Diego Gabutti , ItaliaOggi 14/3/2012, 14 marzo 2012
RITA BORSELLINO VUOLE INDAGINI SULLE PRESSIONI ALLE PRIMARIE
Rita Borsellino vuole che la procura indaghi sulla «pressione» che è stata esercitata sugli elettori in coda ai seggi delle primarie palermitane. Giusto. Solo che c’è «pressione» anche sugli elettori che prima o poi si metteranno in coda davanti a qualche seggio anche da parte di giornali e talk show (specie quelli che intervistano leader e leaderini avversari o concorrenti di Rita Borsellino.
C’è «pressione», a pensarci, anche da parte dei manifesti elettorali (alcuni dei quali, particolarmente impudenti, non la smettono d’invitare gli elettori a votare i nemici di Rita Borsellino, senza tener conto del fatto che soltanto il voto per Rita Borsellino, l’unico candidato al mondo che ha diritto di fare propaganda per sé e contro gli altri, non è politicamente inquinato).
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«Lavorare di più e più a lungo». È «la ricetta per crescere» di Bankitalia e dell’esecutivo bocconiano. E perché non guadagnare, visto che ci siamo, anche di meno? Anzi: perché non dormire di meno? Otto ore sotto le lenzuola sono troppe. Dedichiamone un paio ai servizi sociali. Andiamo, non so, a caccia d’evasori, oppure facciamo da autisti alle auto blu.
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«Come ho già chiarito nel mio dramma Hidalla, la barzelletta oscena è lo stesso fenomeno, in campo sessuale, che si ha in quello religioso con la bestemmia» (Franz Wedekind, Fuochi d’artificio, Iacobelli 2011).
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Corrado Augias, su Repubblica, redige in bella prosa da Forse non tutti sanno che, la fortunata rubrica della Settimana Enigmistica, un interessante volantino delle pompe funebri: «È storia antica questa della cremazione dei cadaveri. Accompagna da sempre le vicende degli esseri umani soprattutto in certe aree del pianeta dove ha assunto carattere sacro. Notissime per esempio le pire in India». Bellissimo, in particolare, quel «notissime». Augias, da quell’intellettuale che è, deve aver letto I misteri della giungla nera in edizione integrale, e forse persino Kim. E chissà che non abbia visto addirittura il Mahabharata di Peter Brook (non tutte le sei noiose interminabili ore, che possono rendere violento persino un gandhiano, ma un quarto d’ora, una mezzoretta). Svolazzo surrealista finale: «Si può disprezzare un morto tra i fumi degl’incensi e i cori angelici, si può compiangerlo nel proprio cuore mentre se ne disperdono amorevolmente le ceneri su una montagna o fiume che lui amava». Prosit.
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A chi dare la colpa di tutto? Della disoccupazione, delle tasse, della guerriglia valligiana, dei programmi televisivi noiosi, dei brutti film, della ricchezza degli uni e della povertà degli altri, delle canzonette (ahinoi) che non sono più quelle d’una volta, dell’alta (e bassa) velocità, della crisi dei partiti (e della loro stessa legittimità politica)? Per il momento, dai progressisti moderati e ultrà, la colpa è attribuita al capitalismo, che di recente è tornato a essere un babau, come nella notte buia e tempestosa del XX secolo. Ma presto, attenzione, potrebbe essere di nuovo il turno degli ebrei e dei borghesi (ancora pochi mesi).
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Giulio Andreotti, in una lettera del 1949 a Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, scriveva che era urgente «conquistare al cristianesimo le attività dello spettacolo». A contrastare la cristianizzazione del cinema, pensava la futura A del CAF, era un «indifferente agnosticismo, unito a un diffuso senso di scetticismo sotto l’insegna di formule cosiddette veriste». Ma non era meglio il neorealismo, Umberto D. oppure Ladri di biciclette, che i film in cui finì per cadere a capofitto lui: blockbuster tipo La Piovra, per dire, o Il capo dei capi?
«Quando sei giovane, guardi la televisione e pensi che ci sia un complotto. Che le reti tv abbiano tramato per rincretinirci. Ma quando maturi un po’, ti rendi conto che il business della televisione è dare alla gente esattamente quel che desidera. Ed è un pensiero ancora più deprimente. Il complotto è otttimistico. Puoi pensare di sparare ai cattivi! Di fare una rivoluzione! Ma il vero business della televisione è dare alla gente quel che desidera. È questa la verità» (Steve Jobs, cit. in F. Bona, Steve Jobs, Baldini & Castoldi 2012).
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Basta con le fiction televisive in cui i delinquenti appaiono come «supereroi del crimine». A quando fiction pie e di retti costumi in cui i criminali appaiono finalmente come «poco invidiabili stronzi»? Così l’Amaca di Repubblica, in un corsivo realsocialista in cui s’affaccia (brrr) anche la parola «modello», come nei rapporti sui problemi della letteratura sovietica che Andrej Aleksandrovic danov presenteva, sbattendo i tacchi, al buon vecchio Baffone. Sì, basta con Scarface e Il Padrino! Arridatece Ivan il Terribile e La corrazzata Potemkin!
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«Che dirti in generale dell’Italia? L’impressione è di essere capitato da possidenti ucraini di vecchio stampo» (N.V. Gogol ad A.S. Danilevskij, 15 aprile 1937, Roma, in Nikolaj Gogol, Dall’Italia, Voland 1995).