Stefano Lepri, La Stampa 16/3/2012, 16 marzo 2012
Raggiungeremo nel 2013 e nel 2014 record storici di pressione fiscale, conferma la Banca d’Italia
Raggiungeremo nel 2013 e nel 2014 record storici di pressione fiscale, conferma la Banca d’Italia. Paghiamo più tasse della media europea, notava l’altro giorno la Corte dei Conti. Purtroppo sì, dato il fardello di debito pubblico che pesa sull’Italia e che minacciava di schiacciarci nel terribile novembre del 2011. La più grossa fetta del debito pubblico ce la tiriamo dietro da quando di tasse l’Italia ne pagava troppo poche. Specie negli anni ’80, quando ci sentivamo «arrivati» nel novero delle nazioni più ricche, i governi ci dettero un generoso all’europea senza ritoccare troppo tributi da Paese emergente, e in più tollerando un’ampia evasione. Di nuovo prima di questa crisi il debito era tornato a crescere, perché di nuovo ci si era illusi che lo Stato potesse spendere di più promettendo al contempo di tassare di meno. Dopo la recessione del 2009, la stessa cifra di passivo pesa su una economia nazionale rimpicciolita. Il record storico del fisco era già scontato dopo la manovra di Ferragosto del governo Berlusconi; il governo Monti ha solo rafforzato quella scelta. L’obiettivo è appunto ora quello di un altro record storico, il pareggio di bilancio nel 2013, mai nemmeno sfiorato da quando esiste la Repubblica. L’87% dello sforzo richiesto al Paese sarà compiuto attraverso le entrate, poiché più si decide sotto l’impulso dell’emergenza, meno si hanno alternative alle tasse. Solo dal 2015 cominceranno a prevalere i tagli alle spese. Ogni cento euro che paghiamo di tasse propriamente dette, quasi una ventina servono a pagare i debiti contratti in passato con troppa leggerezza (in parte, ritornano nelle tasche di quelli tra noi che possiedono titoli di Stato). La pressione fiscale è la somma delle tasse e dei contributi sociali. Superava di poco il 30% del prodotto lordo all’inizio degli anni ’80, quando il debito pubblico cominciò la sua corsa. Verso la metà del decennio superò il 35%. Continuò a salire negli anni successivi senza riuscire a fermare il deficit tra entrate e spese dello Stato. Le stangate conseguenti al quasi-crack del ‘92 la portarono oltre la soglia del 40%, sotto la quale non si è mai più scesi. Il record che ora verrà infranto è del ‘97: 43,7%, con l’eurotassa poi in parte restituita. Comunque non deprimiamoci per il confronto con gli altri Paesi. Anche altrove le difficoltà presenti spingono ad aggravi. Rispetto alla Francia, se si guarda ai dati più aggiornati, di differenza ce n’è assai poca. Rispetto al 45% di pressione fiscale (tasse più contributi sociali) previsto in Italia quest’anno e il prossimo, al di là delle Alpi si dovrebbe arrivare al 44,5% nel 2012, con la prospettiva di superarci, arrivando anche lì a un record, nel 2015 con il 45,4% (ambedue i principali contendenti alle elezioni presidenziali riconoscono che non si potrà fare diversamente). La vera differenza, lo sappiamo, è un’altra: che l’amministrazione fiscale francese funziona meglio, cosicché ci sono meno evasori. Lo stesso gettito in Italia si raggiunge con aliquote più elevate. Però non sempre quelli che strillano di più contro il fisco sono davvero i più colpiti. Ad essere tartassati sono soprattutto i lavoratori dipendenti delle fasce medie e medio-alte, e le imprese con tutto il personale in regola e con bilanci corretti. La Banca d’Italia ieri ha indicato dove sarà urgente ridurre il carico tributario, appena si potrà. Occorre intervenire sul «cuneo fiscale» (differenza tra costo del lavoratore per l’impresa e busta paga netta), e sull’aliquota per le società. Nel frattempo, ci toccherà un’altra botta sull’Iva da ottobre, con l’aumento dell’aliquota al 23% che farà salire i prezzi (ma aiuterà l’export, su cui non grava). C’è chi spera che successi consistenti nella lotta all’evasione possano indurre il governo a contenere al 22% il ritocco. Una delle misure che più mette paura agli evasori è il controllo del fisco sui conti bancari: biasimato dal Garante della Privacy, ma gradito a una larga maggioranza di italiani, 70% secondo un recente sondaggio di opinione.