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 2012  marzo 16 Venerdì calendario

COPPIE GAY CON TUTELA FAMILIARE

Non può essere trascritto in Italia il matrimonio omosessuale celebrato all’estero. E neppure essere ritenuto un diritto quello alla celebrazione in Italia. Tuttavia la coppia omosessuale può essere considerata titolare di una «vita familiare», suscettibile di essere tutelata anche sul piano giuridico in determinate situazioni. Forse un po’ criptica, ma comunque importante sul piano del costume oltre che su quello del diritto, la sentenza con la quale la Terza sezione civile della Corte di cassazione ha negato la titolarità del diritto alla trascrizione dell’atto di matrimonio, celebrato in Olanda, nel registro dello stato civile a due omosessuali.
La lunga (76 pagine) pronuncia svolge in larga parte un’attenta disamina della disciplina internazionale, ma soprattutto della giurisprudenza sia comunitaria sia costituzionale, applicabile in materia. Il riferimento comunitario allora diventa la sentenza della Corte europea del 24 giugno 2010 che ha fatto cadere il requisito minimo indispensabile a fondamento dell’istituto del matrimonio e cioè la diversità di sesso degli sposi. Di conseguenza, l’interpretazione estensiva dell’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo («Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto») porta a ritenervi incluso anche il diritto al matrimonio omosessuale.
Questo però non ha come riflesso il riconoscimento automatico anche nell’ordinamento di quelle nazioni che, come l’Italia, non hanno previsto una norma specifica. Il valore della pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo sta piuttosto, ricorda la Cassazione, nell’avere rimosso l’ostacolo, la diversità di sesso degli sposi, che impediva il riconoscimento del diritto al matrimonio omosessuale, affidando però la garanzia di questo diritto alle libere scelte delle legislazioni nazionali.
E qui entra in gioco la Corte costituzionale che, sempre nel 2010, con la sentenza n. 138, pur negando uno specifico fondamento costituzionale al riconoscimento del diritto al matrimonio di persone dello stesso sesso, ha però affermato che nelle «formazioni sociali» garantite dall’articolo 2 della Costituzione è compresa anche l’unione omosessuale, da intendere come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso. Tocca però, al Parlamento, ricordava allora la Consulta, individuare le forme di garanzia e riconoscimento per queste forme di unione. Alla stessa Corte costituzionale il compito, peraltro, di intervenire a tutela di specifiche situazioni.
La Cassazione, con la sentenza di ieri, si attesta fondamentalmente su questa linea. E, dopo avere concluso sull’assenza di un diritto a contrarre matrimonio in Italia per una coppia gay e sull’impossibilità di ottenere la trascrizione di quello celebrato all’estero, sottolinea però che i componenti della coppia omosessuale «quali titolari del diritto alla "vita familiare" e nell’esercizio del diritto inviolabile del diritto di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici». Un’azione legale indirizzata a fare valere un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia eterosessuale, sollevando del caso le eventuali questioni di legittimità costituzionale sulla normativa in vigore oggi.
Tante le reazioni ieri quando sono state rese note le motivazioni della sentenza. Nella politica e nella società. Il ministro della Cooperazione e Integrazione, Andrea Riccardi, ha passato la palla al Parlamento e alla dialettica tra le forze politiche, visto che la questione «non fa parte del programma del Governo». Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, si dice «piacevolmente sorpreso» dalla sentenza e la considera «una pagina di civiltà» che potrà contribuire a fare uscire l’Italia da una condizione di arretratezza storica sui diritti civili, mentre Alfredo Mantovano (Pdl) minimizza e parla di «ennesima conferma che l’ordinamento già riconosce ai conviventi, qualunque sia il loro sesso, una serie di diritti in tema, per esempio, di registrazione anagrafica, di tutela della salute, di godimento di alloggi popolari, di assistenza, di nomina di un tutore, di risarcimento danni, e così via».