Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 14/3/2012, 14 marzo 2012
UNA RIVOLUZIONE CLASSICA E POP, COME PUCCINI"
ROMA - Chi ama un teatro vitale e fuori dagli schemi, e ha l´età sufficiente per rammentare gli eventi clou prodotti negli anni Settanta da una certa scena "laterale" americana, ricorderà l´effetto di sorpresa che suscitò nel pubblico l´opera Einstein on the beach, creata nel ‘76 al Festival di Avignone (e circolata tra l´Europa e New York) dal regista Robert Wilson e dal compositore Philip Glass, due giovanotti all´epoca spettinati e ignoti. Il primo sarebbe divenuto un divo dall´aria sacerdotale, artefice di spettacoli stupendamente algidi, sempre più somiglianti tra di loro. Il secondo, tassista a Manhattan (ma nato nel ‘37 a Baltimora, dove da ragazzino aveva scoperto la musica nel negozio del padre, che riparava radio e giradischi rotti), sarebbe stato incoronato da una carriera trionfale, trasformandosi nel musicista contemporaneo più eseguito e pagato al mondo, inarrestabile nel firmare opere liriche (una ventina), sinfonie (sono già dieci), pezzi per pianoforte solo, lavori di musica da camera, balletti e colonne sonore (ha collaborato con registi quali Martin Scorsese e Woody Allen). Considerato il re del minimalismo (definizione che reputa limitativa e superata), Glass fu lanciato nel successo proprio da quel capolavoro dedicato a un ritratto molto sui generis di Einstein, capace di affrescare un fiume di immagini pastose e allucinate (in sintonia con l´era degli svelamenti delle droghe), e fascinoso nell´intrecciare danze fredde, testi colmi di matematica e di versi criptici, visioni mastodontiche di treni, orologi, tribunali metafisici e astronavi. Il tutto guidato da una musica ripetitiva solo in apparenza, basata su armonie che variano impercettibilmente catturando l´ascoltatore in spirali di trance.
Durata "scandalosa" dello spettacolo: cinque ore senza intervalli. Un macigno. «Ma il pubblico era invitato a muoversi durante la rappresentazione, entrando e uscendo dalla sala», spiega Glass da New York, poco prima di partire per la Francia, dove sarà presente al debutto del rifacimento di Einstein on the Beach, rimontato con un cast ovviamente rinnovato. "Tuttavia la gente non se ne andava. Ricordo che Wilson diceva: "Se siete stanchi addormentatevi pure, tranquilli, e quando vi sveglierete l´opera starà continuando!". Dopo il debutto a Montpellier, il nuovo Einstein sarà al Valli di Reggio Emilia (in esclusiva per l´Italia, 24 e 25 marzo), per poi intraprendere un tour internazionale.
Può dirci, Glass, perché quello spettacolo ha un´aura leggendaria?
«Fece scoprire un modo completamente diverso di raccontare sul palcoscenico una storia, in un montaggio fantastico di teatro e musica come non s´era mai visto. La fusione del lavoro tra me e Wilson era totale. Il pubblico veniva come inglobato: scatenando libere associazioni, si trovava immesso nel nostro grande sogno, sentendosi parte integrante della messinscena».
Qual è il suo ricordo personale di quell´esperienza?
«Eccitante. Fu il mio primo lavoro con Wilson: ci stimolavamo a vicenda. Inoltre, per entrambi, fu la prima volta che ci si confrontava con un pubblico molto vasto. La reazione fu stupefacente. Gli spettatori s´immergevano con noi nel flusso visionario, senza chiedere spiegazioni logiche».
E´ vero che a quel tempo lei guidava un taxi a New York?
«Quante sciocchezze hanno detto su di me! Da giovane ho fatto un po´ di tutto, dall´installare lavapiatti a gestire una compagnia di traslochi. Ma parallelamente studiavo e componevo musica molto seriamente. Il resto serviva solo per mangiare. Spesso gli artisti hanno bisogno di altri lavori per mantenersi».
Perché sceglieste proprio Einstein?
«Volevamo un personaggio iconico. S´era pensato anche a Chaplin e a Hitler. Optammo per lo scienziato che era stato, senza volerlo, il responsabile della bomba atomica. Spunto fertile di riflessioni sull´impatto che ha la scienza nella vita quotidiana. Tema centrale della nostra esistenza».
Pensa che Einstein on the beach sia ancora uno spettacolo agganciato alla nostra realtà?
«Credo che oggi sia più stimolante e attuale di allora. Non mi pare che in seguito siano stati creati lavori altrettanto radicali e profondi nella sperimentazione dei linguaggi».
Il nuovo cast è all´altezza della produzione? O rimpiange gli interpreti del debutto?
«Sono bravissimi! E´ bello vedere in scena tanti giovani. Inoltre, essendo uno spettacolo molto tecnologico, ed essendo nel frattempo progredita la tecnologia teatrale, le immagini sono più potenti di allora. Lo spettacolo ha beneficiato dell´evoluzione delle tecniche».
Philip Glass è un musicista classico o pop?
«Entrambe le cose. L´opera è di per sé una forma popolare. Erano pop anche Verdi e Puccini. Essere pop e classici non è una contraddizione in termini. Sono steccati che non hanno alcun valore».