Federico Fubini, Corriere della Sera 15/03/2012, 15 marzo 2012
SUSAN RICE PER LA BANCA MONDIALE. UNA DONNA PRIMA DI SUMMERS E SACHS
Il fatto che Jeffrey Sachs si giochi su Twitter la sua campagna per farsi eleggere presidente della Banca mondiale può significare solo due cose. La prima è che la star degli economisti liberal, direttore dell’Earth Institute della Columbia University, animatore dello sviluppo dei villaggi in Africa, vuol essere un leader innovativo della banca. La seconda è che non ha alcuna chance di farcela.
L’ammissione delle candidature si chiude il 23 marzo, dopo che l’attuale presidente Robert Zoellick ha annunciato che non resterà alla Banca mondiale oltre il 30 giugno. Tutto ancora è possibile. Sachs per ora ha ricevuto il sostegno di Paesi di importanza simbolica come Haiti o il Bhutan, o di commentatori della stessa categoria come l’economista Nouriel Roubini. Ma non di figure di potere o di governi di peso nell’azionariato della banca.
L’altro aspetto inatteso della competizione, è l’assenza di candidati dei Paesi emergenti. Da anni, a ogni ricambio del presidente della Banca mondiale o del Fondo monetario internazionale, si levano molte voci per spiegare che questa è la volta delle nuove potenze. Europa e Stati Uniti, secondo questa lettura, devono smettere di spartirsi i posti di guida delle istituzioni finanziarie internazionali nate nel 1944 a Brettown Woods. Augustin Carstens, governatore messicano, solo pochi mesi fa sfidò la francese Christine Lagarde per la guida dell’Fmi (e ne fu sconfitto).
Ma se stavolta mancano candidature da India, America Latina o Cina, non è solo perché il gruppo degli emergenti resterà sempre inefficace finché non riuscirà a far fronte comune. È soprattutto perché Barack Obama, implicitamente, ha segnalato a tutti di tenersi alla larga: anche al prossimo mandato il posto alla Banca mondiale spetta agli Stati Uniti. E la Casa Bianca ha alcune candidature che stanno facendo più strada di quella, autodichiarata, di Jeffrey Sachs.
Nella lista ristretta figurano profili celebri. Ci sono Larry Summers, ex segretario al Tesoro di Bill Clinton e ex superconsigliere di Obama, e l’ex candidato alla Casa Bianca John Kerry. Ma entrambi sembrano indietro rispetto all’altro candidato, che emergendo come favorito: Susan Rice, 47 anni, afro-americana, ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu.
Susan Rice conosce bene Washington, senza portarsi dietro il bagaglio di cattivo sangue che in parte grava su figure iconiche come Summers e Kerry. Figlia di un ex governatore della Federal Reserve, si dice sia cresciuta con l’insegnamento di non usare mai il colore della pelle per fare carriera; detesta il sospetto, non fondato, di essersi affermata grazie a qualche quota afro-americana di promozioni. Nel ’97, a 33 anni, fu chiamata da Madeleine Albright come assistente segretario di Stato per gli Affari afro-americani di Clinton. Nel 2008 ha aiutato la campagna di Obama come consigliere di politica estera e fu ricompensata con il posto all’Onu. Quest’anno, se tutto andrà come previsto, segnerà a suo modo un nuovo record: la prima volta che le istituzioni di Bretton Woods saranno entrambe guidate da donne. Espresse entrambe dalle vecchie potenze in declino. Ma non rigorosamente in giacca e pantaloni.
Federico Fubini