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 2012  marzo 16 Venerdì calendario

KO TECNICO: I CONTI DEL PROF NON TORNANO


L’ultimo dato arriva dalla Banca d’Italia. Il debito pubblico a fine gennaio è arrivato a quota 1.935 miliardi di euro. La crescita è stata notevole rispetto al mese di dicembre per una serie di partite contabili che sono state rinviate al mese successivo, ma il debito pubblico è comunque cresciuto anche a parità di perimetro. Alla vigilia dell’insediamento del governo tecnico guidato da Mario Monti era di 1.909 miliardi di euro, quindi nei primi cento giorni di governo il debito pubblico è aumentato di 27 miliardi.
Purtroppo non è la sola voce da inserire nello stato passivo dell’esecutivo. Perché tutti gli indicatori macroeconomici fondamentali sono peggiorati fra il novembre scorso ed oggi. Il 10 novembre ad esempio l’Unione europea aveva visto al ribasso le previsioni sul Pil italiano del 2012, segnalando una sostanziale stagnazione dell’economia: +0,1%. Tre mesi dopo sempre la Ue ha rivisto le previsioni decisamente al ribasso: recessione con il Pil a – 1,3%. Ricchezza del paese che si riduce di 19 miliardi di euro, debito che aumenta di 27 miliardi di euro. Questo significa che il rapporto debito/Pil dell’Italia diventa ancora più negativo e che si è creato un buco da 46 miliardi di euro da recuperare e da aggiungere ai circa 40 miliardi di euro di manovra di riduzione annua che fra non molto Roma dovrà mettere in conto per rispettare le regole del fiscal compact che Monti ha appena firmato.
Purtroppo non ci sono solo quegli indicatori macroeconomici a segnalare che i conti economici dell’Italia sono drammaticamente peggiorati durante i primi 100 giorni di governo tecnico. Il deficit pubblico è aumentato, invece di ridursi e tendere al pareggio come sarebbe dovuto avvenire nei piani dell’esecutivo. A dicembre 2011 si è registrato un avanzo di 8 miliardi di euro, inferiore di 2 miliardi rispetto al dicembre 2010. Anche nel bimestre gennaio-febbraio 2012 il risultato è stato peggiore dell’analogo periodo dell’anno precedente. Nei primi tre mesi (dicembre-febbraio) del governo Monti il fabbisogno è stato di 2,7 miliardi di euro, superiore di 2,4 miliardi di euro ai 0,3 miliardi di fabbisogno registrato nello stesso trimestre dell’anno precedente quando al ministero dell’Economia c’era Giulio Tremonti. A questo squilibrio finanziario aggravato si aggiungono altri dati congiunturali preoccupanti: il giorno che Monti è arrivato a Palazzo Chigi il tasso di disoccupazione italiano era dell’8,5%. A fine gennaio era già salito al 9,2%, e il trend è negativo.
Naturalmente non tutto il peggioramento dei conti pubblici porta la responsabilità dell’esecutivo in carica, visto che la tendenza era già negativa in tutto il secondo semestre 2011. È vero però che a inizio del mese di dicembre Monti ha varato il suo decreto salva- Italia nella speranza di invertire quella tendenza, ma l’effetto avuto su una base temporale significativa come 100 giorni, quasi un quarto di anno, è stato l’opposto: non ha tamponato la crisi dei conti pubblici, e, anzi, l’ha aggravata. Come ritenevano gran parte degli economisti (in primis gli ex colleghi di Monti), l’utilizzo eccessivo della leva fiscale e la totale assenza di misure di riduzione della spesa corrente hanno provocato depressione e impedito il miglioramento dei conti pubblici. L’eccesso di leva fiscale – l’esperienza insegna – spesso si mangia nella riduzione complessiva della ricchezza del Paese il vantaggio che avrebbe voluto portare ai conti pubblici. Il taglio della spesa corrente improduttiva (anche quelli lineari di Tremonti che erano così antipatici, ma funzionavano) invece centra sempre l’obiettivo. La sola spesa ridotta sulla carta è quella sugli interessi pagati per i titoli di Stato italiani. A vedere i conti pubblici però la riduzione dello spread (che c’è stata) non ha prodotto risparmi reali, perché quasi tutti i titoli decennali in scadenza avevano gli spread alti del biennio 2001-2002 (quando erano schizzati per l’attentato alle Torri Gemelle e per lo scandalo Enron a Wall Street). Sui titoli a breve dunque si è tornati a pagare gli interessi messi in conto e su quelli a lungo termine inizia ora a vedersi un risparmio che produrrà gli effetti solo fra qualche mese. Certo ha contribuito a questo risultato parziale la grande capacità di Monti di vendere al meglio il marchio Italia e quello del suo governo. I decreti varati fin qui dall’esecutivo vengono generalmente definiti dalle varie cancellerie europee «very impressive», ben al di là della loro portata reale. Sono giudicati molto meglio di quel che sono e degli effetti che si stanno vedendo. E in questa sopravvalutazione c’è tutta l’abilità del venditore-Monti, capace anche di «impressionare» quel coriaceo cancelliere che è Angela Merkel. La realtà però va sempre tenuta presente, perché poi fa pagare il suo conto. E la verità sulla caduta degli spread va cercata soprattutto fuori da questi confini e nei pressi di un altro italiano che ha fatto molto per fare uscire l’area dell’euro dalle tensioni: Mario Draghi. Se la Bce non avesse inondato il mercato con una liquidità di trilioni di euro messa a disposizione delle banche anche per acquistare titoli di Stato alle aste, gli spread sarebbero quelli di prima. Grazie a Draghi sono scesi quelli italiani, ma anche quelli spagnoli e perfino quelli greci.
L’operazione verità sui conti pubblici dovrebbe fare suonare un campanello di allarme nel governo: la sua ricetta economica sta offrendo frutti avvelenati. E la capacità politica non sembra brillare (non è stata certo geniale ieri l’uscita del ministro dell’Ambiente Corrado Clini sugli Ogm, e fa acqua da tute le parti la gestione del pacchetto liberalizzazioni da parte del governo), rendendo l’esecutivo ogni giorno che passa più fragile. Fra qualche mese è possibile non ci sia più spazio politico per un cambio di rotta. Ma se Monti guarda con attenzione quei numeri, si deve fare ora. Sostituendo la mazzata fiscale con tagli immediati alla spesa corrente. Si torni a quelli lineari con manovra correttiva, se non si è capaci a fare la spending review. Ma bisogna farlo ora, e liberare dal giogo fiscale questo paese che rischia di restarne stritolato.

Franco Bechis