Luigi Guiso, Il Sole 24 Ore 15/3/2012, 15 marzo 2012
IL «PENTITO» DI WALL STREET
All’indomani del caso Madoff, e in piena crisi finanziaria, Paul Krugman, scrivendo sul New York Times e dando voce al sentire comune di molti investitori, poneva la domanda paradossale: «Che cosa differenzia ciò che ha fatto Wall Street dall’affare Madoff?» Beh - diceva Krugman – «Madoff ha semplicemente saltato alcuni passaggi appropriandosi direttamente dei soldi dei suoi clienti piuttosto che incassare salate commissioni mentre si esponevano gli investitori a rischi che non erano in grado di capire». Una congettura-provocazione basata su indizi e su pezzi di evidenze indirette. Ora questa tesi riceve un supporto dalle dichiarazioni, apparse sul New York Times, di Greg Smith, direttore esecutivo a capo della sezione di Goldman Sachs sui derivati in azioni per l’Europa, il Middle East e l’Africa. Smith, che ha scelto di lasciare l’azienda accusandola di perpetuare una politica che antepone il profitto dell’impresa agli interessi dei clienti – approfittando cioè di ogni situazione di conflitto di interesse per fare soldi – può essere definito, a tutti gli effetti, il primo "pentito" della grande finanza. Come tutti i pentiti le sue parole vanno pesate e le motivazioni circostanziate, ma alle sue dichiarazioni bisogna prestare attenzione. Primo: perché è un insider di rango, e quindi informato del modo in cui si conducono gli affari nei segmenti di mercato in cui lui ha operato. Secondo: perché le cose che dice, se confermate, rivelano atteggiamenti assai diffusi nel mondo degli intermediari nel trattare il concetto di clienti, vale a dire immaginarli come altrettanti «polli da spennare». A detta di Greg Smith, li chiamavano "mappet", pupazzi: l’idea di fondo era che si poteva fare dei clienti ciò che si fosse voluto, usando le maggiori informazioni per vendere qualunque prodotto fosse conveniente per l’azienda anziché per il cliente. La ragione di questo scadimento secondo Smith va ricercata in un calo della tensione morale all’interno dell’azienda e, di riflesso, nel mondo della finanza, in uno scadimento della leadership aziendale che ha compromesso una antica cultura basata sul principio per cui Goldman Sachs è famosa, «Our clients’ interest always come first» – gli interessi dei nostri clìenti vengono sempre per primi. L’azienda ha preso le distanze dal "pentito" e si è detta del tutto in disaccordo con le affermazioni di Smith «contrarie allo spirito con cui la banca tratta la clientela». Se c’è da dubitare di un "pentito", forse si può prestare più credito a un rinomato ricercatore, uno dei padri fondatori della moderna finanza d’impresa - Michael Jensen, professore ad Harvard - che negli ultimi anni ha dedicato tutta la sua attenzione a mettere in risalto il pericoloso scadimento negli standard etici prevalenti nel mondo del business e della finanza. Per Jensen siamo di fronte, innanzitutto, a una carenza di integrità intesa come la non disponibilità a negoziare sui principi e i valori a qualunque costo. Il punto che emerge da queste indicazioni e da non sottovalutare è che il sistema di valori su cui l’impalcatura finanziaria, almeno in parte, si regge è deteriorato e il suo deterioramento ha provocato un vero e proprio "scivolamento" del mercato. A tal punto che lo sfruttamento dei conflitti di interesse a spese dell’investitore, particolarmente quello meno accorto, è ormai diventato una forma di equilibrio, una situazione da cui sembra che nessun operatore abbia interesse a muoversi. Ciò solleva quesiti importanti. Ad esempio: perché la pressione competitiva, che pure negli Stati Uniti è notevole, non sembra in grado di mitigare questo problema? Come si fa a ripristinare un equilibrio in cui comportamenti disonesti nei confronti del cliente non siano la norma, ma l’eccezione espulsa dagli stessi altri operatori che partecipano al mercato? Possiamo farlo con maggiori iniezioni di regolamentazione? E se sì, di che tipo? Vietando certi prodotti o piuttosto mettendo filtri molto stretti nella selezione di chi partecipa a questo mercato in cui l’integrità sia il primo requisito? Non c’è una risposta semplice a queste domande. Negli Stati Uniti una parziale risposta è stata la creazione di una authority ad hoc – il Consumer Protection Bureau – la cui missione è quella di lavorare per prevenire frodi, comportamenti ingannevoli e pratiche ingiuste nel mercato. Obiettivo: far sviluppare mercati destinati a servire davvero i clienti anziché essere luoghi dove questi debbano aver paura di avvicinarsi. Questa agenzia è stata fortemente avversata dall’industria finanziaria, al punto che Obama è riuscito a nominare il suo presidente solo pochi mesi orsono, sostanzialmente con un colpo di mano. Ovviamente, questa corrosione dell’integrità nel mondo degli affari e della finanza in primis, non è prerogativa americana, ma tocca anche i nostri intermediari (ne abbiamo un lungo track record). L’idea dell’authority ad hoc, con un mandato simile a quello del Cpb, potrebbe costituire una soluzione, ancorché parziale, da valutare anche nel nostro Paese.