Nicoletta Sipos, Chi, n. 12, 21/03/2012, pp. 42-48, 21 marzo 2012
CANDIDATO FORMATO FAMIGLIA
«È come salire sull’ottovolante ». Mitt Romney riassume così la campagna delle primarie che lo vede in testa come candidato dei repubblicani per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Romney è in netto vantaggio su Rick Santorum e ha distaccato di molto Newt Gingrich e Ron Paul. Secondo un recente sondaggio, otto repubblicani su dieci danno già per certa la sua nomination, ma Santorum potrebbe ancora rialzare la testa. In effetti Romney non convince la destra più rigorosa e deve parare diverse critiche in modo semplice e lineare. Gli dicono che il suo patrimonio personale di 250 milioni di dollari lo fa apparire troppo legato ai poteri di Wall Street? Risponde: «Non mi vergogno dei miei soldi, li ho guadagnati lavorando sodo». Gli rimproverano di essere troppo intellettuale? E lui replica: «È un punto d’onore in America conquistare la migliore educazione possibile». La sua appartenenza alla Chiesa mormone è un handicap? «Niente affatto», ribatte, «la fede ha benedetto la mia vita».
L’arma segreta della sua campagna resta la famiglia. Si fa fotografare mentre cucina (specialità polpette e broccoli) o mentre racconta favole ai sedici nipotini. Porta i figli a testimoni della sua vita integerrima. Scambia effusioni con Ann. «Mia moglie», dice, «è il mio migliore amico e la roccia sulla quale ho basato la mia vita. Sono fortunato ad averla accanto a me in questa grande battaglia». E aggiunge: «Sono fiero dei miei cinque ragazzi. Se la cavano con i loro figli molto meglio di come ce la siamo cavata Ann e io».
Ma chi è l’uomo che quest’autunno dovrà con ogni probabilità contendere la presidenza a Barack Obama? Nato il 12 marzo 1947 (ha appena compiuto 65 anni), Mitt Romney discende da una famiglia di mormoni povera e determinata.
Il padre, George W. (1907-1995), partì da zero e diventò amministratore delegato dell’American Motors. Gli viene riconosciuto il merito di avere risanato la società sull’orlo del fallimento. La madre, Leonore LaFount (1908-1998), lei pure di famiglia mormone, girò diversi film con Jean Harlow e Greta Garbo prima di sposarsi. Entrambi i genitori avevano la passione per la politica. Il padre, un repubblicano dalle idee progressiste che sostenne i diritti civili, fu governatore del Michigan dal 1963 al 1967. Sconfitto da Richard Nixon alle presidenziali del 1968, entrò nel governo come responsabile della politica urbanistica. La madre fu la prima donna candidata al Senato, senza fortuna.
Mitt ha fatto la sua gavetta secondo l’antica tradizione americana. Nel luglio 1965 s’iscrive all’università di Stanford, ma lavora come guardia notturna per pagarsi i viaggi che lo riportano nel Michigan, dove vive Ann, la sua fidanzata. Anche la ragazza (nata Davies il 19 aprile 1949) è figlia di un milionario che ha fatto fortuna da solo.
Nel 1966, come prescritto dalla Chiesa mormone ai giovani fedeli, parte missionario. Destinazione, Francia: ci resterà per due anni e mezzo vivendo ai limiti della povertà. Racconta: «In missione la tua fede può svaporare o diventa più forte. La mia si è rafforzata». Proprio in Francia, nel 1968, è gravemente ferito in un incidente stradale nel quale muore la moglie del capo della missione. «Ho capito allora», dice, «che la vita è un dono fragile e va messa a frutto bene».
Intanto Ann, che si è convertita al mormonismo sotto la guida di papà George, s’innamora di un altro e vuole rompere il fidanzamento. Mitt la convince ad attenderlo e la sposa il 21 marzo 1969, pochi mesi dopo il suo ritorno in patria. La famiglia di lei, non essendo mormone, viene esclusa dalla solenne cerimonia celebrata a Salt Lake City. I neosposi si trasferiscono a Boston e affittano un seminterrato per 75 dollari al mese. Nascono i primi tre figli: Tagg (1970), Matthew (1971), Joshua (1975). Terminato il doppio corso di studi in legge e business administration all’università di Harvard, Mitt trova lavoro in una ditta di consulenza finanziaria a Boston. Arrivano altri due figli: Benjamin (1978) e Craig (1981), ma Ann riprende a studiare la notte fino al diploma: una prodezza che i biografi non mancano di rilevare.
Con i primi milioni Mitt rafforza l’impegno scoiale e va verso la politica. Nel 1994 sfida Ted Kennedy per diventare senatore del Massachusetts. È sconfitto, ma il sogno resta. Ci sono però altre precedenze. Soprattutto, nel 1997 Ann si ammala di sclerosi multipla. Rischia di finire su una carrozzella. «Mitt mi è stato vicino con tutto il suo affetto», ricorda lei. «Non ha mai smesso di dirmi: "Insieme ce la faremo"». Un misto di cure tradizionali e medicine orientali le restituiscono la salute. Riprende anche a cavalcare, una passione che aveva da ragazza. Lui è sollevato: «Non avrei potuto vivere senza mia moglie», dice. E suona convinto.
II colpo di fortuna arriva nel 1999, quando lo chiamano a organizzare le Olimpiadi di Salt Lake City. Sembra una "mission impossible": i lavori non decollano, i debiti stringono, il fallimento è dietro l’angolo. Miracolosamente i nodi si sciolgono e nel 2002 quel successo gli apre la via per l’elezione a governatore del Massachusetts. Anche qui ci sono debiti da ripianare e posti di lavoro da inventare. Romney sostiene con orgoglio di avere sistemato i conti senza aumentare le tasse. Mette invece in secondo piano le concessioni fatte al Parlamento del Massachusetts, in larga maggioranza democratico, sotto forma di leggi a favore di contraccezione, aborto e nozze gay.
Aperture che oggi condanna, per essere in linea con l’elettorato repubblicano. Come condanna il piano di assistenza sanitaria che ha varato a suo tempo nel Massachusetts e che è servito da modello al programma di assistenza sanitaria di Obama.
Nel 2007 rinuncia a correre per un secondo mandato. Ha già in mente la Casa Bianca. Nel 2008 si presenta ed è bloccato da John McCain.
«Eravamo decisi a non riprovare mai più l’esperienza, ma davanti alla disastrosa situazione degli Stati Uniti abbiamo cambiato idea», dice adesso Ann, perorando la causa del marito.
La ricetta di Romney per l’ America di domani è proposta da slogan come: «Vogliamo un governo più piccolo, flessibile ed efficiente», «Non possiamo spendere più di quanto incassiamo». A chi gli rimprovera di avere cambiato troppe volte idea per mostrarsi un conservatore duro e puro, risponde: «Sto da 52 anni con la stessa donna, tutta la vita nella stessa chiesa, sono stato per 25 anni nella stessa azienda (la Bain & Company, ndr). Non conosco nessuno più solido e più costante di me. Credo nella famiglia, nella fede, nel mio Paese».
L’ottovolante cui la campagna espone non sembra turbarlo, anche perché riesce ancora a raccogliere il denaro che gli serve per portare avanti la sua macchina elettorale con i consulenti che lo assistono e il vecchio aereo che serve per gli spostamenti. Non si può dargli torto: in quest’anno e mezzo non si è trovato un candidato migliore. E l’establishment repubblicano comincia a schierarsi apertamente con lui.
Perfino l’ex first lady Barbara Bush, che nei mesi scorsi aveva criticato l’attuale campagna politica, ha registrato una telefonata di sostegno che viene inviata in automatico agli elettori chiedendo il loro voto per Mitt Romney. Un candidato forse non ideale, ma “inevitabile”.