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 2012  marzo 13 Martedì calendario

Sei mia figlia, ma non chiamarmi papà - Pubblichiamo qui un capitolo del nuovo romanzo di Massimiliano Parente (nel fotino) daltitolo L’inu­mano (Mondadori, pagg

Sei mia figlia, ma non chiamarmi papà - Pubblichiamo qui un capitolo del nuovo romanzo di Massimiliano Parente (nel fotino) daltitolo L’inu­mano (Mondadori, pagg. 288, euro 19), in libre­ria da oggi. Il libro chiude una trilo­gia iniziata con La macinatrice (Pe­quod, 2005)econti­nuata con Contro­natura (Bompiani, 2008).Ilcapitolocheantici­piamo s’intitola «Una figlia». *** «Quando passi a prendermi?» di­ce Ludovica. «Tra cinque minuti sono lì». Ogni volta che sento mia figlia al telefono mi torna in mente la canzone di Modugno, dove ri­sponde la bambina e non sa che lui è il padre, che piange per loro due, madre e figlia, che d’estate vanno a villeggiare all’hotel Rivie­ra , meglio perderle che trovarle. La passo a prendere sotto casa, vedo la sagoma di Mirta Martina­to dietro il vetro smerigliato del portone. In macchina Michael Jackson a tutto volume nello ste­reo, Annie are you ok? Are you ok Annie?, e stranamente Ludovica non parla, finché non arriviamo sulla spiaggia di Ostia, davanti al mare d’inverno, come un film in bianco e nero visto alla tv, peccato che sia estate. Si è tolta le scarpine di vernice nera per camminare sulla sabbia, quasi in punta di piedi, ha una sua eleganza innata. La vedo il meno possibile, Ludovica, massimo una volta al mese, se possibile una volta ogni due mesi, fosse per me non la vedrei mai, ma è la bambi­na a chiederlo e Mirta Martinato non può negarle di vedere il pa­dre. Mi ricordo una volta, quando aveva sei mesi, si ammalò di mor­billo e io speravo morisse. Veden­dola adesso, così dolce e adorabi­le, mi sento in colpa per quei pen­sieri cattivi, però se fosse morta mi sarei tolto il pensiero di essere costretto a rivederla. Ci hanno inculcato che non si augura la morte a nessuno, ma perché? Se si incentiva la vita, e la vita implica la morte, si potrà an­che augurare la morte. I religiosi poi sono convinti di andare in pa­radiso, la vita è solo un passaggio, un transito, un al di qua rispetto a un aldilà, un non so che cazzo, e al­lora muori no? Cosa fate qui? «È vero che non mi volevi?» «Cosa non volevo?» «Hai capito benissimo, me» Hai capito benissimo, con quel tono,l’ha imparato da sua madre. I bambini sono come i cani, pren­dono i difetti dei padroni, ma al­meno i cani non parlano. Mi accendo una sigaretta, an­che se avevo smesso, e guardo il mare, poi torno a guardare lei che disegna con il piede cerchietti sul­la sabbia. Cerco di provare tene­rezza e in alcuni momenti ci rie­sco e la provo, o almeno così mi sembra. «Non volevo figli e basta. Chi te l’ha detto, la mamma?» «La mamma dice che non mi vo­levi. Non volevi farmi nascere. Volevi farla abortire, dice. Ma io penso che lo dice perché è arrab­biata con te» «No, è la verità» «Non mi volevi?» «Non volevo figli, tu non c’en­tri » Il problema dei bambini sono le domande, le domande che ri­volgono agli adulti per ottenere ri­sposte. Io ne sono annientato ma gli altri adulti ci vanno a nozze, per questo si sposano, non aspet­tano altro, farsi fare delle doman­de così elementari da convincersi delle risposte cretine che danno. Gli adulti rispondono ai bambi­ni mentendo a l­oro volta sul mon­do per ricrearne uno più simile al­l’idea di felicità che sanno di ave­re perduto, inventandone di volta in volta una più favolistica e inno­cua possibile, e non lo fanno per i bambini, lo fanno per se stessi, per dimenticare quello che sono diventati, per ricordarsi di quan­do erano ingannati anche loro, in­gannano per autoingannarsi, ge­nerano per illudersi di rigenerar­si. «Quindi non mi vuoi bene?» «Sì che ti voglio bene,cosa c’en­tra » «Non vuoi vedermi mai» «Ho sempre molto da fare» «Perché non mi volevi?» «Ludovica cara, dobbiamo par­lare di questo adesso?» «Non è mai il momento con te. Non ti vedo mai» «È vero, ma è così. La mamma sapeva che sarebbe stato così» «Non è mai il momento» «No» Non è mai il momento. Le frasi di Mirta Martinato trapiantate tali e quali, o forse Ludovica è sempli­cemente già una donna , con tutto il suo bagaglio cultural-genetico di recriminazioni pronte a scatta­re, con il letale dobbiamo parlare . «Senti,tesoro,non è che non vo­­levo te, non esistono le cose prima che esistano, come non esisteran­no dopo, quando sarà come se non ci fossero mai state. Se può consolarti neppure io volevo na­scere » «Dopo quando?» «Ti piace il mare?» «Sì. A luglio siamo state in Costa Smeralda» «Bene» Siamo rimasti in silenzio a guar­dare le onde, io e lei sulla spiaggia, come fossimo una Pubblicità Pro­gresso, il gabbiano Jonathan Livin­gston o un romanzo di Virginia Wo­olf. Ludovica indietreggia quando l’onda arriva quasi a toccarle i pie­dini, poi avanza aspettandola di nuovo. Non ho mai capito come faccia la gente a sentirsi attratta da que­sta massa d’acqua salata, i più fissa­ti ci nuotano, altri impazziscono per la barca, alcuni vogliono fare i furbi evoluzionisti con me e rispon­dono che veniamo da lì , come se si­gnificasse qualcosa di biologica­mente sensato, cioè: e allora? «Papà...» «No, per favore, papà no» Ludovica mi guarda con gli oc­chi lucidi, povera piccola mia, bambina mia, amore mio, tesoro mio, cucciolo mio. Cerco di prova­re tenerezza ma non mi viene, non sempre riesce due volte di seguito, i sentimenti sono come le erezioni quando non ti tira, una volta può andare, pensi a altro, aggiusti la re­altà impastandola con una fanta­sia, la seconda pensi che non ti tira e basta. «Andiamo, si è fatto tardi» dico facendo il gesto istintivo di guar­darmi il polso, per la gioia di Pa­vlov, sono vent’anni che non porto l’orologio.