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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

«Io sono meglio della Fornero jr» - Eccolo qua il figliol primario di papà rettore, che passa per essere una sorta di macellaio raccoman­dato in camice bianco, incapace come i bambini alle prese col gio­co dell’allegro chirurgo

«Io sono meglio della Fornero jr» - Eccolo qua il figliol primario di papà rettore, che passa per essere una sorta di macellaio raccoman­dato in camice bianco, incapace come i bambini alle prese col gio­co dell’allegro chirurgo. Lui, Gia­como Frati, figlio del «Magnifico» Luigi della Sapienza di Roma, ci ha pensato e ripensato se rilascia­re quest’intervista. «Quando ho vi­sto anche l’altra mattina le teleca­mere che mi davano la caccia sot­to casa e in Ateneo mi sono deciso. È un linciaggio». Allora, professor Frati. Trenta­sette anni e già ordinario, una cattedra nell’università dove suo padre comanda dal 2008. Carriera veloce… «A differenza di quel che si pen­sa, la carriera universitaria non è una carriera dove si avanza per an­zianità ma per merito» E lei che meriti ha oltre a chia­marsi Frati? «Ho il merito di essermi fatto un mazzo così. Fin da quando ero al terzo anno di università, finita la sessione estiva di esami, rinuncia­vo alle vacanze per andare presso la Thomas Jefferson University di Philadelfia a imparare le principa­li metodiche di biolog­ia molecola­re applicate alle malattie cardiova­scolari. Da quel momento in poi ho frequentato numerosi centri all’estero, tra cui l’ospedale Pom­pidou di Parigi e il laboratorio di­retto da uno dei cardiochirurghi più famosi al mondo, professor Alain Carpentier. Poi sono stato a Lugano in Svizzera, al New York Medical College per ritornare solo nel dicembre 2010 a Roma. Sono stato tredici anni lontano dall’uni­versità di papà, se si fa eccezione per i cinque anni trascorsi all’ospe­dale di Latina». E qui veniamo alle noti dolen­ti: Latina. Un approfondito reso­conto di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera parla del pri­mario che operava i manichini, cioè Lei. Avrà pure studiato all’ estero ma non è edificante per chi deve finire sotto i suoi ferri sa­pere che si esercita sui pupazzi «Si dà il caso che il discorso dei manichini è un grandissimo bluff. E vi spiego quanto avevo inutil­me­nte raccontato proprio in quel­la parte di intervista, tagliata e mai andata in onda per la trasmissio­ne Report, un vero e proprio pro­cesso durato più di tre ore fatto a pochi minuti da un intervento di trapianto polmonare col il profes­sor Federico Venuta. Allora: ovvia­mente i manichini non sono quel­li delle vetrine di via Condotti ma costosissimi strumenti didattici, usati in ogni angolo del mondo, per il training del personale medi­co e paramedico. Nello specifico a Latina vennero utilizzati per istrui­re il personale di sala ( e non i medi­ci ’istruttori’ che devono avere una specializzazione ad hoc) in merito a procedure, quelle cardio­chirurgiche, che fino ad allora non erano mai state eseguite in quell’ospedale. In soldoni: inse­gnavo agli infermieri come ci si comporta in una sala operatoria tecnologica, sofisticata e dotata di macchinari particolarismi dai quali dipende la vita del paziente. In più va detto che questa attività è stata svolta tutta, per sei mesi, pri­ma di iniziare gli interventi veri e propri. Una sala operatoria deve essere un meccanismo ben roda­to dove ognuno sa quello cosa fa­re. Ecco il perché delle simulazio­ni sui manichini. Chiaro?» Sarà pure chiaro ma nel repar­to da lei diretto ci sarebbero stati parecchi pazienti entrati vivi e usciti morti. «Intanto io non ero affatto pri­mario ma “aiuto“. Secondo poi chi ha scritto che la mortalità era al­tissima non ha letto i dati reali, e se vogliamo proprio parlare del sot­toscritto ecco qua il certificato del direttore sanitario dove si dimo­stra che gli interventi da me esegui­ti in qualità di primo operatore hanno avuto una mortalità pari al­lo zero per cento. Non ho mai per­so un paziente. Andiamo avanti» E comunque lei a Latina sareb­be stato chia­mato come associa­to giusto un attimo prima, coinci­denza, dell’entrata in vigore del­la riforma Gelmini contro il ne­potismo. «E qui la volevo.L’ennesima bu­fala. Peccato io sia divenuto pro­fessore associato nel 2005 ben cin­que anni prima della Legge 240 con un giudizio unanime della commissione, chiunque può an­dare a controllare sul sito del mini­stero www.miur.it. Chi mi attacca perché non si documenta? Perché si è scritto che contro di me era sta­to fatto ricorso al Tar quand’inve­ce quel ricorso riguardava un altro concorso e persone diverse da me?» Vabbè, lei una vittima. Ma co­me spiega che il figlio del rettore finisce per lavorare nell’univer­sità di suo pad­re per chiamata di­retta dal direttore generale appe­na nominato da papà? Non trova singolare la coincidenza? (ride)«Si dà il caso che mi sia tra­s­ferito da Latina a Roma nel dicem­bre del 2010 con una UOS (unità operativa semplice) proposta dal primario, professor Michele Toscano, molto prima dell’insedia­mento del direttore generale». Ma il professor Toscano è lo stesso che poi la attacca sui gior­nali? «Mi ha sorpreso leggere le sue in­credi­bili accuse anche perché cla­morosamente false. Come l’eso­nero dai turni di guardia e il fatto che avrei sottratto al suo reparto una decina di posti letto, che di fat­to, invece, non ho e non ho mai avuto, così come non ho un repar­to. Io sono un raccomandato? Be­nissimo. Confrontate il mio giova­ne curriculum con il suo che è quel­lo di un primario a fine carriera. I numeri parlano chiaro: il professo­re, mio superiore, che non mi fa più mettere piede in sala operato­ria, è diventato ordinario con 11 pubblicazioni internazionali, io con 87. Ad oggi il professore ha 39 pubblicazioni internazionali con un indice di hirsch (indicatore del­la validità scientifica, ndr) di 8. Io, a 37 anni, ho 96 pubblicazioni in­ternazionali, un hirsch di 23. Vo­gliamo parlare della figlia del mini­stro Fornero?» E parliamone. «Bravissima, Silvia Deaglio. Ba­sta buttare un occhio a Pub-Med (la banca dati delle pubblicazioni scientifiche, ndr) per rendersi con­to che è u­na validissima ricercatri­ce che merita il posto che ha. Il suo indice di hirsch è uguale al mio, il numero totale delle sue pubblica­zioni è di poco inferiore. Perché Se­vergnini sul Corriere della sera giu­dica brava Silvia indipendente­mente da chi siano i genitori, ep­poi Stella, sullo stesso giornale, parlando della famiglia Frati co­me di una Parentopoli e Ignoran­topoli? Due pesi, due misure. Per­ché? Capisco l’ondata contro la ca­sta, i baroni, i figli di, i parenti, gli imboscati, capisco pure che la gen­te possa pensare che sono un rac­comandato perché figlio del retto­re. Ma io che colpe ho? Ho studia­to come un pazzo, ho passato buo­na parte della mia vita all’estero, l’ho fatto per passione ed anche, incosciamente lo confesso, per es­sere giudicato per quello che sono e non per il padre che ho. Dopo questa intervista lei si farebbe ope­rare da me?» Beh… «Ecco, vede? Questo è il risulta­to. Me lo spiega lei a che cosa è ser­vito tutto questo impegno di anni e anni? Quando sui blog frequen­tati da medici e primari vengo de­scritto come un macellaio, un ra­gazzino sbarbatello che gioca con la vita dei poveri cardiopatici, am­metto che mi è venuta voglia di but­tare via tutto e scappare all’estero dove mi stimano senza se e senza ma. Mobbizzato come me c’è un ottimo chirurgo ch si è formato a Cleveland e che si chiama Antoni­no Marullo. Da noi non opera solo perché fa parte della mia unità operativa. Ma questo nessuno lo scrive, vediamo se lo scrive lei. Ar­rivederci ».