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 2012  marzo 16 Venerdì calendario

Dalla Ducati a Morini sbandate e rinascite delle due ruote italiane - Con la rossa Ducati finita nel mirino dei tedeschi di Audi, il tormentone di questi giorni, un altro gioiello industriale italiano rischia di passare in mano straniera

Dalla Ducati a Morini sbandate e rinascite delle due ruote italiane - Con la rossa Ducati finita nel mirino dei tedeschi di Audi, il tormentone di questi giorni, un altro gioiello industriale italiano rischia di passare in mano straniera. La vicenda della casa di Borgo Panigale, attualmente controllata da Investindustrial holdings di Andrea Bonomi che l’ha messa in vendita, è tuttavia l’ultimo caso di una pattuglia di marchi che hanno fatto la storia delle due ruote e del costume italiani passati per una lunga catena di cessioni, acquisizioni, fallimenti o cessazione di attività. C’è ad esempio la varesina Cagiva, che comprò proprio la Ducati nel 1985 per rivenderla 11 anni dopo agli americani di Texas Pacific Group (che nel 2006 la girarono a Bonomi), dopo i fasti passati della ParigiDakar (con Edi Orioli) e del Mondiale 500 (con Eddie Lawson). Morto ad agosto il patron Claudio Castiglioni, la Cagiva è oggi impegnata a rilanciare l’anima «corsaiola» ma di nicchia di MV Agusta, ceduta nel 2008 ad Harley-Davidson e ricomprata 2 anni fa. La centenaria Benelli, dopo aver sospeso la produzione, nel 2005 è stata rilevata dai costruttori di scooter cinesi Qianjiang Group, conservando però progettazione e fabbrica a Pesaro. Malaguti, 80 anni di storia alle spalle, ha chiuso tristemente a fine ottobre, lasciando a casa gli ultimi 170 dipendenti. Preceduta anni prima da case blasonate come Malanca e Laverda. Moto Morini, fallita nel maggio 2010, è invece rinata a luglio con un nuovo management, pronta a riprendere la produzione della Rebello 1200, che verrà commercializzata via web. Mentre Guzzi, Aprilia e Gilera, la più antica azienda a due ruote d’Italia, sono finite in pancia a Piaggio. Uno dei pochi marchi italiani capaci di espansione internazionale. Eppure il paese è stata la culla delle due ruote di massa. I più anziani ricorderanno i piccoli motori a basso costo come il «Mosquito» Garelli, la bicicletta con le ali che spopolò in tutta Europa, o il «Cucciolo» Ducati. Erano i mesi fragili del Secondo Dopoguerra, l’Italia aveva fretta di ripartire dopo le macerie belliche. Gli anni Cinquanta sono quelli del derby romantico Vespa-Lambretta: Vacanze romane e signorine sedute di lato. Poi arriva il boom economico con i ragazzi stregati dalle fiammanti Moto Morini «Corsaro», il marchio bolognese portato ai primi successi in pista dalle «pieghe» imbattibili di un giovane Giacomo Agostini. Seguono i lividi anni ‘70 dei centauri «easy rider» innamorati di Moto Guzzi, l’aquila di Mandello Lario. Dei ragazzini in sella al Fantic "Caballero", la prima moto da cross di largo consumo e, in città, dei motorini Benelli. Negli Ottanta del riflusso, a parare il colpo formidabile della triade giapponese Honda, Yamaha, Suzuki ci penseranno invece il «Fifty» Malaguti, il Garelli tre marce, le moto Cagiva e Gilera. Nei Novanta sarà la volta delle rombanti Aprilia cavalcate, a fine decade, dal mito Valentino Rossi. Fino all’eleganza Ducati (916, Monster e negli anni duemila la Desmosedici) e ai muscoli di acciaio delle Mv Agusta (F4 e Brutale). Ogni generazione ha (avuto) la sua moto del cuore. Sogni e giovinezza in movimento. In molti casi con epicentro Bologna, la motor valley italiana. Sulla via Emilia ancora pochi anni fa, prima che la crisi picchiasse duro (le immatricolazioni 2011 sono calate del 17%), lavoravano quasi 200 aziende produttrici di moto, motori, telai, sospensioni e ricambi con 5.500 addetti. Ma il mercato non perdona. La concorrenza globale amplifica i difetti dell’impresa familiare basata sull’intuizione artigianale del fondatore: scarsa organizzazione e pochi capitali con cui fare innovazione e reggere la sfida dei colossi giapponesi e tedeschi (Bmw). E oggi, i segni si vedono tutti.