MARCO VALLORA, MARIA VITTORIA GIANNOTTI, La Stampa 13/3/2012, 13 marzo 2012
I MERITI DI UN INGEGNERE COCCIUTO
Bisogna dirle, onestamente, queste cose, in un momento di cauto trionfalismo, sulle scoperte, ottimistiche, delle prove d’ipotesi che sotto le pareti trionfalistiche del Salone vasariano dei Cinquecento.
A Palazzo Vecchio ci sarebbe traccia (dipinta: si parla di pigmenti depositati da mano umana) della leggendaria «Battaglia di Anghiari» di Leonardo. Che sinora si conosceva solo per gli splendenti frammenti di disegni autografi e per le (scarse e leggendarie) allusioni documentarie.
Bisogna ammettere che nei confronti dell’ingegner cocciuto Massimo Seracini, l’Accademia si era chiusa a riccio. E con pretese poco filologiche e prevenute. Aveva cercato di espellerlo dalla comunità dei «dotti che san giù tutto» (chi lavora di apparecchiature non è degno d’ascolto) e di metterlo con le spalle al muro. Perché tutto si gioca intorno alla storia del muro misterioso, che avrebbe preservato uno dei (non) tanti capolavori di Leonardo, verosimilmente un affresco. Ma è possibile che un grande intellettuale come «il» Vasari, primo «inventore» della storia dell’arte, si fosse macchiato d’un crimine di tal fatta, proponendo un oscuramento tanto clamoroso, che pure il suo Michelangelo ha perpetrato, serafico, nella Sistina?
Il problema sta proprio qui: che qualche incredulo-sprezzante il muro voleva lasciarlo lì, zitto e ben maquillato, senza interrogarlo mentre lo scienziato «pazzo» s’incaponiva ad andare a grattare sotto la pelle per scoprire che cosa si trovava. Penetrando con il ditino meccanico delle sonde endoscopiche, come San Tommaso nel costato della piaga. Chi scrive non può esser considerato un suo fan partigiano, avendolo attaccato dopo una sua conferenza troppo barricadera, in cui pareva voler sostenere che gli storici dell’arte hanno il terrore di confrontare le loro idee con le verifiche delle radiografie scientifiche. Storicamente falso. Però in questo emblematico caso un po’ di ragione l’aveva, e me lo ricordo una sera a Palazzo Vecchio abbacchiato ma non domo, in cui stava ammainando la sua impalcatura, perché il potere burocratico-sovrintendente aveva decretato: smontare!
Quei millimetrici buchini per le sonde erano giudicati lesa maestà nei confronti dei chilometri pittorici pubblicitari del Vasari. Lui ne aveva richiesti 14 decisivi, ma avevano lesinato a 7: figurarsi uno che da 37 anni cercava testardamente di «andare al di là dello specchio» dell’intercapedine ventilata! Poi era seguita una lettera in cui era richiesto di smetterla d’autorità di titillare la guancia autorevole e torturata della pittura del Vasari, rinunciando a sondare. Non firmai, perché nel dialogo più che mai sospettoso con l’ingegnere ripudiato dal consesso, continuamente da me provocato e punzecchiato, certo più che non la parete di Vasari, m’ero reso conto che era molto più documentato ed attendibile di quanto non si potesse credere (studio termografico delle pareti, prima dell’intervento di Vasari. Reazione estatica di alcuni viaggiatori di fronte alla misteriosa «Battaglia degli Stendardi». Posizionamento delle fonti luminose e tamponamenti di finestre).
Anche se la storia dell’invito-rebus «cerca-trova», dipinto su uno stendardo ha troppo sapore di «Codice da Vinci», non stupisce che il cortigiano mediceo Vasari, che deve trasformare il repubblicano Palazzo Vecchio in trionfale sede celebrativa granducale, si trovi di fronte quell’imbarazzante «reperto» anti-mediceo, che celebra una battaglia non certo cara a Cosimo, cui deve compiacere. Che fa? Se lo tiene come un cammeo ingombrante? Ovvio che vinca il cortigiano sullo storico. Come quando nel dopoguerra si scialbarono gli affreschi di Funi e Sironi, perché erano un inno a fasci littori e al Duce. E se per intuito di storico avesse preveduto la cocciutaggine di Seracini, creando un’intercapedine protettiva, «democristiana» e preveggente, invece di cancellare tutto?
MARCO VALLORA
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“È il nero di Leonardo” Dietro il Vasari le tracce di un mistero infinito -
Da un minuscolo foro praticato su una parete del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, spunta il «nero» della Gioconda. Per Maurizio Seracini, l’ingegnere che, armato di sonde endoscopiche, sta dando la caccia all’affresco perduto di Leonardo da Vinci raffigurante la Battaglia di Anghiari, è la prova che il sogno coltivato per trentasette anni può finalmente diventare realtà.
Tra i sostenitori del suo progetto c’è anche il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ma sono in molti, nel mondo accademico, a non condividere il suo entusiasmo. Ieri, nel corso di un’affollata conferenza stampa, sono stati resi noti i risultati della fase più avanzata della ricerca: quella condotta praticando sei piccoli fori nella parete est del Salone, dove ora si trova l’affresco di Giorgio Vasari. Dentro quel muro, annuncia ora trionfante Seracini, sono state trovate tracce di colori: rosso - associabile a lacca - e beige. Ma soprattutto un nero che, analizzato in laboratorio, si è rivelato chimicamente simile a quello utilizzato dal genio rinascimentale per dipingere le velature dell’enigmatica Gioconda. Il pigmento in questione è formato da molto manganese e ferro: la percentuale dei due ingredienti è molto simile a quella che Leonardo sperimentò per realizzare un altro suo dipinto conservato al Louvre: il San Giovanni Battista.
Le immagini ottenute con la microcamera posizionata su una sonda endoscopica di 4-5 millimetri di diametro, hanno mostrato anche uno strato bianco-beige, lattiginoso: per i ricercatori può esser stato applicato solo con un pennello. «Anche se siamo ancora alle fasi preliminari della ricerca e nonostante il lavoro ancora da fare – sostiene Seracini - le prove dimostrano che stiamo cercando nel posto giusto. Sono dati incoraggianti».
Ma non sono soltanto i colori ad alimentare le speranze: i fori avrebbero permesso di documentare, con tanto di immagini, anche la presenza di una cavità nel muro, un’anomalia presente solo in quel punto del Salone. Un dato che conferma i risultati delle indagini radar condotte negli anni passati: quel vuoto, secondo i cacciatori dell’affresco perduto, potrebbe essere stato lasciato da Giorgio Vasari - il pittore e architetto che ricevette l’incarico di ristrutturare Palazzo Vecchio – per preservare l’affresco del genio che tanto ammirava. La ricerca di questo ingegnere sognatore non ha appassionato solo il sindaco: a supportarlo ci sono anche gli esperti del National Geographic e dell’Università di San Diego.
E dopo il via libera del Ministero per i Beni Culturali, l’operazione – accompagnata da furenti polemiche tanto che il caso è finito perfino sui tavoli della Procura - è stata seguita con attenzione dai tecnici della Soprintendenza al Polo Museale fiorentino e dell’Opificio delle Pietre Dure. «La ricerca si sta svolgendo sulla parete giusta», ha commentato il soprintendente di Firenze, Cristina Acidini, ricordando che l’invasività dell’operazione è stata sicuramente molto più limitata rispetto ad altri tipi di indagini diagnostiche. «Bisogna continuare, troppe testimonianze dell’epoca indicano che quello è il punto giusto», sostiene il professor Carlo Pedretti, che da Los Angeles, dove dirige il Centro di studi su Leonardo Da Vinci dell’Università della California, segue con estremo interesse i risultati della caccia. Il sindaco Renzi è pronto ad andare avanti: in ballo, sostiene, c’è un mistero che dura da cinque secoli. «Scriverò al ministro Ornaghi e chiederemo le autorizzazioni per rimuovere le aree dove nell’800 e nel ‘900 sono stati effettuati restauri così da non toccare la pittura originale di Vasari ed avere una fotografia più completa». Per i finanziamenti, nessun problema: «Stiamo parlando di Leonardo, fa il giro del mondo: i soldi li troviamo dai privati».
MARIA VITTORIA GIANNOTTI