Alessandro Gnocchi, il Giornale 15/3/2012, 15 marzo 2012
Tutti a casa di Verdone il comico che fa sul serio - Un uomo solo al comando dei consumi culturali italiani: Carlo Verdone, in vetta al box office con la commedia Posti in piedi in paradiso (oltre sei milioni e mezzo di incassi) e al secondo posto della classifica dei bestseller con La casa sopra i portici (alla Bompiani fanno sapere di avere venduto centomila copie in quattordici giorni)
Tutti a casa di Verdone il comico che fa sul serio - Un uomo solo al comando dei consumi culturali italiani: Carlo Verdone, in vetta al box office con la commedia Posti in piedi in paradiso (oltre sei milioni e mezzo di incassi) e al secondo posto della classifica dei bestseller con La casa sopra i portici (alla Bompiani fanno sapere di avere venduto centomila copie in quattordici giorni). Un exploit da record per il regista e attore romano, che arriva tra l’altro dopo una carriera fatta solo o quasi di successi. Sia nel film sia nel libro trionfa la nostalgia di un’epoca in cui la famiglia, con tutti i suoi difetti, era davvero il cuore della società e una sicurezza per i figli. Traspare anche un desiderio di normalità, messo a dura prova dalla realtà di tutti i giorni, che parla la lingua della crisi e dell’incertezza. Sentimenti molto condivisibili, che sembrano spiegare il doppio trionfo. Ma forse c’è di più. Prendiamo il libro, divertente in superficie e amaro in profondità. Attraverso l’aneddoto e la battuta Verdone fornisce al lettore l’illusione di cui tutti abbiamo bisogno per tirare avanti: si può scendere a patti, se non proprio riconciliarsi, con gli errori, le sofferenze e i lutti. Dolorosi ma dolci, come un bel film, sono i ricordi famigliari della Casa sopra i portici (che avranno anche un seguito a Natale). Figlio di Mario, studioso di cinema e del Futurismo, Carlo fin da piccolo si trova immerso in un ambiente stimolante in cui non manca, come correttivo alla serietà, un sano gusto per la bizzarria e la dissacrazione. Che colpisce, a esempio, Pier Paolo Pasolini, le cui verbose telefonate sono accolte con un gesto eloquente che sta per l’espressione «che palle!».Oppure il regista d’avanguardia Gregory Markopoulos, il quale si presenta a casa Verdone ubriaco, scalzo e con una maglietta zozza; quindi si riempie di fernet, scrocca un piatto di rigatoni e i soldi per un taxi; e infine, dopo aver vomitato, se ne va non senza aver fregato un bicchiere di pregio. Anche i miti possono deludere o essere ridicoli. Ritratti affettuosi sono riservati a Franco Zeffirelli, Vittorio De Sica, Federico Fellini e Alberto Sordi. Il regista di Amarcord si rivela una figura notturna. Insonne, gira Roma fino all’alba a bordo di una pantera della polizia, per poi raccontare a Verdone, alle sette e mezza di mattina, le vicende spesso atroci in cui si è imbattuto. Ne esce il lato oscuro di Fellini, una malinconia «senza ritorno», la malinconia di chi non è più in grado di capire il mondo o forse non ne ha più voglia. Come Alberto Sordi, col quale Verdone lavorò nel film In viaggio con papà ( e di cui è considerato il legittimo erede). Il grande attore, nella vita privata, era tutt’altro che un allegrone,e viveva in una casa- museo con i mobili incellofanati in compagnia della severissima sorella. Secondo Verdone, era «un’anima riservata, controllata, irrimediabilmente legata al passato e poco propensa al presente... Una sera mi disse: “Oggi far ridere è veramente un’impresa. E lo sai perché? Perché non c’è più il senso del ridicolo. Guardati attorno... So’ tutti mostri! Ma chi ce fa più caso”». La maggior parte delle pagine, però, è dedicata alla famiglia: il padre, la madre, il fratello Luca, la sorella Silvia e tutte le tate che si sono avvicendate nella casa sopra i portici. Naturalmente ci sono i primi passi di Verdone come artista, il debutto a teatro in cui, alla terza sera, si trova a recitare davanti a un solo spettatore (il quale però è l’autorevole critico Franco Cordelli, che subito dopo incoronerà il giovane comico come novello Fregoli). Riconciliazione. Rinascita. Normalità. Cercare nel passato, in quei giorni in cui si conosceva «solo la parola vita e non la parola morte», la forza per affrontare i giorni a venire. Ecco la tattica per sfuggire agli agguati di quella «malinconia senza ritorno» che sembra attenderci sempre al varco.