ANDREA MALAGUTI, La Stampa 13/3/2012, 13 marzo 2012
“Teniamo le operazioni segrete altrimenti rischiano di saltare Ma il mondo non è Hollywood” - Whitehall, lunedì pomeriggio, a poche centinaia di metri da Westminster
“Teniamo le operazioni segrete altrimenti rischiano di saltare Ma il mondo non è Hollywood” - Whitehall, lunedì pomeriggio, a poche centinaia di metri da Westminster. Uno dei più stretti collaboratori del ministro della Difesa Philip Hammond si ferma a salutare uno dei più ascoltati consulenti del governo Cameron. Parlano di Nigeria. Dell’intervento fallito dagli uomini dello Special Boat Service che è costato la vita a Franco Lamolinara e Chris McManus, giustiziati in un compound di Sokoto dai banditi che li avevano sequestrati il 12 maggio 2011. Gli assassini apparentemente sono terroristi del gruppo islamista Boko Haram. Ma sotto accusa ci sono sono le teste di cuoio britanniche. E assieme a loro chi ha dato gli ordini. Perché l’Italia è stata tenuta all’oscuro? I due commentano animatamente le parole del presidente del Copasir Massimo D’Alema, che poche ore prima ha attaccato Londra. «L’operazione è stata condotta in modo non ragionevole». Una battaglia durata un’ora e mezzo. Impossibile definirla un blitz. Il governo di Sua Maestà non reagisce. Ha affidato alle dichiarazioni di Cameron e a quelle dello stesso ministro della Difesa («Non è stata un’operazione inspiegabile. Al contrario, è perfettamente comprensibile») le reazioni ufficiali e non ha voglia di farsi trascinare in un botta e risposta a distanza. C’è un’inchiesta aperta. I dettagli saranno forniti nelle sedi opportune. E l’idea delle scuse non sfiora neppure vagamente l’esecutivo di Sua Maestà. C’è disagio, piuttosto. Ed è palpabile. Le accuse di D’Alema sembrano irricevibili perché restituiscono l’idea di un Paese - la Gran Bretagna - incapace non solo di rispettare i segni esteriori della dignità umana, ma anche quelli ovvi delle relazioni tra Paesi alleati e membri dell’Alleanza Atlantica. «È stato uno sbaglio. Tragico. Non un dispetto a Roma. Col governo Monti la collaborazione è stretta. Perché questa insistenza nel puntare il dito? Dovremmo essere uniti». Il collaboratore di Hammond si sfoga. Racconta che le notizie del disastro nigeriane gli sono cadute addosso come le scintille residue dell’esplosione - «È morto anche un cittadino inglese» - e sostiene che il Regno Unito si è comportato come sempre. «Se decidiamo di agire, lo facciamo. Avremmo usato gli stessi criteri di comunicazione anche con gli americani», giura. «Il timore è sempre quello di essere scoperti. Di essere traditi. Gli ostaggi erano in pericolo. Pensavamo che li avrebbero ammazzati quel giorno stesso». Così sono entrati in azione, ma tutto è andato storto, come se gli uomini delle Sbs fossero precipitati all’improvviso nell’anemia cerebrale di un sonno inatteso. «Il mondo non è Hollywood. Non tutte le storie sono a lieto fine». Lo dice con rabbia, come se avesse elaborato i suoi pensieri sulle macerie fumanti di un mondo in rovina. Ma non nasconde che con l’Italia un po’ di diffidenza esiste, che con il governo precedente era difficile sentirsi in sintonia in azioni del genere. Richiama un file svelato da Wikileaks nell’ottobre del 2008. Un documento che il ministero degli Esteri di Sua Maestà conosce a memoria. Un’informativa americana nella quale si sostiene che l’Italia non avrebbe aiutato la costruzione dell’immagine di una coalizione omogenea in Afghanistan. Lo cita in parte: «[...] sfortunatamente l’importanza del contributo è stata minata dalla crescente reputazione italiana nell’evitare i combattimenti pagando riscatti per ottenere protezione e liberare prigionieri [...]». Gli italiani pagano per proteggersi. Pagano per liberare i proprio uomini. Pagano sempre. Sono fatti così. Gli americani no. «E tanto meno noi inglesi. È una differenza culturale precisa. Ma con Monti ci capiamo. Con lui possiamo andare d’accordo». Non ci considerano più come maggiordomi della Georgia, ma sono certi che nel mondo reale gli errori siano molto più frequenti delle cospirazioni. «Il rapporto è alla pari, adesso. Perché non capiscono che a volte le cose semplicemente vanno male?».