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 2012  marzo 14 Mercoledì calendario

Una scia nella Death Valley: sono le pietre che camminano - Ghost towns, cunicoli di miniere abbandonate, rocce lunari e carovane di pionieri che arrancano lungo dune di sabbia assolate, abitate da serpenti a sonagli, scorpioni e ragni velenosi: la Death Valley, il parco non lontano da Las Vegas e Los Angeles e più estremo della California, è anche il più caldo, il più arido e quello che sprofonda nel punto più basso del Nord America, le Badwaters, 86 metri sotto il livello del mare, e offre molti misteri

Una scia nella Death Valley: sono le pietre che camminano - Ghost towns, cunicoli di miniere abbandonate, rocce lunari e carovane di pionieri che arrancano lungo dune di sabbia assolate, abitate da serpenti a sonagli, scorpioni e ragni velenosi: la Death Valley, il parco non lontano da Las Vegas e Los Angeles e più estremo della California, è anche il più caldo, il più arido e quello che sprofonda nel punto più basso del Nord America, le Badwaters, 86 metri sotto il livello del mare, e offre molti misteri. Ha scorci di tremenda bellezza come lo Zabriskie Point (onde di rocce che al tramonto assumono colorazioni fantastiche, immortalate nel film di Michelangelo Antonioni) e fenomeni controversi come le «pietre che camminano». Le «moving rocks» si trovano in una landa argillosa lunga cinque chilometri e larga tre, la «playa» del «Racetrack», il fondo di un lago evaporato migliaia di anni orsono. I massi, caduti dalle montagne circostanti, giacciono isolati, all’estremità di una traccia lunga a volte anche un centinaio di metri, pare provocata strisciando: talvolta il percorso è rettilineo, altre volte circolare. I rangers assicurano che nessuno può dire di averle mai viste muovere. L’ipotesi più ragionevole, lasciando da parte quelle più fantasiose come terremoti o perturbazioni del campo magnetico, sembra chiamare in causa due fenomeni concomitanti: le forti e improvvise piogge (per quanto siano rare: in media sulla Death Valley non ci sono più di 50 millimetri l’anno di precipitazioni) renderebbero viscido il fondo della Racetrack Playa e i fortissimi venti, impetuosi come uragani, potrebbero sospingere e far scivolare i massi, sia con moto rettilineo costante che con cambiamenti di direzione, come appare in alcune tracce. Se si potesse dimostrare che i movimenti delle pietre avvengono soprattutto nei mesi invernali, si potrebbe pensare a uno strato di ghiaccio che si forma sulla superficie della «playa», cosa che renderebbe più agevole l’azione dei venti incanalati fra i monti Amargosa e Panamint, nel corridoio di 225 chilometri della Death Valley, larga in media 40 chilometri, fra Sierra Nevada a Ovest e Nevada a Est. Ma le ricerche sono assai scarse. Qui, a metà Ottocento, si avventurarono migliaia di cercatori d’oro: incontrarono i nativi americani che si chiamavano Timbisha (popolo della valle). Furono ricristianizzati come «Shoshoni» e oggi vivono in una riserva vicino a Furnace Creek. L’unica ricerca accurata, prima di quella svolta nel 1993 da Paula Messina, assistente di geologia presso la San José State University (che ha chiamato in causa improvvise raffiche di vento), è stata quella di Robert P. Sharp, del California Institute of Technology, nell’ormai lontano 1969: prese in esame 25 rocce, controllandone periodicamente la posizione, ma il clima proibitivo e l’assenza di finanziamenti lo indussero a rinunciare prima di aver effettuato scoperte significative. Oggi solo le telecamere fisse e i rilevatori satellitari potrebbero sciogliere i dubbi. E si pensa a un programma di monitoraggio ultratecnologico. Intanto, qualcuna delle «moving rocks» addirittura sparisce, ma in questo caso non c’è alcun mistero: c’è chi, probabilmente, e nonostante il divieto di arrivare con veicoli sul fondo del lago e di devastarlo con tracce di pneumatici, le ruba come un prezioso «souvenir». Una serie di tracce, infatti, finisce senza che all’estremità vi sia nulla. Arrivare nella Valle della Morte, in ogni caso, è già una magia: si costeggia il deserto del Mojave, tra cactus e «Joshua Trees», luoghi desolati che videro la corsa all’oro e alla terra di migliaia di disperati. Uno dei simboli della Death Valley è la ghost town Panamint City, una città-fantasma come Tombstone. Venne fondata nel 1873, vicino a una miniera d’argento: due anni dopo contava 2 mila persone, molte delle quali erano fuorilegge, tanto che la Wells Fargo rifiutò il trasporto dell’argento estratto. Quando la vena si esaurì, se ne andarono tutti, ma pochi anni dopo nella Valle scoprirono il borace e la Pacific Coast Borax Company attirò lavoratori da ogni dove. Ora le «moving rocks» e queste torride lande, proibitive d’estate, accendono l’immaginazione di migliaia di turisti. Suv e camper arrivano nel luogo più inospitale della Terra, a Furnace Creek e a Zabriskie Point, «location» fantastica che con artisti e musica ha un rapporto speciale: ha influenzato anche gli Oasis nel videoclip di «Who Feels Love?». Un altro grande musicista, il bassista dei Pink Floyd Roger Waters, compare d’altra parte in alcune inquadrature del film di Antonioni. Questo bacino sprofondato, dove c’era il mare, è terra di enigmi, un posto nella mente e anche un miraggio tremolante di ricchezze, mistero e morte: magnetico e fantasmatico come le «moving rocks», come i ragazzi che nel finale del film di Antonioni si amano in un delirio di sabbia.