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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

DAGLI AL GIUDICE ORA TRAVAGLIO SEMBRA IL CAV


Da qualche settimana il Fatto quotidiano sembra ogni giorno di più quel Mattinale che lo staff di Silvio Berlusconi da anni prepara per il leader del centrodestra. Perfino la firma di Marco Travaglio che accompagna il titolo di prima pagina rischia di essere confusa con quella di un Giorgio Stracquadanio dei tempi migliori (senza offesa per nessuno dei due). Quello che un tempo era identificato come il quotidiano più amato dai magistrati ogni giorno ne scudiscia qualcuno con robuste frustate. La musica è proprio identica a quella dagli aedi berlusconiani nei momenti più alti dello scontro con i magistrati. Nemmeno le parole divergono, tanto da fare immaginare una vera e propria sindrome di Stoccolma fra il Cav e il giornale nato e cresciuto contro di lui. Avreste mai immaginato un titolo come quello di ieri, “Le toghe ignoranti”, sopra un pezzo di Travaglio? Eppure era lì, in prima pagina. Non saranno toghe rosse, quelle con cui il Fatto se la prende. Saranno gialle, verdi, blu o perfino nere. Ma il braccio di ferro è proprio identico, come le conseguenze di questa scelta. Dire che i magistrati si dividono in buoni e cattivi, a seconda che diano ragione o meno alle tue tesi è l’arma principale per minare alle basi la giustizia. Perché l’impressione che si trae dalla lettura del Fatto di queste settimane è esattamente quella che metteva a disagio quando identici argomenti venivano impugnati dai berluscones: se ci sono giudici buoni e giudici cattivi per principio apodittico, ovviamente della giustizia non ci si può fidare.

TENERSI ALLA LARGA

Un tribunale descritto in quel modo è posto da cui i cittadini debbono tenersi alla larga. Inutile cercare di fare valere i propri diritti: è come tirare una moneta in aria, se viene testa ti trovi davanti il giudice buono, se viene croce, allora sei sfortunato: finisci nelle mani del giudice cattivo. Già si era capito quando Travaglio e altri editorialisti de il Fatto avevano infilzato non solo la sentenza del caso Meredith, ma anche i suoi autori. Sembrava una buccia di banana incidentale, ma dopo i casi Mills, Dell’Utri, stragi di mafia, il virus berlusconiano sembra proprio avere contagiato il Fatto quotidiano nel profondo.
Non sto qui a scrivere banalità che pure sono circolate in questi giorni, del tipo “le sentenze si possono criticare, ma si rispettano”. È ovvio che si rispettino: non esiste la possibilità di non farlo, perché dopo averle scritte i magistrati hanno quel vizio assurdo che impone la legge: le applicano. Quindi l’unica libertà che si può avere è quella di criticarle. Ed è legittimo farlo, anche se (bisogna confessarcelo), la critica spesso è quella da bar sport. Il più delle volte si è tifosi infatti di una tesi o del suo opposto a prescindere, e l’obiettività raramente è di casa. Non potrebbe essere al chi mai segue tutte le udienze di un processo, ha presente ogni passo formale di formazione di una prova o della sua distruzione?
Se anche il Fatto quotidiano, il gazzettino dei magistrati, non si fida più di loro e sparge a larghe mani dubbi e insinuazioni sulla politicizzazione delle toghe, significa che quella categoria è davvero fritta. Ieri mattina ero vicino a un parlamentare del Pd che fino a qualche tempo fa andava in escandescenze quando arrivavano in aula le leggi berlusconiane sulla materia, e ora invece, in mano una copia appena letta del quotidiano di Travaglio e Antonio Padellaro, sbuffava: «La cosa più urgente è proprio la riforma della giustizia. Troppi magistrati politicizzati, bisogna mettere uno stop. Subito la separazione delle carriere».

I CAVOLI A MERENDA

La ricetta probabilmente c’entra come i cavoli a merenda, ma è spia di un clima diverso che non dovrebbe fare dormire sonni troppo tranquilli ai pubblici ministeri. A destra e a sinistra, sulla stampa di ogni orientamento sta emergendo una realtà che inevitabilmente si radica sempre più nell’opinione degli italiani: la giustizia è sempre più fragile, teatro di scorribande fra fazioni politiche fuori e dentro le aule di tribunale. Un male profondo, che sembra ormai incurabile. Perché un cittadino che vuole e ha diritto a giustizia, non può finire in mezzo allo scontro fra quelle bande. I Travaglio penseranno di essere alla guida dei giudici buoni, a cui quelli cattivi si mettono di traverso. I Berluscones penseranno la stessa cosa all’opposto. E ognuno dei due avrà naturalmente le sue tifoserie. Se faccio parte di una ho il diritto di non volere finire sotto le grinfie dell’altra. Non so se ci sarà più giustizia, ma in queste condizioni la sola via d’uscita è quella americana: sia il popolo a scegliere i propri rappresentanti della giustizia e ad eleggerli. Le fazioni ci sono già, almeno vinca quella scelta dalla maggioranza dei cittadini.

Franco Bechis