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 2012  marzo 14 Mercoledì calendario

Scrittori (s)gonfiati Il vero talento è narrarsi in breve - Per uno scrittore, scrivere poco è una contraddizio­ne in termini

Scrittori (s)gonfiati Il vero talento è narrarsi in breve - Per uno scrittore, scrivere poco è una contraddizio­ne in termini. Ma scrive­re poco su di sé è un’otti­ma controindicazione al proprio Ego. Di cui gli intellettuali notoria­mente abbondano. Gli scrittori in realtà adorano scri­versi addosso, in particolare rac­contarsi e raccontando al proprio lettore vita, opere e capolavori. E di solito, curiosamente, inmanierain­v­ersamente proporzionale al talen­to. Quelli che valgono di meno, so­no quelli che scrivono di più. Certo, poi c’è anche il passare del tempo che cambia il carattere. Per dire: Al­do Busi , oggi sovrabbondante quando parla di sé e della propria opera, vent’anni fa sintetizzò se stesso in quattro righe, in terza per­sona: «C’è stato e ha scritto quanto segue», mettendoci i sei titoli pub­blicati dal 1984 all’89. Purtroppo il chi , in letteratura, tende ormai a sopraffare il cosa . Le biografie composte dagli scrittori per i propri siti internet sono in ge­n­ere più ampie dei contributi ospi­tati sulle pagine web. E quelle per le quarte di copertina dei libri capita siano più lunghe della nota criti­ca... Scrivere bene è un talento. Scrive­re poco è un’arte. Ma è possibile scrivere bene, di sé, in breve? Oggi, in tempi di prolissità esi­stenziale è difficile, ma qualcuno in passato c’è riuscito. Le edizioni Henry Beyle hanno appena pubbli­cato in un piccolo volume la (bre­ve) notabiograficache Elio Vittori­ni consegnò al numero del marzo 1949 di Pesci rossi , il bollettino di in­formazione e attualità letteraria che, all’epoca, pubblicava la Bom­piani. In una decina di cartelle, inti­tolate Della mia vita fino a oggi , Vit­torini, che aveva 40 anni e di cose ne aveva già fatte parecchie, rac­conta tutto se stesso: dalla Siracusa «città di marinai e contadini» dove era nato nel 1909, ai primi libri che gli fecero «grande impressione», Robinson Crusoe e Le mille e una notte , dai suoi complicati rapporti con il fascismo all’esperienza del Politecnico ( «ho deciso di non diri­gere mai più riviste ») fino ai suoi gu­sti letterari («considero Hemin­gway più importante, almeno per i comuni mortali, di Joyce, di Proust, di Kafka»). In poche battute, tutta una vita e qualcosa di più. Definire se stessi e il proprio lavo­ro evitando enfasi declamatoria ed eccessi solipsistici (senza dire del­l’autocelebrazione) è la sfida più difficile per uno scrittore. Coloro che ne sono usciti vincitori- puliti e coincisi - sono pochi, come testi­moniano due vecchie antologie di autobiografie d’autore che siamo andati a sfogliare per l’occasione: l’ Autodizionario degli scrittori ita­liani, confezionato da Felice Pie­montese per Leonardo nel 1989, e i Ritratti su misura curati da Elio Fi­lippo Accrocca per il Sodalizio del li­bro nel 1960. È qui che si vedono i veri maestri della «necessarietà», contro la logorrea della letteratura moderna. Giuseppe Prezzolini di­ce ­quello che c’è da dire in una pagi­netta, dove può permettersi di con­f­essare: «Autodidatta. Diventò ca­pitano senza aver fatto il soldato, professore d’università senza di­plomi scolastici, capo di un ufficio della Società delle Nazioni senza concorso, e fa il giornalista italiano da New York pur essendo cittadino americano». Leonardo Sciascia ci impiega ancora meno, mezza pagi­na - che è un miniromanzo - che ruota attorno all’inciso: «Non amo frequentare i salotti e i caffè lettera­ri: le riunioni di persone intelligenti mi pare producano, non so perché, astrale cretineria. Pertanto preferi­sco il circolo del mio paese ». Mario Tobino si sbriga in 15 capoversi, quasi tutti di una riga, una riga e mezza, tra le quali ne spiccano due: «Premi in Italia non ne ho mai avu­ti » e «Non ho da dare altre notizie». A differenza di Attilio Bertoluc­ci il quale, in ossequio alla concinni­tas , impiega due pagine fitte fitte per confrontarsi con la propria real­tà, Giuseppe Ungaretti , nel 1960, condensò quasi 80 anni di vita in 9 righe, così come compendiava un mondo in pochi versi. Aldo Palaz­zeschi ci impiega ancor ameno: 4 ri­ghe e mezza, dove le cose che gli preme si sappiano di sé sono che il nome Palazzeschi è uno pseudoni­mo, e che quello del suo primo edi­­tore, Cesare Blanc, è lo stesso del suo gatto. Per il resto, è curioso notare l’in­fluenza dell’area geografica sul­l’espressione artistica. Sarà un ca­so, ma i veneti sono maestri dell’es­senzialità. Ferdinando Camon , uno che sa misurare le parole, disse di sé: «Non è, o non si considera, uno scrittore: bensì un uomo che ha dei problemi, e usa le parole per cercare altri uomini con gli stessi problemi». Mentre Gian Antonio Cibotto , premio Nobel dell’essen­zialità, se la cavò così: «Il tempo odierno, brutale e volgare, gli è ne­mico. Lo si consideri estinto».