociali e sulla flessibilità in uscita (articolo 18)». [8]

Nel mercato del lavoro alla Fornero ci sono tre tipi di licenziamento. Marro: «1) Discriminatorio (razza, religione, sesso, ecc.) dove non cambia nulla: il lavoratore fa ricorso e se il giudice gli dà ragione lo reintegra nel posto di lavoro, come se il licenziamento non fosse mai avvenuto. 2) Per motivi economici (l’azienda chiude, per esempio, il centralino) dove non c’è più la valutazione del giudice, ma l’obbligo per l’azienda di corrispondere un adeguato indennizzo economico al lavoratore. 3) Per motivi disciplinari (il lavoratore assenteista ingiustificato, per esempio) dove, sul modello tedesco, il giudice, se dà torto all’azienda, decide lui se disporre il reintegro del lavoratore oppure l’indennizzo». [7]

Il modello tedesco è quello che piace a Confindustria. [9] Tonia Mastrobuoni: «In Germania ci si è resi conto che in molti casi è anche nell’interesse del lavoratore negoziare un lauto indennizzo invece di farsi riassumere in un posto di lavoro dove il clima rischia di non essere più particolarmente “salubre”, al rientro». [10] Jochen Homburg, dirigente del sindacato dei metalmeccanici Ig Metall: «La grande differenza tra la Germania e l’Italia è che il datore di lavoro e il dipendente licenziato si accordano nel 95 per cento dei casi per un indennizzo che viene valutato in base all’anzianità del lavoratore». [11]

La Cgil ha già detto no alle proposte sui licenziamenti disciplinari: «Chi dice che bisogna liberalizzarli sta dicendo che deve tornare il libero arbitrio». [12] Il cambio di linea potrebbe arrivare mercoledì nel “parlamentino” confederale, con probabili lacerazioni nel principale sindacato italiano. Sergio Cofferati, predecessore della Camusso che dieci anni fa riempì il Circo Massimo contro il progetto Berlusconi sull’articolo 18: «Nessun imprenditore dirà mai di allontanare un lavoratore per motivi disciplinari, dirà sempre che è un problema di costi o di organizzazione. Introdurre queste distinzioni significa soltanto vanificare il contenuto dell’articolo 18». [13]

Nel mercato del lavoro alla Fornero, entro il 2015-2017 ci sarebbero due soli ammortizzatori sociali. Marro: «1) La cassa integrazione per tutte le aziende e i settori (comprendendo quindi anche l’area attualmente coperta dalla cassa in deroga). 2) L’Aspi, assicurazione sociale per l’impiego, che sarebbe la nuova indennità di disoccupazione più duratura (fino a 18 mesi per i lavoratori over 55) e appena più generosa di quella attuale, con un tetto di 1.119 euro lordi. Verrebbero abolite la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività e, gradualmente, l’indennità di mobilità. Per finanziare l’Aspi si ricorre al contributo aggiuntivo dell’1,4% sui contratti a termine e sull’equiparazione per artigiani e commercianti dell’aliquota ordinaria di contribuzione per la disoccupazione all’1,3% versato dall’industria». [7]

Come in tutte le rivoluzioni anche in questa ci saranno vincitori e vinti. Luisa Grion: «Fra i secondi troviamo sicuramente i lavoratori che secondo le norme ora in atto avrebbero diritto all’indennità di mobilità, fra i primi dovrebbero invece esserci parte di quelli che oggi si avvalgono dell’assegno di disoccupazione e di altre indennità minori». La tabella di marcia consegnata dal governo alle parti sociali parla chiaro: «Nel passaggio fra mobilità e Aspi tutte le fasce d’età, under 39 a parte, in tutte le aree geografiche del Paese sono destinate a perderci. Peggio di tutti starà il lavoratore del Sud di oltre 55 anni che rispetto al sostegno attuale perderà due anni e mezzo di copertura (da 48 mesi a 18)». [14]

Per quanto riguarda la disoccupazione, sulla carta il ragionamento sarebbe inverso. Grion: «L’assegno oggi è versato per 8 o per 12 mesi, l’Aspi lo porterà per tutti ad un anno e l´importo stesso dell’indennità sarà più alto rispetto a quello attuale. In alcuni casi decisamente più alto, fino a tremila euro l’anno in più. Il problema è capire quanti saranno gli “avvantaggiati”. In teoria più degli svantaggiati (nel 2011 i lavoratori con almeno un giorno di mobilità sono stati 180 mila, quelli che hanno ricevuto un sostegno alla disoccupazione 2 milioni e mezzo circa). Ma il confronto non è per niente facile e, soprattutto, non è facile capire quanto costerà alla fine l’intera partita». [14]

Già escluse dall’articolo 18, le piccole imprese (meno di 15 dipendenti) dovranno sobbarcarsi l’onere dell’Aspi, 233 euro all’anno per il lavoro indeterminato e 524 all’anno per quello a tempo. Roberto Bagnoli: «Mentre l’industria risparmierà 69 euro per ogni dipendente». [15] Per far cassa, sostengono le associazioni di categoria, sarebbe meglio rivolgersi alle imprese più strutturate: «Quando gli investimenti calano, non si può dare una mazzata a noi, che si ripercuote anche sul lavoro. È tutta una catena. In questa situazione l’unica ricetta è mettere benzina nel motore delle Pmi». Rossella Talarico: «Resta da vedere se il ministro del Lavoro Elsa Fornero e il premier Mario Monti decideranno di accettarla». [16]

Per la prima volta, il mercato del lavoro non dovrebbe essere riformato con un decreto legge ma con un disegno di legge governativo o una legge delega. Alessandro Trocino: «Un segnale, quello di non ricorrere alla decretazione d’urgenza, di rispetto per il lavoro dei partiti in Parlamento». [17] Francesco Bei & Goffredo De Marchis: «Il Partito democratico, dopo essersi speso sul fronte della Cgil, preferisce di gran lunga una legge delega. Qualcosa meno del provvedimento urgente, qualcosa di più del disegno di legge». [18] Le parti sociali sanno benissimo che il finale è già scritto. Marro: «Il governo la riforma la deve fare, per diverse ragioni, non ultima gli impegni presi con l’Europa. E sono consapevoli che essa sarà approvata dai partiti. Però sono consapevoli di poter influire sui contenuti della riforma. Molto più di quanto possano fare i partiti». [7]

Ai partiti che sostengono il suo “strano” governo, Monti ha detto che l’accordo «dipende dal merito», dunque non si fa a qualsiasi prezzo. Dopo aver clamorosamente raggiunto l’obiettivo della riforma delle pensioni, il premier si sta giocando sulla riforma del mercato del lavoro una quota significativa di credibilità. Le tensioni sociali sono possibili con e senza accordo. Mania: «Paradossalmente lo spread potrebbe giovarsi di uno strappo del governo con i sindacati, un po’ come accade cinicamente in Borsa quando all’annuncio di un piano di ristrutturazione con tagli del personale, le quotazioni dell’azienda interessata si impennano. I mercati interpreterebbero questo come la conferma di una soluzione hard». [19]

Note: [1] Enrico Marro, Corriere della Sera 13/3; [2] Amedeo La Mattina, La Stampa 17/3; [3] Roberto Giovannini, La Stampa 14/3; [4] Valentina Conte, la Repubblica 14/3; [5] Giuliana Casadio, la Repubblica 16/3; [6] Roberto Giovannini, La Stampa 17/3; [7] Enrico Marro, Corriere della Sera 17/3; [8] Chiara Saraceno, la Repubblica 15/3; [9] Luisa Grion, la Repubblica 16/3; [10] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 16/3; [11] Paolo Lepri, Corriere della Sera 13/3; [12] Silvio Buzzanca, la Repubblica 17/3; [13] Roberto Mania, la Repubblica 16/3; [14] Luisa Grion, la Repubblica 14/3; [15] Roberto Bagnoli, Corriere della Sera 17/3; [16] Rosaria Talarico, La Stampa 16/3; [17] Alessandro Trocino, Corriere della Sera 17/3; [18] Francesco Bei, Goffredo De Marchis, la Repubblica 16/3; [19] Roberto Mania, la Repubblica 17/3.