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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

IL TESORO DELL’ENPAM, LA TRASPARENZA E LA CURA

Anomalie, fee troppo alte e possibili conflitti di interesse, reali o percepiti, nella gestione dei patrimoni delle casse di previdenza. Negli ultimi tempi si è discusso molto di questi temi. Ma in termini per lo più generici, e a volte anche approssimativi. In questa inchiesta a puntate Il Sole 24 Ore prova a illustrare le problematiche e a contestualizzarle, raccogliendo testimonianze e documentazione che permettano di ricostruire episodi precisi. E a spiegare chi e come ne è stato protagonista.
Le vulnerabilità del sistema di gestione dei beni delle casse sono essenzialmente due: il patrimonio è spesso amministrato con il supporto di un gruppetto troppo sparuto di consulenti. E in condizioni di trasparenza troppo scarsa. Perché il valore di mercato degli asset scambiati è spesso oscuro. Così come le relazioni, i compensi e le commissioni di advisor e intermediari.
«Il prezzo finale di un bene o un titolo acquistato incorpora sempre tre voci - il valore effettivo del prodotto comprato, il margine per chi lo vende e le commissioni per chi monta o favorisce l’operazione. Troppo spesso l’ente non ha modo di scorporare queste voci e quindi non è nelle condizioni di fare una valutazione accurata», spiega un addetto ai lavori che chiede l’anonimato. E aggiunge: «Nei consigli di amministrazione quasi nessuno ha la competenza per capire questi dettagli. E chi ce l’ha non sempre ha la volontà di condividerli».
Per scendere al particolare, abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione sull’Enpam. Perché la fondazione dei medici italiani amministra un patrimonio di circa 12 miliardi, pari a quasi un quarto del volume complessivo di tutte e venti le casse di previdenza italiane. Perché la sua storia coinvolge alcuni dei più noti membri del gruppuscolo di advisor protagonisti di questo mercato. E perché nel 2011 è stata al centro di un acceso scontro sulla gestione del suo patrimonio.
Cominciamo introducendo i protagonisti della storia. Il primo è Maurizio Dallocchio. Onnipresente e polivalente, Dallocchio non solo ha accumulato negli anni una cattedra di Finanza aziendale alla Bocconi e cariche o incarichi in una miriade di società, ma è sempre riuscito anche a trovare il tempo per coltivare lo sport (portiere di calcio, sciatore e maratoneta), la bella vita (Ferrari e Porsche) e le amicizie importanti (la famiglia Ligresti e Ignazio La Russa, che lo ha lanciato a suo tempo nella municipalizzata dell’energia di Milano Aem, sono tra le più strette e durature).
Nella sua carriera, Dallocchio non ha mai temuto di strafare. Anzi, verrebbe da dire che per quell’amore della sfida tipico di ogni buon sportivo, ha spesso scelto di arrivare fino al limite massimo. E anche di superarlo. Così è incappato non una, ma due volte in una sanzione amministrativa della Consob.
Il primo è stato adottato con la delibera n. 15725 del 9 gennaio 2007 a lui irrogata in qualità di consigliere di amministrazione di Interbanca Gestione Investimenti Sgr «in ragione della mancata adozione della procedura disciplinante i conflitti di interesse e dell’inidoneità della procedura successivamente adottata a ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse anche derivanti da rapporti di gruppo o da rapporti di affari propri o di società del gruppo e tra patrimoni gestiti».
Il secondo con la delibera n. 17512 del 30 settembre 2010 a lui decisa in quanto consigliere di amministrazione e socio di Helm Finance Sgr, «per la mancanza di correttezza e diligenza di comportamento di Helm Finance SGR S.p.A. nell’interesse degli investitori gestiti, per essersi la società disinteressata (…) in ogni fase del ciclo di vita dello stesso».
Fino all’estate del 2010, per ben 17 anni di fila, Dallocchio è stato "consigliere esperto" di Enpam, cioè il membro del Cda che ha ispirato e/o avvalorato gli investimenti. E anche qui è emersa la questione di possibili suoi conflitti di interessi. Ve la illustriamo passando dal linguaggio formale e inespressivo delle delibere Consob, a quello più espansivo usato dallo stesso professore in un incontro avuto con gli altri consiglieri nel 2009.
A chi gli aveva fatto notare che aveva avallato l’acquisto di quote di un fondo di Lehman Brothers, banca di investimento che finanziava la sua cattedra alla Bocconi, Dallocchio ha replicato così: «Accidenti Lehman! (…) Ricordo a tutti che per la sponsorizzazione è la Bocconi a ricevere i denari, non il professor Dallocchio! Lehman Brothers - scusate, solo per chiarezza e per completezza di informazione - a me non ha mai dato incarichi di alcun tipo né remunerazioni. Cosa da rimarcare, essendo io professionalmente vicino a moltissime realtà finanziarie. Solo a titolo di esempio ho rapporti professionali con Société Générale, JP Morgan, Morgan Stanley, Citigroup, Depfa. Tutte entità che dichiaro con trasparenza e sincerità».
Raggiunto telefonicamente da Il Sole 24 Ore, il professor Dallocchio ha negato di aver mai promosso uno specifico investimento piuttosto che un altro. «Proprio no», ci ha detto. Vuole dire, gli abbiamo chiesto per chiarezza, che lei non ha mai suggerito uno specifico prodotto o fondo su cui investire? «Nell’ambito del comitato investimenti, io ho sempre analizzato, quando veniva sottoposto, il portafoglio di investimenti, selezionato dalla struttura tecnica dell’ente», risponde. «Ma non è che ci sia accesso di un offerente nell’ambito della struttura del comitato. Questo non avviene mai».
Beh, almeno una volta esembra essere avvenuto. A dirlo sono gli stessi atti citati sopra. A chi gli aveva fatto notare che un investimento da lui promosso in Enpam era stato l’acquisto di quote di Dgpa Capital, fondo da lui stesso creato, il professor Dallocchio ha ribattuto così: «Dgpa è la mia società di consulenza, che nasce nel 1991 con tre colleghi universitari, Girardi, Pieroni e Avanzini - la D sta evidentemente per Dallocchio. Si tratta di una società (…) che ha dato origine a un fondo di private equity che si chiama Dgpa Capital (…) Io ho rappresentato con molta chiarezza qual era la situazione, dicendo che la società era a me riconducibile e che ritenevo che si trattasse di un investimento interessante. Altrimenti non ci avrei messo i miei denari… Questa è una situazione che nel mondo bancario è del tutto normale perché quando Montepaschi di Siena dà denari a un senese o San Paolo Imi (quando esisteva) dava denari a un torinese che magari sedeva nel Consiglio di amministrazione, lo faceva nella contezza del fatto che si trattava di una persona ragionevolmente affidabile altrimenti non sarebbe stata membro di quel Consiglio. Vi fu un momento nel quale il presidente (Eolo Parodi ndr) mi disse «Maurizio, ma secondo te è una buona idea che Enpam investa in Dgpa Capital? Forse non è il caso di fare un passo indietro?» Risposi al Presidente: «Sono talmente convinto della correttezza, della solidità di quello che stiamo esaminando che se l’Ente in questo momento non facesse seguito al suo impegno di sottoscrizione, probabilmente sarebbe come ammettere di aver seguito un percorso non corretto. Vi assicuro che sotto il profilo formale e sostanziale, almeno sulla base della mia esperienza, un’operazione fatta in questo modo è corretta». Forte di questa sua assicurazione, Enpam ha impegnato 20 milioni in Dgpa Capital (investendone per ora circa 18).
Ancora oggi, il professor Dallocchio non ritiene di aver fatto alcunché di inappropriato. Anzi. «Ricordo che nell’ambito delle fondazioni non c’è nessuna regola di controllo. Per cui, più trasparente e aperto di così non si poteva essere. E su quella decisione mi sono astenuto».
Comunque sia, nel sottoscrivere quote del fondo Dgpa, Enpam si è indirettamente impegnata a pagare una management fee del 2,5% alla società di gestione del risparmio fondata dal suo stesso consiglier esperto. Come recita il contratto, in carico al fondo (quindi ai suoi sottoscrittori) sono inoltre «i costi relativi all’istituzione e promozione del fondo determinati forfettariamente in misura pari all’1% del totale del patrimonio (…) gli oneri relativi agli investimenti e ai disinvestimenti delle attività del fondo (…) i costi di stampa dei documenti destinati ai partecipanti (…) le spese di convocazione e tenuta delle riunioni dell’ assemblea dei partecipanti e dell’ Advisory committee (…) le spese di revisione della contabilità e dei rendiconti». Tutte commissioni o spese ritenute da addetti ai lavori consultati da Il Sole 24 Ore «estremamente elevate». Che nel 2010 hanno permesso a Dgpa di registrare "commissioni attive" per 3,3 milioni.
Durante i 17 anni di mandato di consigliere esperto del professor Dallocchio, Enpam ha realizzato una dozzina di operazioni in cui la svizzera Gdp ha partecipato in qualità di advisor delle controparti bancarie. Per un controvalore iniziale complessivo di 667 milioni di euro. Tra i direttori e soci di Gdp c’è Romano Binotto, ex presidente di Bell, la scatola lussemburghese che permise la scalata a Telecom da parte di "Chicco" Gnutti, il finanziere bresciano da sempre vicino a Maurizio Dallocchio (che è tra l’altro stato presidente del collegio sindacale di Fingruppo, il maggiore azionista di Hopa, la società fondata da Gnutti). «Non so chi sia Binotto… non ce l’ho in mente», ci dice oggi il professor Dallocchio.
Un cognome che invece sicuramente conosce, e che è anche emerso nelle operazioni finanziarie di Enpam, è quello di Michele Calcaterra, suo allievo, amico e collega in Bocconi. La sezione "La famiglia di Dgpa", in cui il sito della società fondata dal professor Dallocchio presenta «quei professionisti che, avendo collaborato con noi per un periodo di tempo significativo, consideriamo parte della nostra storia», riporta anche il nome di Calcaterra. Dicendo: «Con Michele (…) la collaborazione è continuata dinamica e vorticosa fino a quando è stato chiamato a cariche di vertice (…) in E.Capital Partners». E quest’ultimo è un nome emerso anche in operazioni di investimento fatte dall’Enpam.
Una "lettera-esposto" inviata al Cda di Enpam da un medico di Lucca parla per esempio di fee riconosciute a una sussidiaria di E.Capital Partners in un’operazione sul titolo Xelo. Calcaterra è stato poi autore della "valutazione etica" dei titoli Anthracite, un veicolo finanziario garantito da Lehman Brothers finito nell’occhio del ciclone dopo il fallimento della banca d’investimento newyorkese.
«Non sapevo neanche che Calcaterra avesse fatto la valutazione di Anthracite», ci dice il professor Dallocchio. E subito aggiunge:«Anthracite mi risulta sia un investimento fatto da molti operatori. E non mi risulta che sia stato particolarmente negativo come risultati complessivi». Beh, dipende che cosa si intende per "particolarmente negativo": su 45 milioni investiti, Enpam ne ha infatti persi dieci.
L’affiatamento tra Dallocchio e l’Enpam comincia a venire meno proprio in occasione della crisi scoppiata dopo il crack di Lehman, lo sponsor della sua cattedra alla Bocconi. Qualcuno in Enpam comincia allora a notare un fatto fino a quel momento ignorato: che l’altro consulente di Enpam a cui era affidata l’analisi ex post degli investimenti, Mangusta Risk, aveva spesso storto il naso su alcune scelte avallate da Dallocchio.
Anche Mangusta ha però i suoi detrattori. Insomma, critiche a destra e critiche a manca, improvvisamente sembra si possano aprire i giochi sulla gestione dei miliardi dell’Enpam.
Non è una questione solo "tecnica". È anche politica. Che mette a repentaglio l’ennesima riconferma dell’ultraottantenne presidente Eolo Parodi nelle elezioni del Cda del giugno 2010. È in questo contesto che entrano in gioco due altri protagonisti del gruppetto di advisor delle casse - Giulio Gallazzi e Daniele Pace. I due hanno un alleato interno nel dottor Giancarlo Pizza, presidente dell’Ordine dei medici di Bologna, la città di Gallazzi.
Parte così una straordinaria guerra. La prima salva è sparata da Pizza il 26 febbraio 2010 in un discorso al consiglio della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri. Pizza è un medico, non un consulente finanziario, eppure il suo intervento presenta un’analisi altamente tecnica dei metodi di gestione del portafoglio mobiliare di Enpam. Che punta il dito sull’«eccessiva esposizione a titoli credit-linked» e sulla «presenza di titoli con profilo dei pagamenti particolarmente complesso».
Insomma, allarme rosso sulla gestione del patrimonio mobiliare. Fortuna che lui ha già pronto un rimedio. Ventuno giorni dopo, in una lettera al presidente Parodi, propone l’ingaggio di Giulio Gallazzi e del suo team di Sri Capital Advisers, con il supporto di Daniele Pace, e la sua Consulenza Istituzionale.
Parodi sta al gioco. E su sua iniziativa il 28 maggio 2010 il Cda delibera «di affidare alla società Sri Group Capital Advisers Ltd per un compenso pari ad € 70.000,00 l’analisi del portafoglio mobiliare dell’Ente (…) e l’individuazione di eventuali criticità presenti nel portafoglio».
Pizza è accontentato. Tant’è che alla vigilia delle elezioni annuncia pubblicamente di non essere «più così preoccupato per il domani, perché vedo attenzione da parte del Consiglio di Amministrazione e da parte dei Consiglieri Nazionali e condivido il loro ottimismo».
Il 9 dicembre 2010, Gallazzi presenta il suo "rapporto finale", 78 pagine fitte di analisi e dati. Con interi paragrafi identici, parola per parola, a quelli dell’intervento di Pizza del 26 febbraio - a partire dal passaggio che criticava «l’eccessiva esposizione a titoli credit-linked». Il nome di Dallocchio non viene mai fatto, ma sono evidenziate svariate operazioni con commissioni agli intermediari ritenute eccessive e ingiustificate (vedi box).
Dallocchio, che spera di essere ancora confermato da Enpam, risponde inghiottendo il rospo. Anzi, tentando il tutto per tutto e sposando le critiche di quello che a quel punto capisce essere un ex amico. In una nota di commento al rapporto Sri scrive a Parodi che «l’analisi condotta ha il pregio di mettere in evidenza delle aree di miglioramento che Enpam potrà certamente decidere di perseguire. Per esempio: eccessiva complessità dei titoli… operazioni chiuse in assenza di gara… problematiche relative agli interventi di ristrutturazione». Come se per 17 anni non fosse stato lui a fare da "consulente esperto" per gli investimenti mobiliari di Enpam.
In ogni caso Enpam ha deciso di chiudere il rapporto pluridecennale con il professore della Bocconi. Motivo? «Il nuovo consiglio di amministrazione - ci spiega la cassa - ha deciso di non nominare consiglieri esperti, ritenendo superata questa figura. Al tempo stesso, ha dato il via alla riforma della governance degli investimenti».
Di questo e del duello tra advisor per la gestione del patrimonio mobiliare dell’Enpam parleremo più approfonditamente nella prossima puntata.