Giuseppe Fumagalli, Oggi, n. 12, 21/03/2012, pp. 18-27, 21 marzo 2012
LA MIA VERITÀ SU SCHETTINO
Dal bacio dello scandalo al naufragio
Domnica Cemortan. La chiamano la donna del mistero. Vorremmo che non fosse più così. Con questo servizio vorremmo illuminare le zone ancora grigie e oscure che hanno fatto di una ragazza di 25 anni una star e del naufragio del Giglio un feuilleton erotico-passionale.
Lei moldava e noi italiani ci siamo incontrati sul campo neutro di Bucarest, Romania. Siamo stati insieme per due giorni. Per strada, al ristorante, nei caffè, al 22° piano dell’Intercontinental e nelle sale di un club dal nome Comandante Grande, mentre Massimo Sestini fotografava, lei rispondeva e raccontava. Una precisazione. Non le abbiamo iniettato una fiala di siero della verità. Là dove è stato possibile, abbiamo trattato il resoconto di Domnica con gli strumenti giornalistici del riscontro e della verifica.
Sulla sua vita potremmo scrivere un libro. Sul giorno che l’ha sconvolta due. Storie diverse, accomunate da un’identica maledizione. Quella del mare come teatro della tragedia. Nel prossimo numero parleremo della vita di Domnica, segnata all’età di 8 anni dalla morte del padre, annegato davanti ai suoi occhi, su una spiaggia del Mar Nero. Qui ci occuperemo del suo rapporto col comandante Francesco Schettino, della sua presenza sulla Concordia il 13 gennaio, di quello che ha visto e sentito in plancia prima e dopo l’impatto con gli scogli. Domnica ci ha dato risposte interessanti. Eccole.
Su, Domnica, lo dica, per cortesia: «Sono l’amante di Schettino».
«Forse è quello che dovrei fare. Per chiudere questa storia una volta per tutte. Però non ci sto. No! Non sono la sua amante. Non lo sono mai stata. Non c’è stato nulla. Il nostro era un rapporto puramente professionale».
Dove lo mettiamo il bacio? Forte e appassionato lo descrive un giornale inglese.
«Un giornale, appunto. Non siete voi italiani che dopo il mio interrogatorio avete titolato "Amo Schettino"? E quando mai l’ho detto ai magistrati? Meno male che la verità viene a galla. Il procuratore di Grosseto ha negato quella mia dichiarazione».
Questa era un’indiscrezione giornalistica. Quella col giornale inglese era un’intervista esclusiva concordata.
«Certo. Ma dopo gli italiani ho conosciuto gli inglesi. Hanno esagerato. A loro ho raccontato la verità e cioè che Schettino, la sera del 13 gennaio mi aveva fatto un baciamano. La giornalista inglese mi ha detto che il baciamano era troppo poco. Se non c’era un bacio non c’era storia e non avrebbero pubblicato niente. Le ho chiesto cosa voleva di più. Un bacio sulla guancia, mi ha detto. Mi sembrava che cambiasse poco. Vada per il bacio sulla guancia, ho detto. Ma il bacio sulla guancia è diventato bacio sulla bocca. In più forte e appassionato. Alé!».
Stile anglosassone. I fatti separati dalle invenzioni. Può provare quello che dice?
«Ho delle e-mail e, se la giornalista inglese ci dà la registrazione dell’intervista, possiamo ascoltare quello che veramente ho detto. So che per l’articolo sul giornale inglese gli avvocati di Schettino vogliono querelarmi. Facciano pure. Io sono tranquilla».
Il giornale inglese riporta anche un’altra sua dichiarazione, secondo cui, se non ci fosse stato il naufragio lei e Schettino avreste avuto una lunga notte d’amore.
«Questo l’ho detto. Ma bisogna vedere il modo in cui l’ho detto e il contesto. Purtroppo ho un grande difetto, io. Ho 25 anni e mi viene naturale buttarla sul ridere. E sbaglio. Perché dall’altra parte fanno tutti sul serio. Quando ho detto che se non ci fosse stato l’incidente io e il capitano avremmo avuto una notte d’amore, scherzavo. Cercate di capirmi. Sono mesi che mi tartassate con questa storia. Ogni tanto ci rido sopra. La giornalista ha capito perfettamente che era uno scherzo, ma quella frase, mi ha detto, per lei era uno scoop».
Sicura? Guardi che qui non le crede nessuno. Ma se davvero lei non è l’amante di Schettino si chiede perché sono tutti convinti del contrario?
«Certo che me lo chiedo e mi rispondo che si tratta di un colossale abbaglio. "Sveglia", vorrei gridare. Non vi accorgete che vi buttano fumo negli occhi, che si parla di me e Schettino per coprire qualcos’altro?».
Interessante. Un’arma di distrazione di massa. Per nascondere cosa, scusi?
«Vorrei saperlo anch’io. Però è chiaro che questa storia viene usata per distogliere l’attenzione. Affonda una nave che vale centinaia di milioni di euro, muoiono decine di persone, si rischia un disastro ambientale, sono in gioco aziende, posti di lavoro, premi assicurativi per miliardi di euro e noi di cosa parliamo? "Romeo" Schettino e "Giulietta" Cemortan. Se ci pensate è pazzesco».
Proprio perché pazzesco, possiamo provare a inquadrarlo una benedetta volta?
«Benissimo, inquadriamolo. Da dove cominciamo?»
Facciamo un passo indietro. Quando ha cominciato a lavorare per la Costa?
«Non cinque anni fa, come è stato scritto. Sono entrata a Costa Crociere nel settembre 2011 con contratto di quattro mesi. Prima ho lavorato su Costa Magica e dal 6 al 29 dicembre sono stata in servizio sulla Concordia come hostess internazionale».
Quando ha conosciuto Schettino?
«Mi hanno presentata a lui quando ho preso servizio sulla Concordia come hostess internazionale».
Quante volte vi siete incontrati?
«E capitato spesso. Come ambasciatrice dei passeggeri russi avevo rapporti con tutte le direzioni e anche col comandante per far presente le esigenze della mia clientela. Lo vedevo sul ponte di comando quando salivo per fare annunci in russo. Tre volte alla settimana c’era un cocktail al Concordia Club per i clienti più fedeli e lui passava sempre. Una volta nella lounge stavo ordinando da bere, mi ha chiesto cosa volevo e ha pagato lui per me e le mie colleghe. Un giorno ho accompagnato da lui un magnate russo del gas, che lo voleva conoscere. Insieme abbiamo anche preparato un discorso in russo. Avevo la trascrizione fonetica di un messaggio di benvenuto, dovevo farglielo leggere per sistemare gli accenti. In tutto 15 minuti».
Una foto vi ritrae felici al ristorante.
«Eravamo a Marsiglia. E non eravamo soli. Ero col mio direttore e alcuni colleghi. Siamo scesi per fare un giro in città e quando ho visto il capitano che si univa a noi ho detto "wow che onore". Ci siamo divertiti. Abbiamo riso e scherzato tutto il tempo. Avete guardato bene la foto? Sembriamo due amanti? Lui più che a me sembra interessato alle aragoste. Ero io che ci tenevo a quella foto. E così gli altri miei colleghi che quel giorno hanno posato accanto a lui».
Lui l’ha mai corteggiata?
«No. Delle colleghe mi stuzzicavano, dicevano che mi guardava con un occhio particolare. Era gentile, questo sì. Ma non ho mai avuto l’impressione che mi facesse la corte, che volesse portarmi a letto o altro. Certe allusioni, comunque, non le gradivo. A bordo bisogna fare attenzione. Il rispetto di colleghi e superiori te lo guadagni sapendo stare a tuo posto, anche evitando stupide chiacchiere su te stesso e sugli altri».
Perché ha deciso di fare una vacanza sul suo posto di lavoro? Strano, no?
«Il mio contratto è terminato il 29 dicembre. Prima di riprendere a lavorare volevo farmi una settimana di vacanza. Per l’equipaggio sono previste tariffe di favore, ma io non ne avevo diritto, in quanto avevo lavorato per Costa solo quattro mesi. Ho chiesto al mio direttore se riusciva a fare uno strappo e quando ero in Moldavia mi ha mandato un’e-mail. Era tutto ok. Potevo imbarcarmi il 13 gennaio a Civitavecchia. Per me era l’ideale. Sono ortodossa e il nostro capodanno cade il 14 gennaio. Mi sono messa d’accordo con un’amica russa che doveva salire il giorno dopo a Savona, così avremmo festeggiato insieme. Tengo a precisare una cosa. Biglietto aereo di andata e ritorno e crociera a prezzo di favore erano interamente a mio carico. Guadagno mille euro al mese, vi pare che avrei pagato, se a bordo avessi avuto un amante che mi aspettava?»
Chi c’era ad accoglierla a Civitavecchia?
«Non c’era nessuno».
La racconti giusta. Ci sono testimoni.
«Non mi va di tirare in ballo altre persone. Comunque, è venuto a prendermi il mio direttore, Manrico Gianpedroni. Ha dato disposizioni per la mia registrazione e mi ha detto di raggiungerlo dal comandante. Ho completato un modulo ho consegnato il mio passaporto, ho recuperato il bagaglio e sono salita al ponte 8, da Schettino».
Non vedevamo l’ora. E cosa succede?
«La porta era aperta. Quando Schettino mi ha visto si è alzato dalla scrivania e mi ha dato il benvenuto. Gianpedroni mi ha spiegato che per la cabina dovevo aspettare. Prima venivano sistemati i passeggeri e verso le 21 avrebbero trovato una soluzione anche per me. Tanto per non smentirmi, ho fatto un battuta. "E il bagaglio", ho chiesto, "me lo tiro dietro per tutta la nave?". Il capitano mi ha detto che lo potevo lasciare lì. L’ho preso alla lettera e l’ho piantato in mezzo all’ufficio. "No", ha detto lui, "qui non va bene". L’ha preso e l’ha portato nella cabina che è adiacente al suo ufficio. Ho ringraziato e me ne sono andata. Sono stata a salutare lo chef che era con me su Costa Magica, ho consegnato dei regali ai miei colleghi e quando le nave è partita, sono tornata al ponte 8 a cambiarmi per la serata. Sono entrata e Schettino è uscito. Ho tolto jeans, maglietta e maglione e ho indossato un abito blu. Mentre uscivo ho incrociato Schettino. Si è fermato davanti a me, ha sorriso e mi ha detto: "You are beautiful". Mi ha preso la mano destra e ha fatto il baciamano».
Baciamano rispettoso?
«Non ne conosco altri. Mai sentito di donne rimaste incinte per un baciamano. Ho salutato e sono scesa al ristorante Milano a prenotare per la sera dopo. Mi sono fermata col maître e alle 21 sono salita da Gianpedroni al Concordia Club, al ponte 11, a prendere la chiave della mia cabina. A verbale è scritto che ero a cena col comandante. È un errore di traduzione. Schettino era con Gianpedroni subito dopo li ha raggiunti Ciro Onorato, manager della ristorazione. Avevano finito di cenare. Sul tavolo era rimasta una bottiglia d’acqua. Il comandante mi ha chiesto se volevo prendere un dessert con loro».
Si narra di una cena, prima dell’incidente, con lei, Schettino e un boss russo.
«Falso. Non c’erano russi, niente alcol, niente droga, niente mafia. Chiedete ai magistrati. Ormai sanno tutto di quella serata. Cosa posso dire ancora? Il tiramisù era squisito e non so di cosa parlassero i miei superiori. Nominavano il Giglio, ma lo facevano alla svelta, con accento napoletano. Non ci capivo nulla. Finito il dessert, ci siamo alzati e il comandante mi ha invitato sul ponte, a vedere “a beautiful panorama”».
Il bagaglio, il baciamano, l’invito a tavola, e quello in plancia. Se tre indizi fanno una prova, qui ne abbiamo quattro. «Chiedetelo a Schettino. Per me non c’era nulla di strano e li ho seguiti. Sono rimasta sul fondo, in un angolo. Al buio l’unica luce era quella degli schermi in plancia. Il comandante era al centro. C’era gente. Sentivo parlare in italiano. A un certo punto ho riconosciuto la voce del comandante che dava delle sequenze di tre numeri».
I gradi della rotta?
«Credo. Il capitano diceva qualcosa come "tre, due, cinque" e uno alla volta gli ufficiali ripetevano "tre, due, cinque", "tre, due, cinque", "tre, due, cinque". Sono andati avanti così per un po’. Ogni volta modificando la serie numerica. Anche se era monotono, stavo attenta perché l’ultimo a ripetere, non so chi fosse, aveva un accento che mi faceva ridere. Non ricordo i numeri esatti. A un certo punto il capitano ha dato una nuova sequenza, mettiamo "tre cinque zero", il primo ripete correttamente, il secondo e il terzo pure, ma il quarto, quello con l’accento strano scandisce una sequenza diversa, per esempio "tre, cinque, cinque". Il capitano ha imprecato. Ha urlato, ha detto che certi errori erano inaccettabili. Ha ripetuto l’ordine con voce più forte e tutti lo hanno ripetuto nel modo giusto. Saranno passati 30 o 40 secondi ed è iniziato il finimondo. L’impatto con gli scogli non lo abbiamo sentito, ma gli allarmi hanno cominciato a suonare, gli ufficiali correvano ovunque e ho capito che era successo qualcosa di grave».
L’ha raccontato ai magistrati?
«Sì, me lo hanno fatto ripetere varie volte. Forse quell’errore ha fatto perdere istanti preziosi e può essere stato fatale».
Per questo difende Schettino?
«Non lo difendo. C’è stato un incidente, ci sono stati dei morti, Schettino per forza di cose è responsabile. Dico solo che non sappiamo abbastanza e nessuno deve essere condannato prima del tempo».
Torniamo sul ponte della Concordia.
«Il primo allarme è stato il delta xray, un codice per non mettere in allarme i passeggeri. Significa che la nave imbarca acqua. E un’emergenza. In casi del genere ci avevano insegnato a coprirci. Sono tornata nella cabina del comandante. C’era il black out. Al buio mi sono rimessa gli abiti che avevo al momento dell’imbarco. Ho sfilato dalla valigia un paltò nero, ho lasciato lì tutto, anche alcune paia di scarpe made in Italy, che amavo e che mi erano costate un occhio. Ho preso con me solo la borsa con passaporto e portafoglio e sono andata. Uscendo, ho visto sulla scrivania uno schermo illuminato. Era un computer portatile, illuminato. L’ho chiuso, ho visto che era un Apple e l’ho infilato in borsa. Dall’appendiabiti ho tolto un giaccone da portare a Schettino. Sono tornata in sala comandi. Lui era sempre lì, contro le finestre sul lato destro. Gli ho passato il giaccone e sono tornata al mio posto. Verso mezzanotte il comandante si è rivolto a me e a Ciro Onorato. Ci ha detto di scendere al ponte 3 e metterci in salvo»
Cosa avete fatto?
«Lo abbiamo lasciato lì da solo e ce ne siamo andati. La barca era già inclinata di 60 gradi. Abbiamo cominciato a scendere. Sono stati brutti momenti. Ho avuto paura di morire. Era tutto nero, non si vedeva niente, c’era roba che cadeva da tutte le parti, porte e passaggi sbarrati. Avrei voluto arrendermi, fermarmi e rannicchiarmi in un angolo. Nel buio chiamavo Ciro. Lui mi faceva coraggio. Alla fine siamo arrivati. Al ponte 3 c’era ancora gente. Abbiamo fatto una catena umana per spingere i passeggeri verso le scialuppe. Che rabbia quando si parla male dell’equipaggio. Certo non siamo militari e non capita tutti i giorni di trovarsi in mezzo a un naufragio. Ma ognuno ha fatto del suo meglio. Ricordo ancora uomo con due bambini, forse un francese, completamente in bambola. Gli ho preso uno dei figli, ho spinto lui e l’altro dentro la lancia e gli ho passato il piccolino che tenevo in braccio».
Quando si è messa in salvo?
«Verso mezzanotte e mezza è arrivata una scialuppa e siamo saliti noi dell’equipaggio. In quel momento la nave si è inclinata ancora di più. Due barre d’acciaio hanno cominciato a premere sulla scialuppa, sembrava che da un momento all’altro si dovesse spezzare come un uovo. Uno dei ragazzi si è sporto ha liberato lo scafo. A quel punto ho sentito salire l’adrenalina. Vedevo mia figlia, mia madre, di colpo mi sono sentita forte, sicura, coraggiosa»
Eravate anche a due passi da riva.
«Sì, attorno a noi c’erano giubbotti salvagente ovunque. Gli elicotteri e le sirene coprivano le urla, non si capiva se erano stati abbandonati o se erano naufraghi. Un italiano urlava, voleva tornare a terra. Lo avrei strozzato. Abbiamo salvato una inglese e i ragazzi si sono buttati in acqua per tirar fuori il marito che era in acqua e non si muoveva più. Dagli scogli abbiamo raccolto un francese mezzo assiderato. Gli ho dato il mio cappotto nero. Ci tenevo. Spero che legga questo articolo e me lo faccia riavere. Una volta a terra ho sentito una voce familiare. Era Jacqueline, una mia superiore: "Domnica", ha detto, "la vacanza è finita, vieni a lavorare"».
Non ha più incontrato Schettino?
«Ho rivisto il comandante in porto, davanti alle scialuppe, con tutti gli ufficiali. Saranno state le 4 del mattino, un’ora prima di andarmene dal Giglio. Era buio, faceva freddo, mi sono avvicinata e gli ho consegnato il computer. L’ha preso, l’ha rigirato tra le mani, l’ha osservato con aria stupita. "Brava ragazza, brava", ha detto. L’ho salutato e me ne sono andata. Alle 5 ero sul traghetto, a mezzogiorno ero a Roma, il giorno dopo ero nel mio Paese. Da quel giorno ho cominciato a fuggire. E non ho smesso ancora».
(1 continua)
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TUTTO PER QUEL MALEDETTO COLPO DI CODA
Un passaggio dell’intervista di Domnica Cemortan porta sul ponte di comando, agli istanti decisivi del disastro. La hostess moldava, senza conoscere il linguaggio e le procedure di navigazione, ascolta le conversazioni tra il comandante e gli ufficiali e in una sequenza di numeri coglie un dettaglio importante, che potrebbe rivestire un grande interesse investigativo. La sequenza di tre cifre riferita da Domnica sono i gradi di rotta, che possono andare da 001 a 360. Vengono dati dal comandante e come in un passaparola sono ripetuti ad alta voce dagli ufficiali, fino al timoniere, ultimo della catena, che dà esecuzione all’ordine. Secondo Domnica, il timoniere sbaglia e ripete la sequenza di numeri aumentando di alcune unità i gradi di rotta. Il capitano - e questo è solo un esempio - dice «tre, cinque, zero», ovvero 350 gradi e il timoniere ripete «tre, cinque, cinque», 355 gradi. Qui sotto, vediamo il tracciato satellitare della Concordia.
Nel terzo pannello da sinistra, la nave ha terminato l’accostata a dritta (destra) e mantenendo la rotta potrebbe sfilare accanto agli scogli senza toccarli. Ma nel passaggio successivo si nota che la nave continua l’accostata e spostando il proprio asse verso destra porta la poppa sugli scogli. È l’esito dell’errore notato da Domnica e che aveva fatto infuriare Schettino pochi secondi prima dell’impatto? E come può essersi ripercosso l’errore sulla rotta della nave? C’è stato davvero e ha provocato un cambiamento di direzione, oppure la ripetizione del comando ha provocato un ritardo di esecuzione, decisivo per l’incidente? È curioso come il racconto di Domnica sia coerente con quanto dichiara Schettino in uno dei primi interrogatori: «Se non avessi continuato l’accostata della nave a dritta», ha detto il comandante, «la nave non avrebbe scodato con la poppa e non avrebbe interessato questo scoglio».
[v. FOTO ALLEGATE]
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Allontanandosi dal Giglio Domnica ha inviato a Schettino una mail in inglese: «I hate you… be strong» (Ti odio… sii forte)
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Ai periti incaricati di esaminare la scatola nera della Concordia, la Procura di Groseto chiede di rispondere a 50 quesiti.
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Il trolley di Domnica, nel controllo effettuato dagli inquirenti, ha riservato ancora qualche sorpresa. Tra gli slip da bagno, abiti, scarpe made in Italy per le quali Domnica confessa una sorta di devozione, gli inquirenti hanno recuperato anche materiale fotografico, che in qualche modo rilancia gli interrogativi sulla relazione tra la hostess moldava e il comandante. Ci sono le foto di Schettino in una vasca con i delfini e alcuni scatti privati di Domnica.
[v. FOTO ALLEGATE]
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UN ROBOT CERCHERÀ DI TROVARE LE VITTIME
Ora è tutto chiaro. Ci sono le proposte e si conoscono i costi. Ma per l’esito definitivo della gara, su chi e come dovrà rimuovere la Concordia, i tempi non sono ancora maturi. Lo ha annunciato Costa Crociere che dopo un primo esame delle diverse soluzioni, ha comunque confermato l’esistenza di due scuole di pensiero. La prima che punta alla rimozione del relitto così com’è, la seconda che prevede il sezionamento della nave, la separazione di sovrastruttura e scafo per procedere alla rimozione in fasi distinte. Le organizzazioni ambientaliste sono in allarme, mentre la popolazione del Giglio è ormai rassegnata ad avere la Concordia come parte integrante del paesaggio per tutta la prossima stagione estiva. Con le operazioni per lo svuotamento dei serbatoi ancora in corso, Franco Gabrielli, commissario straordinario per l’emergenza, ha annunciato l’adozione di un robot per esplorare le parti del relitto rimaste finora inaccessibili. Telecomandato da terra o da una motovedetta, il Rov (Remote operator vehicle) entrerà nella nave, perlustrerà il labirinto subacqueo e rinvierà al centro di controllo immagini e dati tecnici dalle viscere della Concordia. A oltre due mesi dal disastro, in presenza di condizioni meteo poco favorevoli, il robot rappresenta l’unica chance per ricercare le vittime rimaste intrappolate durante il naufragio segnalando ai soccorritori la loro esatta posizione.