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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

LA TRAGEDIA DI UN UOMO ONESTO



Un libro amaro e molto bello. Si intitola Un uomo onesto, l’ha limpidamente scritto Monica Zapelli, nota soprattutto come sceneggiatrice del film di Marco Tullio Giordana, I cento passi. Chi è l’uomo onesto del libro? (Sperling & Kupfer, pp. 178, 16). Si chiamava Ambrogio Mauri, era un piccolo imprenditore della Brianza, si uccise il 21 aprile 1997 con un colpo di pistola nell’ufficio della sua azienda di Desio. Vittima della sua onestà.
Aveva subìto ingiustizie, sopraffazioni, discriminazioni, violenze da parte degli uomini degli enti pubblici e privati corrotti. Disse pervicacemente di no, rifiutò sempre di pagare le tangenti che, con scandalosa naturalezza, gli venivano chieste ed era stato il più delle volte escluso dagli appalti, industriale eccellente, genio artigiano della meccanica.
Fabbricava autobus, tram. Il lavoro e la famiglia erano tutto per lui. Non aveva in mente altro, né svaghi, né vacanze. Arrivava spesso prima degli altri, fu sua l’idea di costruire le carrozzerie degli autobus in alluminio anziché in acciaio: garantiva così, con la leggerezza, una maggior durata e una consistente riduzione dei costi di gestione. Ma aveva quel vizio dell’onestà, del rispetto delle regole e delle leggi, in nome della sua coscienza che, per lui, profondamente cattolico, non era un’astrazione.
Una vita semplice, la sua. Cominciò quasi ragazzo a lavorare, nel 1950, quando morì il padre. Entrò nell’officina familiare che riparava tram, autobus, automobili, 40 operai, una montagna di debiti.
Ambrogio Mauri ha quel lavoro nel sangue, ha anche coraggio. È finita presto la giovinezza. Piega la schiena, supera le difficoltà, ce la fa. È la stagione della ricostruzione, ha fiducia e speranza. Guarda avanti, compra, indebitandosi, la pressa dei Mariani, una ditta di Seregno. Le commesse non mancano.
Arriva il boom, la vecchia officina non basta più, nel 1964 Ambrogio Mauri costruisce il suo primo grande capannone. Costa molto, si espone con le banche, ma è ottimista di natura, ce la fa di nuovo. Ha l’orgoglio di creare lavoro pulito. I suoi rapporti con gli operai non sono formali, sa tutto di loro e delle loro famiglie, è partecipe, davvero amico. Non è una storia alla De Amicis, la sua è una storia cruda, con una terribile fine. È anche una piccola storia d’Italia che l’autrice sa intelligentemente inquadrare sullo sfondo di quel che accade nell’intero Paese.
Mauri si batte come un leone contro le difficoltà. Costruisce il suo primo autobus di lega leggera, quasi un figlio. Non sta chiuso nella sua azienda, viaggia in Europa e nel mondo, conosce la società italiana, è un democristiano di sinistra e nel 1970 diventa assessore all’Urbanistica di Desio, proprio quando viene discusso il piano regolatore. Cittadino che rispetta le regole, Mauri subisce allora le prime minacce degli speculatori. È un uomo libero, senza paraocchi, gli piace Berlinguer, la sua serietà, il suo rigore austero.
La ditta Mauri viene sistematicamente esclusa dagli appalti. Non paga le tangenti e lavora poco. Non conta che Ambrogio sia un imprenditore avanzato. Usa tra i primi il computer che gli permette di realizzare disegni tridimensionali. L’Italia degli accordi sottobanco lo vede come il fumo negli occhi. Non si arrende davanti ai no senza motivazione, seguita a sfornare proposte, si preoccupa della qualità dei progetti, ma sono i suoi concorrenti, quelli che pagano le tangenti, a ottenere gli appalti.
Poi scoppia Tangentopoli, siamo nel 1992, e il piccolo imprenditore di Desio ha la risposta istituzionale ai suoi motivati sospetti. Nell’elenco degli imprenditori inquisiti, quelli che fanno la coda in Procura, a Milano, per confessare ai magistrati il malfatto e ottenere qualche beneficio di legge, ci sono tutti quelli ai quali è stato affidato il lavoro anche se i titoli professionali della sua ditta erano assai più seri. Ma la liberazione di Mani Pulite si spegne alla svelta, i mitizzati magistrati diventano rapidamente i carnefici. I corruttori e i corrotti le vittime.
Non cambia quasi nulla, il lavoro per i piccoli imprenditori onesti continua a mancare, ma Ambrogio Mauri non si dà per vinto, non sta zitto. La legalità è ancora un miraggio.
Il colpo di grazia arriva nel 1996 quando l’Atm milanese, già pesantemente coinvolta in Tangentopoli, indice una gara per cento nuovi autobus di cui ha necessità. È la grande occasione. La ditta Mauri ha, più di tutti, le carte in regola. È infatti l’unica che sa costruire quegli autobus a pianale ribassato. Vincere sarebbe la soluzione di tutti i mali: 60 miliardi di allora. Ma la gara — Mauri è l’unico partecipante, l’ovvio destinatario dell’appalto — viene invalidata. Nella patria del diritto hanno ancora una volta la meglio gli azzeccagarbugli.
Mauri cerca di andare avanti, di reggere, ma la delusione e la stanchezza sono profonde. Come Giorgio Ambrosoli, come Libero Grassi, piccolo industriale di pigiami e di camicie di Palermo, uccisi dalla mafia, Ambrogio Mauri è vittima del sistema corrotto del Paese dei furbi impuniti. Sconfitto. Con lui l’Italia migliore.
Il 21 aprile 1997 va in azienda, come sempre. Aggiusta un cancello rotto, poi nel suo ufficio scrive nove lettere. Sono le 8 e mezzo della mattina quando tira fuori da un cassetto la sua Magnum 357 e si spara al cuore, fervido cristiano sofferente. C’è una lettera dolorosa: «Come tanti ho cercato disperatamente di fare il mio dovere di uomo, di imprenditore. In politica come nella vita. Sempre. C’è anche chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. È un vero peccato tutto questo. Io ho tentato ma... non sono riuscito a pagare. Che stupido».
Corrado Stajano