Miska Ruggeri, Libero 15/3/2012, 15 marzo 2012
STORIA DEI TRE RAGAZZI CHE RIDICOLIZZARONO I CRITICI
«Nessun falsario», sosteneva Federico Zeri in una delle conversazioni sull’arte contenute in Cos’è un falso (Longanesi), «riesce mai a calarsi nella sensibilità antica». Così «in certi casi il falso è puerile per ragioni tecniche », in altri «la falsificazione assume un aspetto quasi comico» e «i falsi sono di una comicità incredibile ». Soprattutto, «l’arte moderna (...) è difficilissimo se non impossibile falsificarla» e «i falsari di scultura sono incredibili». Epperò, è un fatto che gli esperti talvolta ci cascano alla grande. Come nel clamoroso caso delle teste di Amedeo Modigliani (non Zeri, però).
Una beffa ricostruita a distanza di 28 anni, utilizzando anche spezzoni di filmati dell’epoca oltre alle testimonianze dei protagonisti, dal regista e produttore toscano Giovanni Donfrancesco in un docu-film di un’oretta, Le Vere False Teste di Modigliani, che ieri sera a Milano ha impreziosito, pur non facendone parte in senso stretto in quanto documentario a tutti gli effetti senza storie immaginarie, la rassegna “Tra vero e falso: il mockumentary!” (fino a domenica allo Spazio Oberdan, a cura della Fondazione Cineteca Italiana).
Il film ci riporta al luglio del 1984, quando a Livorno si inaugura la mostra “Modigliani e la scultura” e il Comune avvia dei lavori di dragaggio nel Fosso Reale alla ricerca delle teste scolpite che, secondo una leggenda negata dalla figlia Jeanne (che morirà cadendo dalle scale proprio alla fine di quel mese), Modigliani vi avrebbe gettato all’inizio del ’900 prima di trasferirsi a Parigi.
Con un trapano
Per una settimana la città toscana è al centro dell’interesse dei media nazionali, ma non si trova nulla: solo melma, sassi, rifiuti, vecchie biciclette. Finché quattro studenti universitari, Michele Ghelarducci, Pierfrancesco Ferrucci, Pietro Luridiana e Michele Genovesi (presto defilatosi), viste le aspettative generali, decidono di far ritrovare qualcosa. Cercano una pietra già tagliata, si ispirano alle caratteristiche principali dei volti di Modigliani (ovale allungato, naso lungo e bocca piccola), tracciano (lo fa il più “artista”dei tre, Michele) le linee essenziali e ci danno dentro, usando anche un trapano elettrico con spazzola di ferro. In sei ore, nonostante un errore che comporta la rottura di un pezzo, il manufatto è pronto.
Di sera lo buttano nel canale, proprio davanti alla benna. Puntualmente, il mattino dopo, 24 luglio 1984, avviene il ritrovamento di una testa. Ma, sorpresa, non è la loro. Che spunta fuori solo nel pomeriggio e il Tg della sera la giudica ancora più bella della prima. La notizia fa il giro del mondo, ovunque si grida al miracolo. Vera Durbé, ex partigiana direttrice del Museo Villa Maria, si commuove e sentenzia: «Sono autentiche, non c’è ombra di dubbio». In realtà, non è sola. Il coro dei critici è pressoché unanime. «C’è la presenza» proclama Cesare Brandi. Hanno «un’anima», gli fa eco Enzo Carli. «Opere fondamentali per la scultura moderna», le esalta Carlo Ludovico Ragghianti. «Sono autografi, degli abbozzi con finezze che rivelano la mano di un artista esperto», certifica Giulio Carlo Argan, l’autore del manuale su cui i quattro hanno studiato la storia dell’arte...
C’è da morire dal ridere. Anche perché scendono in campo gli scienziati. Pronti a giurare che le teste sono state in acqua per vari decenni, mentre le tracce dell’erba del prato (utilizzato come tavolo di lavoro) rimaste attaccate alla parte posteriore diventano un’alga particolarissima...
Come se non bastasse, ecco venir fuori la terza testa, in granito. Tuttavia per i media la migliore resta la seconda (ribattezzata «Modì 2»), «una focaccia» secondo gli autori. Per celebrarle viene stampato un catalogo, che i ragazzacci si fanno dedicare, e organizzata una presentazione in pompa magna.È ora di svelare la verità. Lo scoop esce su Panorama. Ma nessuno ci crede. I critici evocano un torbido complotto, mentre la Durbé li prende in giro e li invita a rifare la testa in diretta televisiva. Sfida accettata e vinta negli studi Rai. Lo “Speciale Tg1” sancisce al di là di ogni dubbio che gli autori del «Modì 2» sono loro.
Ma «Modì 1» e «Modì 3» chi le ha fatte? Il portuale ed ex terrorista Angelo Froglia, appassionato di scultura e pittura, poi morto nel 1997 a soli 42 anni, che avrebbe continuato il gioco a lungo (si divertiva ad andare al Museo per ascoltare i commenti dei visitatori e degli studiosi), ma che si vede costretto a uscire allo scoperto con un video (premiato dalla critica al Torino Film Festival).
Il livore di Livorno
Oggi Ferrucci è un importante medico, vicepresidente dell’Istituto europeo di oncologia a Milano, ha in casa una testa in stile Modì autoprodotta ed è amareggiato dall’ostilità dei suoi concittadini: «Livorno non ha ancora accettato e metabolizzato la vicenda, anzi l’ha rimossa. Pensano che abbiamo distrutto noi la reputazione della città quando invece è evidente che non avevamo motivazioni politiche o economiche e che la cultura era morta da tempo». Sulla critica d’arte poi è lapidario: «Non è una scienza. Sembra un club chiuso che se la canta e se la suona». Difficile, tra tante teste di Modì, dargli torto.
Miska Ruggeri