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 2012  marzo 16 Venerdì calendario

La rivincita del cornuto Chiedere i danni all’amante della moglie - Lei avrebbe un amante. Lui so­stiene che lei è stata ossessivamen­te insidiata dall’altro al punto di cedergli e disgregare così la vita fa­miliare

La rivincita del cornuto Chiedere i danni all’amante della moglie - Lei avrebbe un amante. Lui so­stiene che lei è stata ossessivamen­te insidiata dall’altro al punto di cedergli e disgregare così la vita fa­miliare. Provocando, di conse­guenza, la depressione del marito e il grave disagio dei due piccoli fi­gli. Il marito, allora, cita in giudi­zio il presunto amante e gli chiede il risarcimento di 600 mila euro per i danni morali cagionati a lui stesso e ai bambini. La causa è ini­ziata ieri a Spoleto e, prima della sentenza, passerà certo un po’ di tempo, giacché la causa civile ri­chiede in genere un’articolata istruttoria, comprendente testi­monianze, perizie mediche e psi­cologiche, valutazione delle pro­ve e diversi atti scritti difensivi. Che dire? Il problema posto è tec­nico e complesso. Intanto, non si dovrebbero definire i danni come «morali», ma, se mai, «non patri­moniali ». Fino a poco tempo fa erano considerati risarcibili, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, solo i danni morali procurati da un reato. Quando l’adulterio era reato, il fedifrago e il suo complice potevano anche rispondere dei danni morali provocati al tradito. Oggi, però, sono risarcibili i danni non patrimoniali conseguenti al­la lesione di diritti e valori costitu­zionalmente garantiti, tali da alte­rare la personalità della vittima, per esempio nella sua identità per­sonale o nella libertà di vivere in un certo modo. Dunque, il danneggiato deve, tramite concreti e circostanziati fatti, poter dimostrare che il com­portamento di un altro, in questo caso il presunto amante, ha leso precisi suoi diritti assoluti, protet­ti dalla costituzione, in modo tale da provocargli danni che condi­z­ionano negativamente la sua esi­stenza. Mi sembra di capire che, secondo il marito, proprio i com­portamenti attivi, anzi addirittura ossessivi, del presunto amante, hanno indotto all’infedeltà la mo­glie, con la conseguenza della di­struzione della famiglia. Dunque, l’ipotetico amante,pur provocan­do enorme piacere alla moglie, sa­rebbe responsabile di un fatto, la separazione, e questa avrebbe de­terminato danni esistenziali agli altri componenti della famiglia, cioè marito e figli. Se il marito avesse chiamato in causa la moglie, avremmo potuto affermare che il danno non po­trebbe essere considerato per il fatto in sé della separazione inter­venuta, poiché separazione e di­v­orzio sono strumenti previsti dal­l’ordinamento per rimediare al­l’intollerabilità della convivenza. A tal fine basta la disaffezione. Se invece un coniuge compie atti di intrinseca gravità e di aggressione ai diritti fondamentali dell’altro, può essere citato in giudizio, con o senza separazione, ed essere con­dannato al risarcimento del dan­no. Il pregiudizio subìto, cioè, non è la separazione in sé e la disgrega­zione della famiglia, bensì la lesio­ne ingiusta­dei diritti personalissi­mi indicati e tutelati dalla Costitu­zione, quali nome, identità, digni­tà, libertà, salute ecc., provocati dalla condotta illecita del coniu­ge. Tradire non è un illecito, quan­to invece una grave violazione del­le regole di condotta imperative poste dal contratto matrimonia­le. Il marito, invece, nel nostro ca­so, ha fatto causa all’ipotetico amante. Ma è subito ovvio che cia­scuno è libero di instaurare rela­zioni affettive e sessuali con chiun­que, anche se coniugato, perché non esiste un dovere giuridico di astenersi dalle relazioni con chi è sposato.Né l’obbligo di essere so­lidali o di tutelare le famiglie al­trui, per quanto la famiglia in sé sia protetta dalla Costituzione. Ma la Costituzione tutela pure la li­bertà, di ogni individuo, di espri­mere come meglio crede la sua personalità. Anche innamorando­si di persone coniugate. L’aman­te, o presunto tale, è del tutto estra­neo alle regole giuridiche del vin­colo matrimoniale. Che, dunque, un terzo estraneo possa indurre una signora al tradimento, persi­no contro la sua volontà, non solo è squalificante della capacità di ra­gionare della signora, ma è un’illo­gicità giuridica il pensare che in qualche modo possa essere puni­to: si darebbe per scontata quel­l’ipotesi del dovere di astensione che non esiste nel territorio giuri­dico. Diverso sarebbe se l’estra­neo alla famiglia ponesse, o aves­se posto in essere, da solo o con il coniuge traditore, condotte illeci­te offensive e gravemente lesive del coniuge tradito, indipendenti dalle aggressioni al vincolo matri­moniale e non collegate al tradi­mento: ingiurie, diffamazioni, at­tentati alla vita. In tal caso rispon­derebbe anche civilmente dei danni causati dal suo fatto illecito. Non è possibile dire come finirà questa vertenza, perché la giuri­sprudenza è spesso creativa. In­tanto, però, il marito infelice do­vrebbe meditare sulle parole di Paulo Coelho «molti sono stati ab­bandonati dalla persona amata, eppure sono riusciti a trasforma­re l’amarezza in felicità». Anche senza una sentenza.