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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

Se adesso sono i professori a cambiare il lessico politico - Che strano quando il presi­dente del Consiglio Ma­rio Monti e i suoi ministri alzano la testa dagli appunti- for­bitissimi e tecnicissimi - e, per non sapere che pesci pigliare di fronte ai media , buttano lì una parolina che non ti aspetteresti da loro, una parolina dal sapore a volte un po’ troppo casalingo

Se adesso sono i professori a cambiare il lessico politico - Che strano quando il presi­dente del Consiglio Ma­rio Monti e i suoi ministri alzano la testa dagli appunti- for­bitissimi e tecnicissimi - e, per non sapere che pesci pigliare di fronte ai media , buttano lì una parolina che non ti aspetteresti da loro, una parolina dal sapore a volte un po’ troppo casalingo. Inevitabilmente, la parolina si trasforma in tormentone e co­mincia a rimbalzare senza sosta sul web, di tweet in tweet, di grup­po Facebook in gruppo Face­book . Possibile sia la politica a dettare le nuove tendenze lingui­stiche, dopo anni in cui ha domi­­nato la televisione ( e prima anco­ra la musica), mentre il Parla­mento riusciva a coniare solo for­mule astruse come le leggenda­rie «convergenze parallele» di Al­do Moro? Possibilissimo. Soprat­tutto se le uscite degli attuali po­tenti si rivelano, spesso per ine­sperienza, veri e propri boome­r­ang dal punto di vista comunica­tivo. Il ministro del Lavoro Elsa For­nero, a esempio, attenta agli usi del linguaggio al punto da porre la questione su quale articolo premettere al proprio nome (co­me è noto preferisce essere chia­mata Fornero e non «la» Forne­ro), ha fatto capire ai sindacati a che livello fossero le trattative sbottando in questo modo: « Non possiamo mettere una pac­cata di soldi sul tavolo e sperare dopo che ci sia l’accordo, non si fa così». E paccata è divenuto un ritornello istantaneo, e non solo sul web, spaccando addirittura i commentatori in due fazioni: ter­mine genuinamente popolare, presente in molti dialetti del Nord, o spudorato ammicca­mento populista? Lasciamo il di­battito non proprio appassio­nante e torniamo al tormento­ne. Emma Marcegaglia, ieri, ha risposto (quasi) scherzosamen­te a un giornalista che le chiede­va se si aspettasse una paccata di fondi dal governo per le ristruttu­razioni aziendali: «A noi il mini­stro darà solo una paccata ». Ma anche Susanna Camusso, lea­der della Cgil, è tornata sull’affai­re paccata : «Se davvero ci fosse una paccata di soldi potrebbe servire a dare prospettive che noi continuiamo chiedere». Mentre paccata prendeva quo­ta, il garante della privacy France­sco Pizzetti, un altro piemontese come (la) Fornero, ha cercato di sdoganare mariuolo , in un di­scorso teso a dimostrare l’inva­denza fiscale dello Stato, che or­mai considera i cittadini come «sudditi marioli». Cioè imbro­glioni patentati. Operazione fal­lita. Mariuolo ha un forte sapore di déjà vu . Non tanto perché ri­chiama la lettura scolastica di Alessandro Manzoni, che nel ca­pitolo XXVII dei Promessi sposi mette in bocca a Don Ferrante questa definizione di Machiavel­li: « Mariolo sì, ma profondo». Mariolo è infatti parola fresca nella memoria collettiva: così fu bollato Mario Chiesa da Bettino Craxi agli albori dell’inchiesta Tangentopoli. Poi ci sono i giudizi un po’ trop­po trancianti per un tecnico. Il vi­ceministro al Lavoro Michel Martone, probabilmente per es­sere young , ha dato degli «sfiga­ti » ai fuoricorso che stazionano in facoltà fino alla mezza età, in­vece di laurearsi entro i 28 anni. Concetto anche condivisibile. Chi non ha visto tristi quaranten­ni aggirarsi negli atenei in cerca degli appunti degli esami mai su­perati? La parolina magica sfiga­ti , poco tecnica, ha aperto la cac­cia in rete a un altro tipo di sfiga­to , quello che sale in cattedra al­la velocità della luce perché rac­comandato, mentre gli altri ricer­catori restano nel limbo per de­cenni. Qualcuno ha indicato pro­prio nel viceministro un caso di carriera lampo sospettabile di es­sere un po’ da sfigati , nella secon­da accezione del termine «acca­demico ». Un boomerang, quindi. Il tec­nico, abituato a una lunga medi­ta­zione prima di esprimere il pro­prio pensiero, magari in un agile saggio di 500 pagine, quando de­ve parlare a braccio va in tilt. Monti oppone un fuoco di sbar­ramento (non so, non è all’ordi­ne del giorno, vedremo, etc. etc.) oppure promette l’impossibile (come fece da Lilli Gruber, pro­spettando tassi di crescita cine­si) oppure ancora prende la rin­corsa e segna un autogol. Di re­cente per affermare un concetto giusto, cioè invitare a non teme­re la mobilità, ha scelto parole che sono suonate come una pre­sa per i fondelli dei precari: «Che monotonia avere un posto fisso per tutta la vita». Messa così, sembra da sfigati aver paura di non avere la paccata di soldi ne­cessaria per pagare il mutuo sul­la casa del prossimo mese. Il ministro dell’Interno Anna­maria Cancellieri, per correre in soccorso di Monti, davanti a un microfono del TgCom24 è riusci­ta ad affondarlo definitivamen­te: «Siamo fermi al posto fisso nella stessa città, di fianco a mamma e papà». Ancora una vol­ta concetto giusto espresso con parole a doppio taglio: perché sembra che «i mammoni» si di­vertano a mangiare tutte le sere la minestrina con i genitori. Comunque, gli attuali tecnici con tendenza gergale o popola­r­e o populista possono stare tran­quilli. Davanti alle loro uscite, ci sarà sempre quella del maestro, Tommaso Padoa-Schioppa, il quale per far capire che la sacro­santa verità (evadere è sbaglia­to), cadde nell’elogio sperticato delle imposte: «Le tasse sono bel­lissime ». Vallo a dire a quelli che si vedono mangiare ogni mese una bella paccata di soldi.